Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16785 del 23/07/2014


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 16785 Anno 2014
Presidente: RUSSO LIBERTINO ALBERTO
Relatore: STALLA GIACOMO MARIA

SENTENZA
sul ricorso 27006-2008 proposto da:
SOGGIU

PIERPAOLO

SGGPPL69C04M082W,

elettivamente

domiciliato in ROMA, PIAZZA CAPPONI 16, presso lo
studio dell’avvocato GIORGINI ARMANDO, rappresentato
e difeso dall’avvocato FANTAUZZI CARLA giusta procura
a margine del ricorso;
– ricorrente –

2 014
contro

1290
MILANO ASSICURAZIONI

DIVISIONE NUOVA MAA SPA

00957670151, in persona del dott. IVANO CANTARALE,
in ROMA,

elettivamente domiciliata

1

LUNGOTEVERE

Data pubblicazione: 23/07/2014

MELLINI 10, presso lo studio dell’avvocato LUDOVISI
FABIO, che la rappresenta e difende giusta procura in
calce al controricorso;
– controricorrente nonchè contro

– intimate –

avverso la sentenza n. 720/2008 del TRIBUNALE di
VITERBO, depositata il 08/07/2008 R.G.N. 2751/2006;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 21/05/2014 dal Consigliere Dott. GIACOMO
MARIA STALLA;
udito l’Avvocato GIUSEPPE INCANNO’ per delega;
udito l’Avvocato FABIO LUDOVISI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. IGNAZIO PATRONE che ha concluso per il
rigetto.

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N/5 SRL , NOCILLI SIMONA;

Ric.n. 27006/08 rg. – Ud. del 21 maggio 2014.

Svolgimento del giudizio.

Il 14 novembre 2005 Pierpaolo Soggiu conveniva in giudizio
Nocilli Simona, la N5 srl e la Milano Assicurazioni – Nuova MAA
spa, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni materiali
da lui subiti – in eccedenza rispetto alla somma di euro 1700,00

sinistro stradale che l’aveva coinvolto allorquando, alla guida
del proprio motociclo, era stato investito dall’autovettura
condotta dalla Nocilli e di proprietà della N5 srl.
Con sentenza n.1755/06 l’adito giudice di pace di Viterbo
accertava la responsabilità della Nocilli per il sinistro, ma
rigettava la domanda risarcitoria per difetto di prova di un danno
ulteriore rispetto a quello già liquidato dalla compagnia
assicuratrice.
Interposto gravame da parte del Soggiu, interveniva la sentenza
n. 720 dell’8 luglio 2008 con la quale il tribunale di Viterbo
confermava la sentenza di primo grado e condannava il Soggiu alla
rifusione delle spese del secondo grado di giudizio a favore della
compagnia assicuratrice; spese che liquidava in complessivi euro
5200,00 di cui euro 3000,00 per competenze ed il resto per
onorari, oltre accessori di legge.
Avverso questa sentenza viene dal Soggiu proposto ricorso per
cassazione sulla base di due motivi, ai quali resiste con
controricorso la Milano Assicurazioni spa.
Motivi della decisione.

3

già offerta dalla compagnia assicuratrice – in occasione del

Ric.n. 27006/08 rg. – Ud. del 21 maggio 2014.

§ l. Con il primo motivo di ricorso il Soggiu lamenta, ex articolo
360, 1^ co.n.3) cod.proc.civ., violazione e falsa applicazione
delle norme relative agli onorari e diritti spettanti agli
avvocati per le prestazioni giudiziali in materia civile (artt.3 e
9 1.794/42 e s.m.; artt.5 e 6 dm 8 aprile 2004 n.127 di ricezione

perché la corte di appello aveva liquidato a favore della
compagnia assicuratrice un importo esorbitante che non teneva
conto dei parametri di cui al citato DM (natura e valore della
controversia; importanza e numero delle questioni trattate) e, in
special modo, del fatto che si trattava di controversia di valore
contenuto, estremamente semplice e nella quale non erano stati
disposti incombenti istruttori.
A corredo del motivo viene formulato, ex art.366 bis
ratione temporis,

