Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16784 del 06/08/2020

Cassazione civile sez. lav., 06/08/2020, (ud. 14/01/2020, dep. 06/08/2020), n.16784

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – rel. Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. BOGHETICH Elena – Consigliere –

Dott. DE MARINIS Nicola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 25016/2018 proposto da:

C.I.V., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA

CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE,

rappresentato e difeso dall’avvocato STEFANO GIAMPIETRO;

– ricorrente –

contro

ISOLGAMMA S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato STEFANO PANTEZZI;

– controricorrente –

ricorrente incidentale – avverso la sentenza n. 12/2018 della CORTE

D’APPELLO di TRENTO, depositata il 15/02/2018, R.G.N. 80/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

14/01/2020 dal Consigliere Dott. ROSA ARIENZO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELESTE Alberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso

principale, assorbito il ricorso incidentale;

udito l’Avvocato STEFANO PANTEZZI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte d’appello di Trento, con sentenza del 15.2.2018, respingeva il gravame proposto da C.I.V. avverso la decisione del Tribunale della stessa città che aveva rigettato le domande del predetto, intese all’accertamento dell’invalidità del licenziamento intimatogli dalla s.r.l. Isolgamma il 6.11.2015 “a causa dell’assenza ingiustificata ripetuta per più di cinque volte nel periodo di un anno”, che aveva determinato il venir meno del rapporto fiduciario in maniera irreversibile.

2. Il ricorrente aveva rilevato che il recesso non era stato preceduto da contestazione di addebito, che non era stato concesso termine a difesa, che l’addebito disciplinare era privo di specificità e non era stato indicato alcun preciso fatto con riferimento alla tempistica di commissione, che era stato violato il principio di immediatezza della contestazione e che il fatto dedotto (assenze ingiustificate) era infondato, essendo state le assenze dal lavoro sempre giustificate.

3. Il Tribunale, pur avendo rilevato che alcun assenze non erano valutabili per violazione del termine a difesa, che l’addebito relativo all’assenza del 18.9.2015 era già stato oggetto di sanzione disciplinare e che altra assenza concerneva un ingiustificato abbandono del posto di lavoro, aveva osservato come gli addebiti relativi alle assenze nelle giornate del 10, 13 e 21 agosto 2015 e del 23.9.2015, pur in numero insufficiente ad integrare l’ipotesi di cui all’art. 88, lett. E, del c.c.n.l. (che prevedeva la possibilità di licenziamento senza preavviso in caso di assenza ingiustificata “per cinque volte nel periodo di un anno”), erano idonei ad integrare giusta causa di licenziamento ai sensi dell’art. 2119 c.c.. Veniva considerato come la giusta causa fosse rappresentata dalla condotta denotante una totale mancanza di consapevolezza e scrupolo circa gli obblighi che gravavano sul lavoratore, assumendo rilievo, ai fini della globale valutazione del comportamento sotto il profilo soggettivo e della gravità oggettiva della fattispecie, anche due precedenti abbandoni del posto di lavoro del 18 e del 30 settembre 2015.

4. La Corte trentina osservava come un’interpretazione costituzionalmente orientata della L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 4, come sostituito dalla L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 42, induceva a ritenere, contrariamente a quanto sostenuto dall’appellante, che, così come la condotta in concreto tenuta dal lavoratore, anche se non espressamente prevista, dovesse essere valutata anche sotto il profilo dell’assimilazione ad una delle condotte per le quali il contratto collettivo prevedeva solo una sanzione conservativa, specularmente il licenziamento potesse essere legittimamente comminato laddove la condotta in concreto tenuta dal lavoratore, ancorchè difforme dalle cause di licenziamento contemplate nel contratto, fosse ad esse del tutto assimilabile per gravità. Evidenziava come, pur non potendo ritenersi configurata nel caso in esame la condotta tipizzata nel contratto collettivo come idonea ad integrare giusta causa di licenziamento (più di cinque assenze ingiustificate nell’arco di un anno), tuttavia la condotta in concreto accertata a carico del lavoratore presentava le medesime connotazioni di disvalore rispetto a quella tipizzata, sia sul piano oggettivo che sotto il profilo soggettivo, determinando un’ irreversibile lesione dell’elemento fiduciario e legittimando il giudizio prognostico sfavorevole in merito alla correttezza delle future condotte del lavoratore.

