Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16782 del 23/07/2014

Civile Sent. Sez. 3 Num. 16782 Anno 2014
Presidente: RUSSO LIBERTINO ALBERTO
Relatore: STALLA GIACOMO MARIA

SENTENZA
sul ricorso 25732-2011 proposto da:
M.A.

considerata

domiciliata ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA
DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa
dall’avvocato A.I. giusta procura a
margine del ricorso;
– ricorrente contro

ISTITUTI RIUNITI DI VIGILANZA, in
persona dell’Amministratore Sig.ra A.I.,
considerata domiciliata ex lege in ROMA, presso la

1

Data pubblicazione: 23/07/2014

CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata
e difesa dall’avvocato G. V. giusta
procura a margine del controricorso;
– controricorrente

avverso la sentenza n. 351/2011 della CORTE D’APPELLO

1996/2005;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 21/05/2014 dal Consigliere Dott. G.A.;
udito l’Avvocato A.I.;
udito l’Avvocato V.I.;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. I.P. che ha concluso per
l’inmmissibilita’.

 

di CATANZARO, depositata il 30/03/2011 R.G.N.

Ric.n. 25732/11 rg. – Ud. del 21 maggio 2014.

Svolgimento del giudizio.

Il 20 novembre 1997 la Istituti Riuniti di Vigilanza
proponeva opposizione avverso il decreto con il quale veniva
. ingiunta di pagare a M.M. la somma di circa 86 milioni
di lire, oltre accessori, a titolo di prestazioni professionali

(come da parcella vistata dall’ordine professionale di
appartenenza). A sostegno dell’opposizione deduceva che le
prestazioni professionali dedotte nel decreto ingiuntivo non erano
state eseguite e, comunque, rientravano in un diverso accordo tra
le parti (lettera di incarico l” maggio 1997), in forza del quale
la M. avrebbe dovuto ordinariamente occuparsi, a fronte di un
compenso fisso mensile di lire 1.900.000, della gestione
contabile, amministrativa e societaria della Istituti Riuniti di
Vigilanza.
Nella costituzione in giudizio della M., interveniva la
sentenza 20 maggio 2005 con la quale l’adito tribunale di Cosenza
confermava il decreto ingiuntivo opposto.
A seguito di gravame da parte della Istituti Riuniti di
Vigilanza, veniva emessa la sentenza n. 351 del 30 marzo 2011
con la quale la corte di appello di Catanzaro, in riforma della
sentenza di primo grado, revocava il decreto ingiuntivo opposto e
condannava la M. a restituire le somme incassate in
provvisoria esecuzione di quest’ultimo; oltre interessi e spese.
/
Avverso tale sentenza viene dalla M. proposto ricorso per
cassazione sulla base di cinque articolati motivi, ai quali

svolte da quest’ultima nella sua qualità di dottore commercialista

Ric.n. 25732/11 rg. – Ud. del 21 maggio 2014.

resiste con controricorso la Istituti Riuniti di Vigilanza srl. E’
stata depositata memoria ex art.378 cod.proc.civ. da parte di
quest’ultima, con richiesta altresì di condanna della M. alla
. rifusione delle spese di due procedimenti incidentali di
sospensione nelle more dalla stessa proposti, avanti alla corte di

Motivi della decisione.

Con il primo motivo di ricorso, la M. lamenta, ex

articolo 360, 1″ co.n.3) cod.proc.civ., violazione o falsa
applicazione degli articoli 112, 115, 345 c.p.c., nonché 2237
cod.civ., poiché la corte di appello non avrebbe tenuto conto del
fatto che soltanto in sede di gravame la società appellante aveva
per la prima volta contestato la debenza della somma ingiunta in
ragione del parametro della ‘non utilità’ delle prestazioni
professionali espletate; là dove, fino a quel momento, la
contestazione era stata da essa fondata su un diverso parametro,
insito nella ricomprensione delle prestazioni professionali
dedotte nell’attività ordinaria di assistenza di cui alla lettera
di incarico l^ maggio 97 cit.. Ciò aveva comportato l’indebito
ingresso in giudizio di un nuovo motivo di opposizione,
inammissibile ex articolo 345 cod.proc.civ..
Con il secondo motivo di ricorso la M. lamenta questo
stesso profilo nella prospettiva della violazione ex articolo 360,
1^ co.n.5) cod.proc.civ., dal momento che la corte territoriale
non aveva motivato alcunché sul fatto che il criterio della
utilità fosse stato introdotto dalla controparte soltanto in

appello di Catanzaro, ex art.373 cod.proc.civ..

