Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16790 del 29/07/2011

Cassazione civile sez. lav., 29/07/2011, (ud. 05/06/2011, dep. 29/07/2011), n.16790

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio – Presidente –

Dott. LA TERZA Maura – Consigliere –

Dott. CURCURUTO Filippo – Consigliere –

Dott. FILABOZZI Antonio – rel. Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

MINISTERO DELLA SALUTE, in persona del Ministro in carica,

domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso L’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– ricorrente –

contro

P.L., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA POSTUMIA, 1,

presso lo studio dell’avvocato GIANCASPRO NICOLA, rappresentato e

difeso dall’avvocato BARBERIS RICCARDO, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1692/2006 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 30/11/2006 r.g.n. 284/06;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

05/05/2011 dal Consigliere Dott. ANTONIO FILABOZZI;

udito l’Avvocato MARINA ROSSO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SEPE Ennio Attilio, che ha concluso per rinvio alle SS.UU., in

subordine rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

P.L., deducendo di aver subito un’infermità a causa di somministrazioni infette, ha convenuto in giudizio il Ministero della Salute per il pagamento dell’indennizzo previsto dalla L. n. 210 del 1992.

Il Tribunale di Saluzzo ha accolto la domanda, con decisione che la Corte di Appello di Torino ha confermato rigettando il gravame del Ministero della Salute.

Avverso questa pronuncia l’Amministrazione appellante propone ricorso per cassazione con due motivi cui resiste con controricorso L. P..

Il Ministero ha depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.- Con il primo motivo l’Amministrazione ricorrente deduce la violazione del D.Lgs. n. 112 del 1998, artt. 7, 114 e 123 e chiede a questa Corte di stabilire se “nei giudizi aventi ad oggetto istanze di concessione dell’indennizzo previsto dalla L. n. 210 del 1992, presentate in via amministrativa in data successiva al 1.1.01 ovvero al 21.2.01 – la legittimazione passiva spetti al Ministero della Salute ovvero alla Regione”.

2.- Con il secondo motivo il Ministero denuncia la violazione della L. n. 210 del 1992, art. 3 come modificato dal D.L. n. 344 del 1996, art. 6, D.L. n. 548 del 1996, art. 7 conv. in L. n. 641 del 1996 e L. n. 238 del 1997, art. 1 chiedendo a questa Corte di stabilire se “alle istanze di indennizzo ex L. n. 210 del 1992 presentate in epoca successiva alla data di entrata in vigore del D.L. n. 344 del 1996, art. 6, comma 6 aventi ad oggetto epatiti post trasfusionali contratte prima dell’entrata in vigore di tale ultima norma, si applichi il termine di decadenza triennale di cui alla L. n. 210 del 1992, art. 3, comma 1 come modificato dallo stesso D.L. n. 344 del 1996, art. 6, comma 4 dal D.L. 23 ottobre 1996, n. 584, art. 6, comma 4 conv. in L. 20 dicembre 1996, n. 641 e dalla L. 25 luglio 1997, n. 238, art. 1” e, in caso affermativo, se “detto termine decorra dalla data di entrata in vigore della D.L. n. 344 del 1996, art. 6, comma 4”.

3.- Il quesito di cui al primo motivo deve trovare risposta nel principio enunciato in materia dalla più recente giurisprudenza di legittimità, a cui questa Corte intende dare continuità, secondo cui in tema di indennizzo ai sensi della L. n. 210 del 1992, la titolarità passiva del rapporto per la generalità delle controversie amministrative e giudiziali spetta al Ministero della salute, indipendentemente dal momento di presentazione della domanda amministrativa per il riconoscimento del beneficio ovvero dalla data di trasmissione della medesima dalle Usi al Ministero della salute, dovendosi ritenere che il D.Lgs. n. 112 del 1998, art. 123 nel conservare “allo Stato le funzioni in materia di ricorsi per la corresponsione degli indennizzi” in questione, abbia stabilito la perdurante legittimazione a contraddire del Ministero della salute sia in sede amministrativa che giudiziale, così da assicurare al medesimo una visione generale delle problematiche espressamente riservate allo Stato dal D.Lgs. n. 112 del 1998, art. 112, comma 2, lett. f, prevedendo il trasferimento alle Regioni – mediante diversi D.P.C.M. susseguitisi nel tempo e, come tali, non suscettibili di derogare alle disposizioni di legge – dei soli oneri economici, ricadenti nell’ambito delle competenze amministrative attribuite alle Regioni ai sensi del D.Lgs. n. 112 del 1998, art. 114 (Cass. 13.10.2009, nn. 21703, 21704, 21706, 21707; Cass. 19.10.2009, n. 22111; Cass. 20.10.2009, n. 22166; Cass. 3.11.2009, nn. 23216 e 23217; Cass. 5.11.2009, n. 23434; Cass. 6.11.2009, n. 23588, cui adde Cass. 17.2.2011, n. 3864 e Cass. 21.2.2011, n. 4166).