5. In particolare, il C. senza giustificato motivo, per quattro volte in uno spazio temporale di meno di due mesi, non si era presentato al lavoro, mostrando totale noncuranza dei doveri su di lui incombenti e ponendo in essere una condotta parimenti irrispettosa dell’obbligo di svolgere con diligenza e puntualità la prestazione lavorativa, abbandonando senza alcuna ragione apprezzabile il posto di lavoro. Era, poi, irrilevante, secondo la Corte – la circostanza che il datore di lavoro avesse definito formalmente in modo errato nella lettera di licenziamento tutte le condotte materiali come “assenze ingiustificate”, laddove in alcuni casi si trattava più correttamente di abbandono del posto di lavoro (episodio del 30.9.2015). Anche il riferimento nella lettera di licenziamento ad una molteplicità di contestazioni precedenti, alcune delle quali non prese in considerazione dal giudice di primo grado per irregolarità formali nel procedimento ex art. 7 della L. 300/70, relative ad assenze o abbandoni del posto di lavoro superiori a cinque, non atteneva alla determinazione quantitativa delle assenze sul piano matematico, ai fini dell’applicazione del c.c.n.l., ma, sia pure attraverso tale richiamo, atteneva ad una condotta continuativa inaffidabile di “assenze” (non in senso strettamente tecnico) ingiustificate da parte del lavoratore. Per la concentrazione temporale delle condotte considerate, omogenee quanto a disvalore, doveva ritenersi essere stato integrato un inadempimento ben più grave che non l’assenza ripetuta per più di cinque volte in un anno, prevista dal c.c.n.l..

6. La gravità della condotta risultava, poi, secondo la Corte, dimostrata, sebbene ciò non fosse necessario, anche dalla precedente, ma in termini temporali del tutto contigua, condotta del 18.9.2015, non contestata quale recidiva e punita quale semplice ritardo con la multa, trattandosi di condotta valutabile sul piano soggettivo nonchè sul piano oggettivo ai fini dell’apprezzamento della gravità dei fatti contestati.

7. Di tale decisione domanda la cassazione C.I.V., affidando l’impugnazione ad unico motivo, cui resiste, con controricorso, la società, che propone ricorso incidentale condizionato, affidato a due motivi.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorrente principale denunzia violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto e di c.c.n.l. applicabili al caso di specie per avere la Corte d’appello trentina adottato la propria decisione omettendo una corretta valutazione dell’art. 88 lett. e) del c.c.n.l. relativo al settore edilizia artigianato sottoscritto nel 2008, come applicabile al rapporto di lavoro in essere tra le parti in ragione del richiamo allo stesso nel contratto di lavoro del 26.9.2014, nonchè degli artt. 2014, 2106 e 2119 c.c., della L. n. 300 del 1970, art. 7, della L. n. 183 del 2010, art. 30, comma 3, e dell’art. 112 c.p.c., assumendo che il licenziamento era stato intimato con lettera 6.1.2015, nella quale si faceva riferimento alle assenze ingiustificate del lavoratore in misura superiore a cinque in un arco di tempo annuale, laddove era stato, invece, accertato in entrambi i gradi di giudizio che le assenze ingiustificate dal lavoro si erano verificate per soli quattro giorni.

2. Preliminarmente, sebbene si condivida il principio ripetutamente affermato da questa Corte (cfr., tra le altre, da ultimo Cass. 12805/2018) secondo cui, quando sia denunziata in ricorso la violazione di norme del contratto collettivo, la deduzione della violazione deve essere accompagnata dalla trascrizione integrale della clausola, al fine di consentire alla Corte di individuare la ricorrenza della violazione denunziata (cfr. Cass. n. 25728 del 2013; n. 2560 del 2007; n. 24461 del 2005), oltre che dal deposito integrale della copia del contratto collettivo (Cass. SU n. 20075 del 2010) o dalla indicazione della sede processuale in cui detto testo è rinvenibile (Cass. SU n. 25038 del 2013), e si convenga sull’irrilevanza della successiva produzione del CCNL, priva di efficacia sanante anche per inapplicabilità dell’art. 372 c.p.c., ove si sia verificata una preclusione (Cass. n. 131/2019, Cass. n. 23806 del 2011; Cass. n. 2855 del 2009), nella specie tale profilo è superabile ove si consideri che si tratta di applicazione di norme del c.c.n.l. di riferimento sul cui contenuto non vi è contrasto tra le parti.