cod.proc.civ. qui applicabile
quesito di diritto:

il seguente

“la liquidazione giudiziale delle spese di

lite, sia per onorari sia per diritti, contenuta nella sentenza
impugnata si manifesta sproporzionata, illogica ed esorbitante sia
rispetto al valore della causa ex articoli 10-14 c.p.c. che
rispetto al criteri di cui agli articoli 56 dm 127/04 e comporta
una lesione dei principi posti dalle citate disposizioni cui
consegue la nullità della relativa statuizione”.
Il motivo è inammissibile perché assistito da un quesito di
diritto non conforme al modello legale di cui all’art.366 bis
cit..

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delle tariffe approvate dal Consiglio Nazionale Forense). Ciò

Ric.n. 27006/08 rg. – Ud. del 21 maggio 2014.

Si tratta infatti di un quesito apodittico e privo degli
elementi essenziali di raccordo tra la fattispecie concreta e la
soluzione giuridica del caso che si dovrebbe sostituire a quella
impugnata.
E’ orientamento consolidato (tra le tante: Cass. , sez. un., 5

settembre 2008, n. 24339; Cass. 25 marzo 2009, n. 7197; Cass. 8
novembre 2010, n. 22704) che il quesito di cui all’art.366 bis
cit. – dovendo costituire un momento di congiunzione tra la
risoluzione del caso specifico e l’enunciazione del principio
generale – non può esaurirsi nella mera enunciazione di una regola
astratta, dovendo invece presentare uno specifico collegamento con
la fattispecie concreta. Esso deve in altri termini raccordare la
prima alla seconda, ed entrambe alla decisione impugnata; di cui
deve indicare la discrasia con riferimento alle specifiche
premesse di fatto. Deve pertanto ritenersi inammissibile il
ricorso che contenga quesiti di carattere generale ed astratto,
privi di qualunque indicazione sul tipo della controversia, sugli
argomenti dedotti dal giudice ‘a quo’ e sulle ragioni per le quali
non dovrebbero essere condivisi. Si è in particolare affermato
(Cass. 19 novembre 2013 n. 25903) che il quesito di diritto “deve
essere formulato in modo tale da esplicitare una sintesi logicogiuridica della questione, cosi da consentire al giudice di
legittimità di enunciare una regula iuris suscettibile di ricevere
applicazione anche in casi ulteriori rispetto a quello deciso
dalla sentenza impugnata; in altri termini, esso deve compendiare:
5

febbraio 2008, n. 2658; Cass. 17 luglio 2008, n. 19769; Cass. 30

Ric.n. 27006/08 rg. – Ud. del 21 maggio 2014.

a) la riassuntiva esposizione degli elementi di fatto sottoposti
al giudice di merito (siccome da questi ritenuti per veri,
altrimenti mancando la critica di pertinenza alla ratio decidendi
della sentenza impugnata); b) la sintetica indicazione della
regola di diritto applicata dal quel giudice; c) la diversa regola

applicare al caso di specie. Sicchè, 11 quesito non deve
risolversi in un’enunciazione di carattere generale ed astratto,
priva di qualunque indicazione sul tipo della controversia e sulla
sua riconducibilità alla fattispecie in esame, tale da non
consentire alcuna risposta utile a definire la causa nel senso
voluto dal ricorrente, non potendosi altresi desumere il quesito
stesso dal contenuto del motivo o integrare il primo con il
secondo, pena la sostanziale abrogazione del suddetto articolo
(Cass., sez. un., 11 marzo 2008, n. 6420) (…)”.
Tanto premesso, risulta evidente come il quesito qui in esame
non risponda ai criteri anzidetti, posto che esso: – dà per
scontata l’esorbitanza della liquidazione, senza indicare né il
valore della causa né le singole voci tariffarie suscettibili

di diritto che, ad avviso del ricorrente, si sarebbe dovuta

nella specie di liquidazione per diritti ed onorari
(specificazione necessaria al fine di consentire il controllo di
legittimità sulla conformità normativa della liquidazione); – non
fa menzione, ai fini di una eventualmente diversa individuazion
del valore, della natura e del grado di complessità della causa,
del fatto che la compagnia assicuratrice aveva proposto appello
incidentale (accolto sul punto) avverso la dichiarazione di sua
6

f’

