Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16785 del 29/07/2011

Cassazione civile sez. lav., 29/07/2011, (ud. 12/04/2011, dep. 29/07/2011), n.16785

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio – Presidente –

Dott. TOFFOLI Saverio – Consigliere –

Dott. CURZIO Pietro – rel. Consigliere –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

UIL – ITAL PROVINCIALE DI LECCE, in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DELLA STAZIONE DI

MONTE MARIO 9, presso lo studio dell’avvocato GULLO ALESSANDRA,

rappresentata e difesa dall’avvocato MAGARAGGIA GIUSEPPE, giusta

delega in atti;

– ricorrente –

contro

D.P.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE ANGELICO

92, presso lo studio dell’avvocato SILVETTI CARLO, rappresentato e

difeso dall’avvocato PICCOLO ALFREDO, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 205/2007 della CORTE D’APPELLO di LECCE,

depositata il 07/02/2007) R.G.N. 1872/02;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

27/04/2011 dal Consigliere Dott. PIETRO CURZIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

APICE Umberto che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTO E DIRITTO

La UIL-ITAL provinciale di Lecce chiede l’annullamento della sentenza della Corte d’appello di Lecce, pubblicata il 7 febbraio 2007, relativa alla controversia con D.P.S..

Il D.P. convenne in giudizio la UTL-ITAL, sua datrice di lavoro, chiedendo il riconoscimento dell’inquadramento nel 3^ livello e la condanna del patronato al pagamento delle differenze retributive specificate in ricorso.

Il ricorso fu rigettato dal Tribunale, ma accolto dalla Corte d’appello che, con sentenza non definitiva, accertò il diritto all’inquadramento nel 3^ livello del c.c.n.l. per i dipendenti di aziende del terziario, della distribuzione e dei servizi per il periodo 1 luglio 1994-31 dicembre 1996 e condannò, di conseguenza, il patronato al pagamento delle differenze retributive dovute per le voci indicate nel ricorso introduttivo, tenuto conto di un orario settimanale di 20 ore, oltre interessi legali sulle somme rivalutate.

Con ordinanza venne disposto il prosieguo della causa per la nomina di un ctu e la quantificazione della condanna.

Il patronato propose ricorso per cassazione contro la sentenza non definitiva, che venne rigettato con sentenza di questa Corte del 2 novembre 2005, n. 21221.

Il giudizio di merito prosegui poi con l’espletamento della consulenza tecnica d’ufficio e si concluse con la condanna, in parziale accoglimento dell’appello, al pagamento in favore del D. P. della somma di 11.490,19 Euro oltre accessori.

Contro questa sentenza della Corte d’appello di Lecce il patronato ricorre per cassazione, articolando due motivi, illustrati con anche con una memoria.

Il D.P. si difende con controricorso.

Con il primo motivo il patronato denunzia violazione ed erronea applicazione dell’art. 2909 c.c. e contemporanea omessa ed insufficiente e contraddittoria motivazione. La tesi posta a fondamento del motivo è che, pur essendovi stato un intervento della Corte di cassazione di rigetto il ricorso per cassazione contro la decisione non definitiva della Corte d’appello che costituisce la premessa della sentenza definitiva di quantificazione oggetto di questo nuovo ricorso, tuttavia la condanna non sarebbe passata in giudicato.

Il motivo non è specifico, come richiede il codice di rito, in quanto propone indistintamente, due tipi di motivi di impugnazione strutturalmente diversi: violazione di legge e vizio di motivazione.

Inoltre, prospetta un vizio di motivazione in modo contraddittorio, in quanto non può, al tempo stesso e sul medesimo punto, affermarsi, come fa il patronato ricorrente, che la motivazione sia stata omessa e che sia insufficiente e contraddittoria. Se la motivazione manca, non può dirsi che il suo contenuto sia insufficiente e contraddittorio.