3. Questa Corte ha ben chiarito che, in tema di licenziamento disciplinare, rientra nell’attività sussuntiva e valutativa del giudice di merito la verifica della sussistenza della giusta causa, con riferimento alla violazione dei parametri integrativi posti dal codice disciplinare del c.c.n.l., le cui previsioni, anche quando la condotta del lavoratore sia astrattamente corrispondente alla fattispecie tipizzata contrattualmente, non sono vincolanti per il giudice, dovendo la scala valoriale ivi recepita costituire uno dei parametri cui fare riferimento per riempire di contenuto la clausola generale di cui all’art. 2119 c.c., attraverso un accertamento in concreto della proporzionalità tra sanzione ed infrazione sotto i profili oggettivo e soggettivo (così, tra le tante, Cass. 16.4.2018 n. 9396; Cass. 26.9.2018 n. 23020). Ne consegue che le parti ben possano sottoporre il risultato della valutazione cui è pervenuto il giudice di merito all’esame della S.C., sotto il profilo della violazione del parametro integrativo della clausola generale costituito dalle previsioni del codice disciplinare.

4. Con particolare riferimento agli artt. 2119 e 2118 c.c., alla L. n. 604 del 1966, art. 3, agli artt. del c.c.n.l., occorre considerare che la giusta causa di licenziamento, quale fatto “che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto”, è una nozione che la legge – allo scopo di un adeguamento delle norme alla realtà da disciplinare, articolata e mutevole nel tempo – configura con una disposizione (ascrivibile alla tipologia delle c.d. clausole generali) di limitato contenuto, delineante un modulo generico che richiede di essere specificato in sede interpretativa, mediante la valorizzazione sia di fattori esterni relativi alla coscienza generale, sia di principi che la stessa disposizione tacitamente richiama; è solo l’integrazione giurisprudenziale, a livello generale ed astratto, della nozione di giusta causa o di giustificato motivo soggettivo che si colloca sul piano normativo e consente una censura per violazione di legge; mentre l’applicazione in concreto del più specifico canone integrativo, così ricostruito, rientra nella valutazione di fatto devoluta al giudice di merito e non è censurabile in sede di legittimità se non per vizio di motivazione, (cfr. Cass. n. 7838 del 2005; Cass. n. 21214 del 2009; Cass. 6901 del 2016; Cass. n. 18715 del 2016); è stato precisato come il giudizio di proporzionalità o adeguatezza della sanzione dell’illecito commesso – istituzionalmente rimesso al giudice di merito – si sostanzia nella valutazione della gravità dell’inadempimento imputato al lavoratore in relazione al concreto rapporto e a tutte le circostanze del caso, dovendo tenersi al riguardo in considerazione la circostanza che tale inadempimento deve essere valutato in senso accentuativo rispetto alla regola generale della “non scarsa importanza” di cui all’art. 1455 c.c., sicchè l’irrogazione della massima sanzione disciplinare risulta giustificata soltanto in presenza di un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali (L. n. 604 del 1966, art. 3) ovvero addirittura tale da non consentire la prosecuzione neppure provvisoria del rapporto (art. 2119 c.c.), (cfr. Cass. 28.5.2019 n. 14504, con richiamo a Cass. 18715 del 2016; Cass. n. 21965 del 2007; Cass., n. 25743 del 2007);

5. In sostanza: in materia disciplinare, non è vincolante la tipizzazione contenuta nella contrattazione collettiva ai fini dell’apprezzamento della giusta causa di recesso, rientrando il giudizio di gravità e proporzionalità della condotta nell’attività sussuntiva e valutativa del giudice, purchè vengano valorizzati elementi concreti, di natura oggettiva e soggettiva, della fattispecie, coerenti con la scala valoriale del contratto collettivo, oltre che con i principi radicati nella coscienza sociale, idonei a ledere irreparabilmente il vincolo fiduciario (cfr., Cass. 7.11.2018 n. 28492, 9396/2018, Cass. 27238/2018).