Ric.n. 25732/11 rg. – Ud. del 21 maggio 2014.

appello e, di conseguenza, non aveva motivato in ordine alla
novità della domanda così inammissibilmente introdotta.

Questi due motivi di ricorso sono suscettibili di

trattazione unitaria, perché entrambi basati – ora come violazione
normativa, ora come carenza motivazionale – sul mancato rilievo da

parte della corte di appello della novità della domanda con la
quale la Istituti Riuniti di Vigilanza aveva chiesto in
appello la revoca del decreto ingiuntivo in ragione della mancata
utilità delle prestazioni professionali.
Essi sono infondati.
Va infatti considerato che: – il richiamo alla ‘non utilità’
per la società dell’attività professionale svolta dalla M. non
integrava ‘domanda nuova’ (la domanda era infatti rimasta ferma
nella revoca del decreto ingiuntivo opposto), ma mero argomento
difensivo di non debenza, come tale non precluso in appello ex
articolo 345 cod.proc.civ; – esso non concretava nemmeno un nuovo
motivo di opposizione al decreto ingiuntivo, posto che l’elemento
della funzionalità della propria attività professionale
all’interesse della società ingiunta era stato introdotto in
giudizio, già in primo grado, dalla stessa M.; e su di esso si
era già in quel grado instaurato il contraddittorio; – in ogni
caso, è proprio quest’ultima ad osservare (ric.pag.9) che la
decisione di riforma della corte di appello non si è basata, se
non del tutto incidentalmente ed in maniera generica, sul

parametro (asseritamente ‘nuovo’) della utilità/non-utilità delle/
prestazioni professionali; ispirandosi invece al diverso ed

Ric.n. 25732/11 rg. – Ud. del 21 maggio 2014.

assorbente criterio, dedotto dalla società fin dall’atto di
opposizione a decreto ingiuntivo, della inclusione di tali
prestazioni nell’incarico retribuito con compenso fisso mensile.

Con il terzo ed articolato motivo di ricorso, la M.

lamenta, ex articolo 360, l^ co.nn.3), 4) e 5) cod.proc.civ.,

decisivo, nonché violazione dei principi di correlazione tra il
chiesto ed il pronunciato, di mancata contestazione e di divieto
di novità in appello.
Ciò,

segnatamente,

per

quanto

concerneva

il

mancato

riconoscimento da parte della corte di appello (per giunta, sulla
scorta di una motivazione mancante o insufficiente):
a) delle indennità per certificazioni tributarie; inopinatamente
escluse dal giudice di appello in quanto asseritamente già
ricomprese nell’incarico fisso mensile, mentre la Istituti
Riuniti di Vigilanza ne aveva contestato la debenza per
una diversa ragione, insita nella eccessività del

quantum

richiesto rispetto alle sensibilmente più basse tariffe
usualmente applicate dalle agenzie di pratiche fiscali;
b) degli onorari per la partecipazione a riunioni presso
l’ufficio del lavoro per incontri sindacali e contratti di
solidarietà, inopinatamente esclusi dalla corte territoriale
perché ritenuti ricompresi nell’incarico fisso mensilmente
remunerato; la decisione della corte di appello era, sul
punto, erronea perché frutto di una impropria interpretazione
della volontà negoziale delle parti, così come trasfusa nella

omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto

Ric.n. 25732/11 rg. – Ud. del 21 maggio 2014.