Sempre con specifico riferimento al vizio di motivazione, il motivo di ricorso non localizza il “fatto” su cui vi sarebbe vizio di motivazione, nè spiega perchè sarebbe controverso e decisivo per il giudizio (come richiesto espressamente dall’art. 360 c.p.c., n. 5) (si è precisato che “Il motivo di ricorso con cui – ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 5, così come modificato dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 2 – si denuncia omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, deve specificamente indicare il “fatto” controverso o decisivo in relazione al quale la motivazione si assume carente, dovendosi intendere per “fatto” non una “questione” o un “punto” della sentenza, ma un fatto vero e proprio e, quindi, un fatto principale, ex art. 2697 cod. civ., (cioè un fatto costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo) od anche un fatto secondario (cioè un fatto dedotto in funzione di prova di un fatto principale), purchè controverso e decisivo. (In applicazione del principio, la S.C. ha dichiarato inammissibile il ricorso con cui ci si era limitati a denunciare la mancata motivazione da parte del giudice in ordine alle argomentazioni esposte dal ricorrente nel giudizio di appello, senza, però, individuare i fatti specifici, controversi o decisivi in relazione ai quali si assumeva fosse carente la motivazione medesima)” (Cass., ord., 5 febbraio 2010, n. 2805).

Ancora, il quesito di diritto, formulato ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., applicabile alla controversia ratione temporis, è generico e si limita a prospettare un’ ipotesi teorica senza specificarla con riferimento al caso concreto oggetto della controversia. In ogni caso la sentenza non definitiva della Corte è passata in giudicato in ordine alla determinazione dell’an. Infatti la Corte di cassazione nel rigettare il precedente ricorso del patronato rilevò: “Viene censurata con tre motivi, denunciandosi violazione di legge e vizio di motivazione, la sentenza in epigrafe in quanto ha accolto in parte appello proposto da D.P.S. avverso sentenza di primo grado emessa dal Tribunale di Lecce ed ha riconosciuto in favore dello stesso differenze salariali per rapporto di lavoro subordinato svolto in favore dell’odierna ricorrente. Non viene però indicato, al di là del mero richiamo alle fonti normative, alcun principio di diritto che sia stato violato o applicato a fattispecie non pertinente e pertanto la denuncia va, ricondotta nell’ambito del vizio di motivazione. Ma non risulta evidenziato alcun vizio argomentativo e solamente si contrappone ad una valutazione compiuta dal giudice del merito altra valutazione di segno contrario, così venendosi a criticare un giudizio di fatto con altro giudizio di segno contrario. Conclusivamente il ricorso va rigettato”.

A causa di tale decisione, la sentenza oggetto di quella impugnazione, che aveva riconosciuto il diritto alle differenze salariali, determinando le coordinate di tale diritto, salva la quantificazione mediante consulenza tecnica, contrariamente a quanto sostenuto dal patronato ricorrente, è passata in giudicato. E poichè il presente ricorso non censura specificamente ed esclusivamente le operazioni di quantificazione, lo stesso è privo di fondamento.

Il secondo motivo denunzia “violazione ed erronea applicazione degli artt. 1362, 1363, 1364 c.c. e contemporanea omessa motivazione”.

Premesso che anche questo motivo presenta i vizi strutturali rilevati con riferimento al primo, deve osservarsi che il suo esame è comunque condizionato dall’accoglimento del primo motivo e cioè dall’affermazione che, nonostante il rigetto del ricorso per cassazione, la sentenza non definitiva non sarebbe passata il giudicato. Condizione che, per le ragioni su indicate, non può dirsi sussistere. Il ricorso pertanto deve essere rigettato.

Le spese del giudizio di legittimità devono, per legge, essere poste a carico della parte che perde il giudizio.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il patronato ricorrente alla rifusione al controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 35,00, nonchè 3.000,00 Euro per onorari di avvocato, oltre IVA,. CPA e spese generali.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 27 aprile 2011.

Depositato in Cancelleria il 29 luglio 2011

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