6. Tali principi sono stati riaffermati, da ultimo, da Cass. 16.7.2019 n. 19023, che ha evidenziato come l’elencazione delle ipotesi di giusta causa di licenziamento contenuta nei contratti collettivi ha, al contrario che per le sanzioni disciplinari con effetto conservativo, valenza meramente esemplificativa, sicchè non preclude un’autonoma valutazione del giudice di merito in ordine alla idoneità di un grave inadempimento o di un grave comportamento del lavoratore, contrario alle norme della comune etica o del comune vivere civile, a far venire meno il rapporto fiduciario tra datore di lavoro e lavoratore (cfr., in termini, Cass. n. 27004 del 2018 ed ivi le richiamate Cass. n. 14321 del 2017; Cass. n. 2830 del 2016 e Cass. n. 9223 del 2015); ne consegue che il giudice chiamato a verificare l’esistenza della giusta causa o del giustificato motivo soggettivo di licenziamento incontra solo il limite che non può essere irrogato un licenziamento per giusta causa quando questo costituisca una sanzione più grave di quella prevista dal contratto collettivo in relazione ad una determinata infrazione (id est: alla condotta contestata al lavoratore) (oltre Cass. n. 27004 del 2018 e Cass. n. 14321 del 2017 citate anche Cass. n. 6165 del 2016 e n. 19053 del 2005). In definitiva, la scala di valori recepita dai contratti collettivi esprime le valutazioni delle parti sociali in ordine alla gravità di determinati comportamenti e costituisce solo uno dei parametri a cui occorre fare riferimento per riempire di contenuto le clausole generali di giusta causa e giustificato motivo soggettivo. Queste ultime possono anche non coincidere completamente o esaurirsi nelle previsioni della contrattazione collettiva. Ne discende che il giudice deve verificare la condotta, in tutti gli aspetti soggettivi ed oggettivi che la compongono, anche al di là della fattispecie contrattuale prevista (Cass. n. 27004 del 2018, in motivazione, p. 7.5.).

7. I medesimi principi risultano ribaditi, da ultimo, da Cass. 23.5.2019, nn. 14062 e 14063, laddove è stato affermato che le tipizzazioni delle fattispecie previste dal contratto collettivo nell’individuazione delle condotte costituenti giusta causa di recesso non sono vincolanti per il giudice, ma la scala valoriale formulata dalle parti sociali deve costituire uno dei parametri cui occorre fare riferimento per riempire di contenuto la clausola generale dell’art. 2119 c.c., e che “con la predisposizione del codice disciplinare, sebbene di solito in modo generico e meramente esemplificativo, l’autonomia collettiva individua infatti il limite di tollerabilità e la soglia di gravità delle violazioni degli artt. 2104 e 2105 c.c., in quel determinato momento storico ed in quel contesto aziendale. In tal senso, il codice disciplinare è stato richiamato dall’art. 7, dello statuto dei lavoratori in funzione di monito per il lavoratore e di garanzia di prevedibilità della reazione datoriale”. Pertanto, “pur non essendo vincolante la tipizzazione delle fattispecie previste dal contratto collettivo nell’individuazione delle condotte costituenti giusta causa di recesso, la scala valoriale ivi recepita deve costituire uno dei parametri cui occorre fare riferimento per riempire di contenuto la clausola generale dell’art. 2119 c.c., e le parti ben potranno sottoporre il risultato di tale valutazione cui è pervenuto il giudice di merito all’esame di questa Corte sotto il profilo della violazione del parametro integrativo della clausola generale costituito dalle previsioni del codice disciplinare” (cfr. Cass. 1463/2019 cit.).

8. Con riguardo al caso oggetto della presente controversia, la contestazione aveva riguardo a specifica ipotesi prevista dalla contrattazione collettiva in tema di licenziamento senza preavviso ed il disvalore espresso dalla condotta tipizzata (“assenze ingiustificate per cinque volte nel periodo di un anno”) è stato ritenuto parificabile a quella del comportamento tenuto dal lavoratore quale risultato provato in causa (quattro assenze in periodo bimestrale, al netto di condotte non contestate o punite con precedente sanzione conservativa).

9. Nè può ritenersi che il corredo difensivo del lavoratore, apprestato per l’addebito rapportato alla fattispecie richiamata nel c.c.n.l., in concreto contestata e posta a fondamento del recesso senza preavviso, fosse tale da non coprire anche la fattispecie ritenuta verificatasi in concreto, rispetto alla quale il giudice del merito ha espresso le proprie valutazioni in relazione alla riconducibilità della stessa alla nozione di giusta causa, sempre avendo presente il parametro integrativo della clausola generale costituito dalle previsioni del codice disciplinare, in coerenza con i principi giurisprudenziali espressi da questa Corte sopra richiamati.

