Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16792 del 16/07/2010

Cassazione civile sez. trib., 16/07/2010, (ud. 12/05/2010, dep. 16/07/2010), n.16792

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUPI Fernando – Presidente –

Dott. MERONE Antonio – Consigliere –

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – rel. Consigliere –

Dott. D’ALESSANDRO Paolo – Consigliere –

Dott. IACOBELLIS Marcello – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

S.M.;

– intimato –

per la cassazione della sentenza della Commissione Tributaria

Regionale della Campania, sez. 3, n. 154, depositata il 22.2.2007.

Letta la relazione scritta redatta dal Consigliere relatore Dott.

Aurelio Cappabianca;

constatata la regolarità delle comunicazioni di cui all’art. 380 bis

c.p.c., comma 3.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

Premesso:

che il contribuente propose ricorso avverso avviso, con il quale l’Agenzia – con metodo induttivo e sulla base dei “parametri”, di cui al D.P.C.M. 29 gennaio 1996 e D.P.C.M. 27 marzo 1997, emessi ai sensi della L. n. 549 del 1995, art. 3, comma 181 e segg. – aveva accertato a suo carico, per l’anno 1996, maggiori Irpef, Iva e c.s.s.n.;

che l’adita commissione tributaria accolse il ricorso, con sentenza confermata, in esito all’appello dell’Agenzia, dalla Commissione regionale;

– che, nel suo nucleo essenziale, la motivazione dei giudici di appello è affidata alla considerazione che l’utilizzo dei parametri non conduce automaticamente all’inversione dell’onere della prova a favore dell’Amministrazione fiscale ed al rilievo che, nel caso concreto, il contribuente aveva dimostrato che la propria dichiarazione era aderente alle elaborazioni enucleate, per il settore di appartenenza, dagli “studi d settore”;

rilevato:

– che avverso la sentenza di appello, l’Agenzia ha proposto ricorso per cassazione in due motivi, deducendo violazione di legge (il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, L. n. 549 del 1995, art. 3 e art. 2697 c.c.) nonchè vizio di motivazione, censurando la decisione impugnata per non aver considerato che i parametri assumono valenza di presunzioni legali, le cui risultanze, nel caso di specie, non erano state idoneamente superate dal contribuente;

– che il contribuente non si è costituito;

osservato:

– che le SS.UU. di questa Corte (cfr. sent. n. 26635/09) hanno, di recente, aderito all’impostazione secondo cui, in tema di accertamento delle imposte sui redditi, i parametri previsti dalla L. n. 549 del 1995, art. 3, commi da 181 a 187, e dal successivo D.P.C.M. 29 gennaio 1996, quest’ultimo come modificato dal D.P.C.M. 27 marzo 1997 – non costituendo fatto concreto noto e certo, specificamente inerente al contribuente, suscettibile di evidenziare in termini di rilevante probabilità l’entità del suo reddito, ma rappresentando la risultante dell’estrapolazione statistica di una pluralità di dati settoriali acquisiti su campioni di contribuenti e dalle relative dichiarazioni – rivelano valori che, quando eccedono il dichiarato, integrano il presupposto per il legittimo esercizio da parte dell’Ufficio dell’accertamento analitico-induttivo D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 39, comma 1, lett. d), ma, ove siano contestati sulla base di allegazioni specifiche, sono inidonei a supportare l’accertamento medesimo, se non confortati da elementi concreti desunti dalla realtà economica dell’impresa che devono essere provati e non semplicemente enunciati nella motivazione dell’accertamento;

considerato:

che, alla luce degli esposti rilievi, deve ritenersi che la decisione impugnata è incensurabile, poichè, in conformità con il principio sopra richiamato, ha negato idoneo valore probatorio a dati parametrici, specificamente contestati dal contribuente e non altrimenti asseverati dall’Agenzia;

ritenuto:

– che il ricorso dell’Agenzia si rivela, pertanto, manifestamente infondato, sicchè va respinto nelle forme di cui agli artt. 375 e 380 bis c.p.c.;

che, stante l’assenza d’attività difensiva dell’intimato, non vi è luogo a provvedere sulle spese.

P.Q.M.

la Corte: respinge il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 12 maggio 2010.

Depositato in Cancelleria il 16 luglio 2010

 

 

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