citata lettera d’incarico (relativa alla gestione ordinaria
delle pratiche di competenza del commercialista, non anche
all’attività straordinaria finalizzata, come osservato dalla
stessa corte territoriale, all’adozione di ‘efficaci
strategie aziendali’, quale quella da lei espletata nelle

c) del maggior compenso a titolo di ‘diagnosi e relativa

consulenza

generale’, concretatasi: – nella predisposizione

di un CED all’interno dell’azienda per l’elaborazione dei
dati e la gestione informatica dei clienti; – nella
realizzazione ex novo di un archivio amministrativo del
personale, esulante dalla ‘gestione normale’ di cui alla
lettera di incarico e da lei svolta con l’ausilio di un
proprio collaboratore esterno, sentito come teste (dott.sa
M.); – nella messa a punto di procedure organizzative
degli uffici e dell’analisi di bilancio; nemmeno questa
relativa alla gestione ordinaria, ed i cui effetti non si
erano palesati perché tale attività si era protratta per soli
due mesi, fino al recesso dal rapporto, intimato ex articolo
2237 cod.civ.; – nella partecipazione a riunioni fuori sede
(in Roma), escluse dal giudice di secondo grado perché non
comprovatamente da lei svolte a favore della Istituti Riuniti
di Vigilanza , invece che a favore di altra società di
vigilanza, la Europol; tale esclusione doveva ritenersi
illegittima perché, una volta eccepito che quest’attività er
stata svolta a favore di un soggetto diverso, era onere della

riunioni in oggetto);

Ric.n. 25732/11 rg. – Ud. del 21 maggio 2014.

Istituti Riuniti di Vigilanza fornirne la prova (nella
specie non raggiunta); inoltre, il giudice di merito non
aveva considerato che nel periodo delle riunioni in questione
la società aveva designato proprio direttore generale il
comandante operativo di Europol (come da lettera del 15 marzo

potuto ingenerare confusione, senza peraltro escludere che
alle riunioni in oggetto ella avesse prestato attività
nell’esclusivo interesse della Istituti Riuniti di Vigilanza.

Si tratta di doglianza inammissibile.

La corte di appello, come detto, ha basato il proprio
convincimento sull’inclusione delle prestazioni professionali
dedotte in ingiunzione nella lettera di incarico 1.5.’97, recante
un compenso fisso mensile.
Tale lettera di incarico – testualmente riportata in sentenza
(pag.7) – attribuiva alla M. il compito di curare

“tutta

l’assistenza e consulenza necessaria in relazione agli adempimenti
contabili, amministrativi e societari previsti dalla normativa
vigente”.
medesima

Nell’espletamento del compito affidato, spettava alla
“l’obbligo professionale del coordinamento,

dell’organizzazione e del controllo”. Veniva dalle parti prevista
l’eventualità che la M. ricevesse somme aggiuntive rispetto al
fisso mensile, ma unicamente a titolo di rimborso di
“per prestazioni non rientrant

anticipazioni, ovvero di onorari
nella normale gestione”.
8

’97, non esaminata dalla corte di appello); il che aveva

Ric.n. 25732/11 rg. – Ud. del 21 maggio 2014.

Orbene, la corte territoriale – ricostruendo l’effettiva
volontà delle parti – ha interpretato tale accordo conformemente
ai canoni legali di cui agli artt.1362 segg. cod.civ. (la cui
specifica violazione, del resto, nemmeno è stata dedotta dalla
ricorrente) e, per altro verso, ha dato ampia, articolata e

istruttorie conseguite, doveva ritenersi che le prestazioni
professionali ingiunte rientrassero nella pattuizione del compenso
fisso mensile (la cui corresponsione era rimasta estranea al
contendere), in quanto relative ad attività di normale gestione
contabile, amministrativa e societaria.
In particolare, sul mancato riconoscimento dell’indennità per
certificazioni tributarie (sent.pag.14,15); sugli onorari per la
partecipazione a riunioni presso l’ufficio del lavoro
(sent.pag.12); sulle attività di ‘diagnosi e la relativa
consulenza generale’, mediante predisposizione (non attuata) del
CED aziendale (sent.pag.10), di creazione dell’archivio
amministrativo del personale (sent.pag.8), di predisposizione
delle procedure organizzative degli uffici ed analisi di bilancio
(sent.pag.13), di partecipazione a riunioni in Roma (sent.pag.14),
il giudice di merito ha adeguatamente soppesato il quadro
documentale e testimoniale, concludendo nel senso che:

“l’insieme

delle attività curate dalla M. rientra quindi nell’oggetto
dell’incarico conferito con riguardo a ‘tutta l’assistenza e
consulenza necessaria in relazione agli adempimenti contabili,/1
amministrativi e societari previsti dalla normativa vigente/ ,

puntuale motivazione del perché, sulla scorta delle risultanze

Ric.n. 25732/11 rg. – Ud. del 21 maggio 2014.