10. Peraltro, deve considerarsi che, con riguardo ad una pluralità di fatti contestati, quali devono ritenersi le assenze ingiustificate addebitate al lavoratore in numero di cinque, anche una condotta che si concreti nella parziale realizzazione, ma pur sempre rilevante in termini quantitativi, della fattispecie addebitata, può ben costituire la base idonea per giustificare la medesima sanzione, a meno che colui che ne abbia interesse, non provi che solo presi in considerazioni tutti i fatti congiuntamente per la loro complessiva gravità, essi siano tali da non consentire la prosecuzione, neppure provvisoria, del rapporto di lavoro. A ciò consegue che, salvo questo specifico caso, ove nel giudizio di merito emerga l’infondatezza di uno o più degli addebiti contestati, gli addebiti residui conservino la loro astratta idoneità a giustificare il licenziamento (cfr., per ipotesi sia pure non del tutto parificabili, ma per l’affermazione di principi di carattere generale, Cass. 30.5.2014 n. 12195, Cass. 2.2.2009 n. 2579, Cass. 14.1.2003 n. 454).

11. Vero è che potrebbe nella fattispecie in esame pur sempre osservarsi, come del resto evidenziato dal ricorrente, che le parti collettive abbiano previsto sanzioni conservative, via via più gravi (dall’ammonizione alla sospensione) per ipotesi di assenze ingiustificate dal lavoro (“non si presenti al lavoro o si presenti in ritardo senza giustificato motivo”), arrivando a configurare, in ipotesi, quale fattispecie rilevante ai fini dell’applicazione di sanzione meramente conservativa anche quella di assenze ingiustificate inferiori a cinque. Tuttavia, nella specie la dimostrata concentrazione delle quattro assenze in un periodo bimestrale, e, sia pure prescindendo dal riferimento ad una molteplicità di contestazioni precedenti – alcune delle quali non prese in considerazione dal giudice di primo grado per irregolarità formali -, quanto meno la precedente e contigua condotta non contestata quale recidiva e punita quale semplice ritardo con la multa, “ancorchè fosse emerso dal foglio presenze che l’assenza risultasse per tutta la giornata, come del resto ammesso nella lettera datata 1.01.2015, dimessa dallo stesso appellante” (così a pag. 16 della sentenza impugnata), sono state correttamente valutate quale comportamento rilevante, sia sul piano soggettivo, sia sul piano oggettivo, ai fini dell’apprezzamento della gravità dei fatti contestati.

11. In definitiva, la condotta contestata nei termini in cui è risultata provata in causa, proprio avendo riguardo alla scala valoriale contenuta nel c.c.n.l. – le cui previsioni disciplinari costituiscono, per quanto detto, il parametro integrativo della clausola generale – è stata ritenuta integrare la fattispecie più grave, sanzionata con il licenziamento, in quanto parificabile in termini di disvalore sociale alla fattispecie tipizzata dal c.c.n.l., anzichè all’ipotesi, anche nella sua massima gravità, presidiata da sanzione solo conservativa.

12. Alle svolte considerazioni consegue l’assorbimento del ricorso incidentale, proposto dalla società condizionatamente all’accoglimento del ricorso principale, con il quale sono dedotte violazione dell’art. 12 preleggi, e dell’art. 88 c.c.n.l. 2008-2014 e motivazione inesistente, con riguardo alla mancata considerazione di assenze al lavoro non adeguatamente valutate ai fini della integrazione della fattispecie disciplinarmente rilevante quale contestata ed anche in relazione alla erronea ritenuta mancanza di rituale e tempestiva contestazione disciplinare.

13. In conclusione, deve pervenirsi al rigetto del ricorso principale, che determina l’assorbimento dell’incidentale condizionato.

14. Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza del ricorrente principale e sono liquidate in dispositivo.

15. Sussistono per il ricorrente principale le condizioni di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

PQM

La Corte rigetta il ricorso principale, assorbito quello incidentale. Condanna il ricorrente principale al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in Euro 200,00 per esborsi, Euro 4500,00 per compensi professionali, oltre accessori di legge, nonchè al rimborso delle spese forfetarie nella misura del 15%.

Ai sensi del D.P.R. n. 30 maggio 2002 art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dell’art. 13, comma 1 bis, del citato D.P.R., ove dovuto.

Così deciso in Roma, il 14 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 6 agosto 2020

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