Ric.n. 27006/08 rg. – Ud. del 21 maggio 2014.

contumacia da parte del giudice di primo grado per asserita
nullità della procura; – non specifica se la controparte avesse
presentato nota spese.
In definitiva, dalla sua sola lettura – che, come detto, ha
rilevanza autonoma, non potendo trovare integrazione o

la sostanziale abrogazione del dettato legislativo, secondo cui la
formulazione di idoneo quesito è prescritta ‘a pena di
inammissibilità’ – non è dato di individuare né sotto quale
profilo la liquidazione delle spese in oggetto sarebbe a tal punto
esorbitante da violare i parametri di legge, né quale diverso
parametro di liquidazione il giudice di merito avrebbe nella
specie dovuto adottare per evitare la paventata nullità.
§ 2.

Con il secondo motivo di ricorso il Soggiu deduce omessa,

insufficiente, contraddittoria motivazione, ex articolo 360, 1^
co.n.5) cod.proc.civ., in ordine al punto decisivo della
controversia insito nella determinazione del maggior danno
risarcibile. Ciò riguardava, in particolare, tanto il danno subito
dal motociclo (in ordine al quale il giudice di merito si era
basato sulla sola valutazione del perito assicurativo, negando
efficacia dimostrativa ai due preventivi di carrozzeria da lui
prodotti in giudizio), quanto il danno ai capi di abbigliamento da
lui indossati al momento del sinistro (il cui danneggiamento
doveva ritenersi provato dalle dichiarazioni confessorie riportate
nel modello di constatazione amichevole dell’incidente
sottoscritto anche dalla Nocilli). In ogni caso, la corte di
7

specificazione nella narrativa di illustrazione del motivo, pena

Ric.n. 27006/08 rg. – Ud. del 21 maggio 2014.

appello aveva errato nel non dare ingresso alle istanze
istruttorie da lui proposte (in particolare, l’interpello sul
cap.3), e nel non procedere alla liquidazione equitativa del
danno.
Il motivo è inammissibile, in quanto indirettamente finalizzato

ricostruzione dei risvolti fattuali della vicenda.
Il giudice di appello (sent.pag.3) dà conto dei criteri seguiti
nella valutazione degli elementi di prova concernenti il

quantum

risarcitorio, nel senso che: – per quanto riguardava il danno al
motociclo, i due preventivi prodotti in giudizio apparivano
ridondanti e tra loro difformi; inoltre, il secondo di essi
riferiva danni che non potevano essere verificati, perché il mezzo
non era stato smontato (nè risultava essere stato riparato); – in
tale situazione, non vi erano elementi per fare ricorso ad una
liquidazione equitativa che comportasse il riconoscimento di danni
ulteriori rispetto a quelli verificati dal perito della compagnia
assicuratrice; – per quanto riguardava il danno ai capi di
abbigliamento, non vi era prova del fatto che il loro
danneggiamento dipendesse dal sinistro dedotto in giudizio.
Non vi era dunque spazio per dare ingresso né alle prove
dedotte dal Soggiu, ritenute ininfluenti allo specifico fine di
provare il maggior danno (essendo, per il resto, pacifica la
responsabilità della Nocilli nella causazione dell’incidente); né
ad una consulenza tecnica d’ufficio che avrebbe avuto natura
puramente esplorativa.
8

ad ottenere una diversa valutazione probatoria ed una diversa

Ric.n. 27006/08 rg. – Ud. del 21 maggio 2014.