Tale orientamento è stato più di recente confermato dalle Sezioni unite, che con la sentenza n. 12538 del 9.6.2001 hanno osservato, in sintesi, che: a) le disposizioni sul contenzioso contenute nei D.P.C.M. 26 maggio 2000, 8 gennaio 2002 e 24 luglio 2003 riguardano solo l’onere dello stesso, ma da esse non si ricava anche una regola processuale sulla legittimazione passiva, nè potrebbe ricavarsi per inidoneità della fonte a disciplinare tale aspetto pur in un mutato contesto costituzionale di riparto delle competenze legislative tra Stato e Regione, che ora assegna alle regioni la competenza residuale in materia di assistenza sociale; b) la L. n. 210 del 1992, art. 5 continua ad assegnare al Ministro della salute la competenza a decidere il ricorso amministrativo avverso la valutazione della commissione medico-ospedaliera; c) questa competenza è stata fatta salva dal D.Lgs. n. 112 del 1998, art. 123 e sopravvive anche nel mutato contesto di trasferimento alle regioni di compiti e funzioni in tema di indennizzo (ad opera dei cit. D.P.C.M. 8 gennaio 2002 e 24 luglio 2003) e di attribuzione alle regioni della competenza legislativa residuale in materia di assistenza pubblica (ad opera dell’art. 117 Cost., comma 4, riformato). Deve pertanto concludersi, secondo la citata sentenza, che, come il Ministero della salute decide in sede amministrativa pronunciandosi sul ricorso di chi chiede la prestazione assistenziale in esame, analogamente è nei suoi confronti che va proposta l’azione giudiziaria con cui il danneggiato rivendica l’indennizzo.

Il principio di diritto affermato dalle Sezioni unite nella sentenza di cui sopra è il seguente: “nelle controversie aventi ad oggetto l’indennizzo previsto dalla L. 25 febbraio 1992, n. 210, in favore dei soggetti che hanno riportato danni irreversibili a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e somministrazione di emoderivati e da questi ultimi proposte per l’accertamento del diritto al beneficio sussiste la legittimazione passiva del Ministero della salute”.

Il primo motivo – al quale, del resto, il Ministero ha dichiarato di rinunciare con la memoria ex art. 378 c.p.c. – deve pertanto ritenersi infondato.

4.- Parimenti infondato è il secondo motivo di ricorso.

La L. n. 210 del 1992, art. 3, comma 1 nel testo vigente prima che fosse sostituito dalla L. n. 238 del 1997, art. 1 – applicabile ratione temporis al caso in esame nel quale la domanda della prestazione è stata presentata nel 1999 in relazione ad una emotrasfusione effettuata nel 1977 – disponeva che i soggetti interessati dovevano presentare domanda entro il termine perentorio di tre anni nel caso di vaccinazioni o di dieci anni nei casi di infezione da HIV, termini decorrenti dal momento in cui l’avente diritto risultava aver avuto conoscenza del danno.

Nessun termine di decadenza era previsto per il caso di epatiti post- trasfusionali; la previsione di un termine di decadenza triennale è stata introdotta per la prima volta dal D.L. n. 344 del 1996, art. 6, comma 4, entrato in vigore il 3.7.1996, non convertito in legge.

Analoga norma fu introdotta con il D.L. n. 548 del 1996, art. 7, comma 4 convertito in L. n. 641 del 1996. La L. n. 641 del 1996, art. 1, comma 2, ha poi fatto salvi gli effetti prodotti e i rapporti giuridici sorti sulla base del D.L. n. 344 del 1996. La disposizione in esame è stata, infine, sostanzialmente confermata dalla L. n. 238 del 1997, art. 1 recante modifiche e integrazioni alla L. n. 210 del 1992.

