Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16792 del 06/08/2020

Cassazione civile sez. lav., 06/08/2020, (ud. 15/01/2020, dep. 06/08/2020), n.16792

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RAIMONDI Guido – Presidente –

Dott. BALESTRIERI Federico – rel. Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19129-2016 proposto da:

TELECOM ITALIA S.P.A., C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

L.G. FARAVELLI 22, presso lo studio dell’avvocato ARTURO MARESCA,

che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati ENZO MORRICO,

FRANCO RAIMONDO BOCCIA, ROBERTO ROMEI;

– ricorrente –

contro

M.A., elettivamente domiciliata in ROMA, CORSO VITTORIO

EMANUELE II 209, presso lo studio dell’avvocato LUCA SILVESTRI,

rappresentata e difesa dall’avvocato ERNESTO MARIA CIRILLO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1095/2016 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 15/02/2016 R.G.N. 1814/2015.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

Con ricorso per decreto ingiuntivo depositato il 12.2.2013, M.A. ha chiesto al Tribunale di Napoli di ingiungere alla Telecom Italia S.p.A il pagamento della somma di Euro 4.085,38 oltre interessi legali dalla richiesta al saldo per retribuzioni di dicembre 2012 e gennaio 2013.

A sostegno della pretesa, la ricorrente deduceva: – di aver lavorato alle dipendenze della società Telecom Italia sino al 25.11.2003, allorquando era stata trasferita da Telecom Italia S.p.A. alla Società Emsa Servizi e poi alla Società Telepost;

– che si era opposta ai suddetti trasferimenti e li aveva impugnati dinanzi al Tribunale di Napoli;

– che con sentenza n. 24943/09, il Tribunale di Napoli aveva dichiarato la illegittimità delle cessioni ed aveva ordinato il ripristino del rapporto di lavoro con Telecom Italia S.p.A.;

– che Telecom non aveva ottemperato a tale sentenza;

– che in data 1.2.2012 era stata posta in CIGS a zero ore e non aveva più ricevuto la retribuzione dalla Società cessionaria.

La parte ricorrente, quindi, aveva chiesto, pur non avendo svolto la prestazione lavorativa a favore di Telecom, il pagamento della suddetta retribuzione.

Il Tribunale di Napoli emetteva il decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo n. 735/13.

Telecom Italia S.p.A. promuoveva tempestivamente opposizione chiedendone la revoca che veniva respinta dal detto Tribunale.

Avverso la predetta sentenza, Telecom promuoveva gravame dinanzi alla Corte d’Appello di Napoli. Resisteva la lavoratrice.

La Corte d’Appello di Napoli, sentenza depositata il 15.2.16, rigettava l’appello e condannava Telecom alle spese.

Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso TELECOM, affidato a due motivi, cui resiste la M. con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1.-Con il primo motivo la società ricorrente denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ove la sentenza della Corte d’appello ritenne corretta la riqualificazione – da retributiva a risarcitoria– della natura dell’azione promossa dalla M., operata dal Tribunale di Napoli.

Il motivo è infondato, oltre che privo di interesse giuridico.

Ed invero deve osservarsi che i fatti posti a fondamento della domanda sono rimasti gli stessi e che, secondo la recente giurisprudenza di questa Corte (v. Cass. n. 29092/2019), deve essere ritenuta la natura retributiva e non più risarcitoria dei crediti che il lavoratore ha ingiunto in pagamento a Telecom Italia s.p.a. a titolo di emolumenti allo stesso dovuti per effetto del mancato ripristino del rapporto da parte della società predetta in seguito a declaratoria dell’illegittimità della cessione di azienda (come invece secondo un indirizzo precedente: Cass. 17 luglio 2008 n. 19740; Cass. 9 settembre 2014 n. 18955; Cass. 25 giugno 2018, n. 16694) sulla scorta dell’insegnamento posto recentemente dalle Sezioni unite-civili di questa Corte (sent. 7 febbraio 2018, n. 2990). E’ stato evidenziato come quest’ultima pronuncia ha affermato il seguente principio: “in tema di interposizione di manodopera, ove ne venga accertata l’illegittimità e dichiarata l’esistenza di un rapporto di lavoro a, tempo indeterminato, l’omesso ripristino del rapporto di lavoro ad opera del committente determina l’obbligo di quest’ultimo di corrispondere le retribuzioni,…, a decorrere dalla messa in mora” e come “A tale indirizzo è stato riconosciuto valore di diritto vivente sopravvenuto dalla Corte costituzionale con la sentenza 28 febbraio 2019, n. 29, anche avuto riguardo alla fattispecie della cessione del ramo d’azienda”.

Occorre infine evidenziare che sussiste allora anche una mancanza di interesse giuridico alla doglianza, poichè, anche in caso di denuncia di un errore di diritto ex art. 360 c.p.c., n. 3, l’interesse ad impugnare con il ricorso per cassazione discende dalla possibilità di conseguire, attraverso il richiesto annullamento della sentenza impugnata, un risultato pratico favorevole (Cass. 14878/2018; Cass. n. 14279/17).

2.- Con secondo motivo la Telecom denuncia la violazione di una serie di norme del c.c. in materia di risarcimento del danno contrattuale, lamentando che la sentenza impugnata ritenne erroneamente la non detraibilità di quanto percepito dalla M. a titolo di indennità di c.i.g.s. dal 1.2.2012 in poi, durante il rapporto con Telepost.

Il motivo è infondato alla luce del più recente orientamento di questa Corte secondo cui: “in caso di cessione di ramo d’azienda, ove su domanda del lavoratore ceduto venga giudizialmente accertato che non ricorrono i presupposti di cui all’art. 2112 c.c., le retribuzioni in seguito corrisposte dal destinatario della cessione, che abbia utilizzato la prestazione del lavoratore successivamente alla messa a disposizione di questi delle energie lavorative in favore dell’alienante, non producono un effetto estintivo, in tutto o in parte, dell’obbligazione retributiva gravante sul cedente che, rifiuti, senza giustificazione, la controprestazione lavorativa” (Cass.n. 29092/19).

Trattandosi di debito retributivo esso non è soggetto ad alcuna detrazione per aliunde percepta. I più recenti arresti di legittimità hanno infatti affermato che una volta dichiarato illegittimo il trasferimento di azienda, il lavoratore, che pure ha proseguito di fatto a lavorare ed essere retribuito dalla cessionaria, può chiedere alla cedente non il risarcimento del danno (come ritenuto dal precedente richiamato orientamento di legittimità) ma l’effettiva retribuzione dovuta, senza dunque possibilità di “detrarre da quest’ultima quanto medio tempore percepito dal cessionario od in connessione col rapporto di lavoro con quest’ultimo (Cass. n. 17784/19, Cass. n. 21158/19, Cass. n. 29092/19, Cass. SU n. 2990/18).

3.- Il ricorso deve essere dunque rigettato.

Il recentissimo consolidamento del nuovo corso di legittimità, successivo alla stessa proposizione del presente ricorso, giustifica la compensazione tra le parti del presente giudizio.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e compensa tra le parti le spese del presente giudizio. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo risultante dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella adunanza camerale, il 15 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 6 agosto 2020

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