anche

con

riferimento

alle

certificazioni

tributarie

e

dell’ufficio del lavoro” .
E’ principio consolidato che la deduzione dì un vizio di
motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione
conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare

controllo, bensì la sola facoltà di controllare, sotto il profilo
della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, le
argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale spetta in
via esclusiva il compito di individuare le fonti del proprio
convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne
l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive
risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a
dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così
liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova
acquisiti (salvo i casi tassativamente previsti dalla legge); ne
consegue che il preteso vizio di motivazione, sotto il profilo
della omissione, insufficienza, contraddittorietà della medesima,
può dirsi sussistente solo quando, nel ragionamento del giudice di
merito, sia rinvenibile traccia evidente del mancato (o
insufficiente) esame dei punti decisivi della controversia,
prospettato dalle parti o rilevabile d’ufficio, ovvero quando
esista insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente
adottate, tale da non consentire l’identificazione del
procedimento logico-giuridico posto a base della decisione
multis,

(ex Cass. n. 8718 del 27/04/2005). Si è inoltre stabilito

il merito dell’ intera vicenda processuale sottoposta al suo

Ric.n. 25732/11 rg. – Ud. del 21 maggio 2014.

(Sez.

U., n.

24148 del 25/10/2013) che la motivazione omessa o

insufficiente è configurabile soltanto qualora dal ragionamento
del giudice di merito, come risultante dalla sentenza impugnata,
emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre
ad una diversa decisione, ovvero quando sia evincibile l’obiettiva

logico che lo ha indotto, sulla base degli elementi acquisiti, al
suo convincimento, ma non già quando, invece, vi sia difformità
rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte ricorrente sul
valore e sul significato dal primo attribuiti agli elementi
delibati, risolvendosi, altrimenti, il motivo di ricorso in
un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del
convincimento di quest’ultimo tesa all’ottenimento di una nuova
pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed ai fini
del giudizio di cassazione.
Nel ragionamento logico-giuridico seguito dalla corte di
appello non sono individuabili i vizi qui astrattamente rilevanti;
trattandosi di ragionamento coerente e sufficientemente chiaro nel
ricostruire la fattispecie concreta e nel ricondurla ad una
determinata disciplina negoziale (la lettera di incarico più volte
citata).
Dallo stesso tenore del motivo di ricorso, su riportato, si
palesa autoevidente come la M. miri in realtà ad
inammissibilmente ottenere la globale rivisitazione fattuale della
vicenda attraverso una diversa, ed a sé più favorevole,
valutazione del compendio probatorio; senonchè, alla cassazione
11

carenza, nel complesso della medesima sentenza, del procedimento

Ric.n. 25732/11 rg. – Ud. del 21 maggio 2014.

della sentenza per vizio della motivazione può pervenirsi solo
se risulti che il ragionamento del giudice dì merito, come
risultante dalla sentenza, sia incompleto, incoerente ed illogico;
non già quando il giudice del merito abbia semplicemente
attribuito agli elementi considerati un valore ed un significato

aprile 2004 n. 7201; Cass. 14 febbraio 2003 n. 2222; SSUU 27
dicembre 97 n. 13045).

Con il quarto motivo di ricorso, la M. lamenta omessa,

insufficiente o contraddittoria motivazione su un punto decisivo,
perché la corte di appello aveva escluso il compenso relativo:
a) ai contatti con le banche, e ciò sulla scorta di una
approssimativa ed insufficiente valutazione del compendio
testimoniale; dal momento che il primo teste considerato
dalla corte di appello aveva in realtà confermato tali
contatti, mentre il secondo teste ben poteva non essere a
conoscenza di questi ultimi poiché, all’epoca dei fatti, non
era nè direttore di filiale nè addetto ai rapporti con le
imprese;
b) alla pratica del doppio inquadramento Inps; in quanto
asseritamente svolta in via esclusiva dai legali della
società là dove, al contrario, ella aveva fattivamente
collaborato con questi ultimi sulla base delle proprie
competenze di commercialista; tanto da redigere la relazione
di supporto 8 giugno ’97, prodotta in giudizio, poi allegata

 

difformi dalle aspettative e dalle deduzioni di parte (Cass. 15

Ric.n. 25732/11 rg. – Ud. del 21 maggio 2014.