Questa Corte, con giurisprudenza costante, ha ripetutamente affermato che la normativa in esame ha carattere innovativo e non interpretativo e non è quindi applicabile alle fattispecie verificatesi prima della sua entrata in vigore. Nè potrebbe sostenersi che il termine di decadenza triennale, prima delle modifiche introdotte dalla normativa del 1996 e del 1997, fosse applicabile per analogia alle epatiti post-trasfusionali. Questa stessa Corte ha, infatti, anche recentemente (Cass. n. 6923/2010), ribadito che il termine di decadenza previsto dalla L. n. 210 del 1992, art. 3 per la proposizione della domanda amministrativa di indennizzo per le patologie derivanti da vaccinazioni non si estende analogicamente alle ipotesi di epatiti post-trasfusionali, in quanto trattasi di norma eccezionale, per la quale vige il divieto di applicazione analogica, per cui in caso di epatiti verificatesi prima delle modifiche introdotte con L. n. 238 del 1997, la domanda è proponibile nell’ordinario termine di prescrizione decennale, a decorrere dal momento in cui l’avente diritto ha avuto conoscenza del danno (Cass. n. 7341/2004, Cass. n. 6500/2003, Cass. n. 6130/2001).

Nella specie, la Corte territoriale ha stabilito, con accertamento di fatto che non è stato sottoposto a gravame, che la patologia è stata contratta nel 1977 e che il P. ha avuto conoscenza del danno solo nell’ottobre 1999, derivandone, in ogni caso, la tempestività della domanda di indennizzo.

L’Amministrazione oppone che, trattandosi di domanda amministrativa presentata in epoca successiva alla data di entrata in vigore del D.L. n. 344 del 1996, art. 6 avente ad oggetto una epatite post- trasfusionale contratta prima dell’entrata in vigore di tale ultima norma, dovrebbe trovare applicazione il termine di decadenza triennale previsto dalla L. n. 210 del 1992, art. 3, comma 1, come modificato dallo stesso D.L. n. 344 del 1996, art. 6, comma 4, e successivamente dal D.L. 23 ottobre 1996, art. 7, comma 4, conv. in L. 20 dicembre 1996, n. 641 e dalla L. 25 luglio 1997, n. 238, art. 1 con decorrenza dalla data di entrata in vigore del D.L. n. 344 del 1996, art. 6, comma 4, e ciò anche in forza della disposizione di cui alla L. n. 210 del 1992, art. 3, comma 7 secondo cui “per coloro che, alla data di entrata in vigore della presente legge, hanno già subito la menomazione prevista dall’art. 1, il termine di cui al comma 1 del presente articolo decorre dalla data di entrata in vigore della legge stessa”.

L’assunto è infondato, poichè non considera che, in ogni caso, anche il D.L. n. 344 del 1996 e il D.L. n. 548 del 1996 prevedevano che il termine di decadenza non potesse decorrere prima che l’interessato avesse avuto effettiva conoscenza del danno. Nè tale regola potrebbe trovare deroga nel diverso principio stabilito dalla norma transitoria di cui alla L. n. 210 del 1992, art. 3, comma 7 o nel principio generale (richiamato da Cass. n. 25746/2009) per cui, in materia di termini, ove una modifica normativa introduca un termine di decadenza prima non previsto, la nuova disciplina si applica anche ai diritti sorti anteriormente, ma con decorrenza dall’entrata in vigore della modifica legislativa: nella materia in esame, tale principio può valere, infatti, solo per i casi in cui, alla data di entrata in vigore della nuova disciplina, il soggetto abbia già avuto conoscenza del danno (con riferimento anche alla sua eziologia), dovendo, in caso contrario – e cioè nel caso in cui l’interessato risulti aver avuto conoscenza del danno solo dopo l’entrata in vigore della modifica normativa – anche in forza di una interpretazione rispettosa del principio di uguaglianza e di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost., applicarsi la regola della decorrenza del termine dal momento in cui il soggetto ha avuto effettiva conoscenza del danno (cfr. nello stesso senso, Cass. n. 7304/2011).

5.- La sentenza impugnata non si è discostata dai principi giuridici sopra enunciati e non è assoggettabile, dunque, alle censure che le sono state mosse in questa sede di legittimità. Il ricorso non merita pertanto accoglimento. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio liquidate in Euro 21,00 oltre Euro 2.000,00 per onorari, oltre IVA, CPA e spese generali.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 5 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 29 luglio 2011

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