A ciò va aggiunto che il capitolo di prova per interpello
riportato in ricorso e di cui si lamenta la mancata ammissione
(“vero che

nell’immediatezza i conducenti

congiuntamente il modello CAI nel quale la

sottoscrivevano

Sig.ra Simona Nocilli

si assumeva integralmente la responsabilità del sinistro”)

verteva

responsabilità, non anche sullo specifico aspetto controverso
rappresentato dal danno e dalla sua derivazione causale dal
sinistro.
In presenza di congrua motivazione, qual è quella in esame,
sono insindacabili in sede di legittimità le decisioni con le
quali il giudice di merito abbia discrezionalmente: – attribuito
valenza probatoria ai vari elementi istruttori di causa;
ravvisato l’ininfluenza a fini decisori delle prove dedotte dalla
parte; ritenuto l’insussistenza dei presupposti per una
valutazione equitativa del danno, vieppiù in assenza di una
condizione di impossibilità o soverchia difficoltà di prova da
parte del danneggiato;

ritenuto l’inammissibilità di una

consulenza tecnica d’ufficio perché di natura puramente
esplorativa e, dunque, sostanzialmente finalizzata a sollevare la
parte dall’onere probatorio suo proprio (Cass. n. 88
dell’8.1.2004; Cass. n. 10784 del 7.6.2004; Cass. ord. n. 3130
dell’8.2.2011 ed altre).
E’

principio consolidato che la deduzione di un vizio di

motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione
conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare
9

in effetti – così come formulato – unicamente sull’ammissione di

Ric.n. 27006/08 rg. – Ud. del 21 maggio 2014.

il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo
controllo, bensì la sola facoltà di controllare, sotto il profilo
della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, le
argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale spetta in
via esclusiva il compito di individuare le fonti del proprio

l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive
risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a
dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così
liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova
acquisiti (salvo i casi tassativamente previsti dalla legge); ne
consegue che il preteso vizio di motivazione, sotto il profilo
della omissione, insufficienza, contraddittorietà della medesima,
può dirsi sussistente solo quando, nel ragionamento del giudice di
merito, sia rinvenibile traccia evidente del mancato (o
insufficiente) esame dei punti decisivi della controversia,
prospettato dalle parti o rilevabile d’ufficio, ovvero quando
esista insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente
adottate, tale da non consentire l’identificazione del
procedimento logico-giuridico posto a base della decisione
multís,

(ex

Cass. n. 8718 del 27/04/2005). Si è inoltre stabilito

(Sez. U., n. 24148 del 25/10/2013) che la motivazione omessa o
insufficiente è configurabile soltanto qualora dal ragionamento
del giudice di merito, come risultante dalla sentenza impugnata,
emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre
ad una diversa decisione, ovvero quando sia evincibile l’obiettiva
10

convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne

Ric.n. 27006/08 rg. – Ud. del 21 maggio 2014.

carenza, nel complesso della medesima sentenza, del procedimento
logico che lo ha indotto, sulla base degli elementi acquisiti, al
suo convincimento, ma non già quando, invece, vi sia difformità
rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte ricorrente sul
valore e sul significato dal primo attribuiti agli elementi

un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del
convincimento di quest’ultimo tesa all’ottenimento di una nuova
pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed ai fini
del giudizio di cassazione.
Ne segue la dichiarazione di inammissibilità del ricorso,
con condanna di parte ricorrente alla rifusione delle spese del
presente giudizio di cassazione che si liquidano, come in
dispositivo, ai sensi del DM 10 marzo 2014 n.55.
Pqm

La Corte
dichiara inammissibile il ricorso;
condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del
giudizio di cassazione che liquida in euro 1.200,00, di cui euro
200,00 per esborsi ed il resto per compenso professionale; oltre
rimborso forfettario spese generali ed accessori di legge.
Così deciso nella camera di consiglio della terza sezione
civile in data 2 maggio 2014.

delibati, risolvendosi, altrimenti, il motivo di ricorso in

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