dai legali ad una loro relazione inviata sull’argomento
all’Inps.
Il motivo è inammissibile al pari di quello precedente, e per
le stesse considerazioni già svolte.
Sui rapporti con le banche, la corte territoriale (sent.pag.10)

M., attrice in senso sostanziale) del ruolo asseritamente
rivestito in proposito dalla ricorrente; rinvenendo nel
testimoniale qualificato (depp.R. G., S.)
argomenti assai poco concludenti nel senso voluto dalla medesima.
Analogamente è a dire per la pratica del doppio inquadramento
Inps, il cui svolgimento è stato attribuito dai testi (depp.M.
e, soprattutto, G.) a soggetti diversi dalla M.
(sent.pag.9-11), e della quale quest’ultima potè comunque
occuparsi nell’ambito dell’attività ordinaria di consulenza ed
assistenza.
Anche in tal caso, ci si trova dunque di fronte alla
inammissibile sollecitazione di un ‘terzo grado’ di giudizio, con
la quale si vorrebbe sostenere non già un vizio logico-giuridico
nel ragionamento del giudice di merito, bensì una diversa
valutazione probatoria.
§ 4. Con il quinto motivo di ricorso la M. deduce violazione o

falsa applicazione di norme di diritto sostanziali e processuali
(articolo 345 cod.proc.civ.), sotto il profilo che la corte d
appello aveva accolto la domanda della società di sua condanna a
restituire quanto percepito in forza del decreto ingiuntivo,
13

ha escluso che fosse stata raggiunta la prova (ad onere della

Ric.n. 25732/11 rg. – Ud. del 21 maggio 2014.

nonostante che tale domanda – pur potendo essere dedotta già nel
corso del primo grado di giudizio – fosse stata proposta per la
prima volta in appello. Ciò perché, diversamente da quanto
sostenuto dalla corte territoriale, si trattava nella specie di
pagamento basato non già sulla sentenza del tribunale, bensì sul

Il motivo è infondato, poiché la domanda della società volta ad
ottenere la restituzione di quanto pagato in forza del decreto
ingiuntivo provvisoriamente esecutivo aveva anch’essa natura
consequenziale ed accessoria rispetto a quella con la quale la
società stessa aveva chiesto, in appello, la riforma della
sentenza che aveva rigettato l’opposizione a decreto ingiuntivo.
Ricorre dunque anche in questo caso la ratio di cui agli articoli
345, primo comma (natura accessoria e consequenziale della domanda
proposta in appello) e 336 cod.proc.civ. (estensione degli effetti
della riforma ad ogni atto dipendente dalla sentenza riformata),
con conseguente esclusione della lamentata novità; posto che anche
il pagamento così effettuato veniva meno, nella sua causa
giustificativa, solo a seguito della caducazione della sentenza di
primo grado, confermativa del decreto opposto.
Ne segue il rigetto del ricorso, con condanna di parte
ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio di
cassazione che si liquidano, come in dispositivo, ai sensi del DM
10 marzo 2014 n.55.
Deve inoltre trovare accoglimento la domanda di condanna dell
M. alla rifusione altresì delle spese dei due procedimenti
14

decreto ingiuntivo reso provvisoriamente esecutivo.

Ric.n. 25732/11 rg. – Ud. del 21 maggio 2014.

incidentali dalla stessa proposti, ex art.373 cod.proc.civ., nelle
more della presente decisione. Si tratta di procedimenti definiti
dalla corte di appello di Catanzaro con ordinanze reiettive
dell’istanza di sospensione (versate in atti ex art.372 cpc), e le
cui spese debbono essere liquidate da questa corte di legittimità

7248).
P clin

La Corte
rigetta il ricorso;
condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del
presente giudizio di cassazione nonché di quelle dei due
procedimenti ex art.373 cod.proc.civ., che complessivamente
liquida in euro 8.200,00, di cui euro 200,00 per esborsi ed il
resto per compenso professionale; oltre rimborso forfettario spese
generali ed accessori di legge.
Così deciso nella camera di consiglio della terza sezione civile
in data 21 maggio 014.

(Cass. 25.2.04 n. 3738; Cass.11.2.09 n. 3341; Cass. 25.3.09 n.

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