Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16781 del 29/07/2011

Cassazione civile sez. lav., 29/07/2011, (ud. 05/04/2011, dep. 29/07/2011), n.16781

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio – Presidente –

Dott. DE RENZIS Alessandro – Consigliere –

Dott. FILABOZZI Antonio – Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – rel. Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

R.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

CIRCONVALLAZIONE CLODIA 5, presso lo studio dell’avvocato SCIARRA

NICOLINO, che la rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DELLA FREZZA 17, presso l’Avvocatura Centrale

dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati, CALIULO LUIGI,

SGROI ANTONINO, MARITATO LELIO, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso il provvedimento n. 245/2009 del TRIBUNALE di VASTO,

depositata il 12/06/2009 R.G.N. 272/07;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

05/04/2011 dal Consigliere Dott. LUCIA TRIA;

udito l’Avvocato SCIARRA NICOLINO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA Marcello, che ha concluso per l’accoglimento del primo motivo,

assorbiti gli altri.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1- La sentenza attualmente impugnata respinge il ricorso di “opposizione agli atti esecutivi” proposto da R.M. avverso l’atto di precetto notificatole il 23 maggio 2007, con il quale le è stato intimato, nella qualità di socia della SNC MENNA ALDO, SILVESTRI MARIO & SOCI EDILI A 82, il pagamento della complessiva somma di Euro 207.671,36, sulla base di due D.I. (n. 635 del 1988 del 3 dicembre 1988 e D.I. n. 575 del 1997 del 3 novembre 1997), entrambi aventi titolo in omesse corresponsioni di contributi previdenziali e assistenziali obbligatoli e relative sanzioni civili.

Secondo il Tribunale di Vasto, in primo luogo, deve essere respinta l’eccezione dell’opponente di sopravvenuta inesistenza del diritto ad agire dell’INPS derivante del decorso del termine di prescrizione decennale dalla formazione ed azionabilità del titolo esecutivo, con conseguente nullità del precetto azionato.

Infatti, sono intervenuti numerosi atti interruttivi del suddetto termine prescrizionale, come si desume sia dalla documentazione proveniente dalla società ed allegata dall’Ente convenuto al proprio atto di costituzione in giudizio (attestante la sussistenza del credito contributivo in oggetto), sia dalla documentazione prodotta dall’INPS a riprova dell’effettuato intervento nella procedura esecutiva immobiliare a carico della società debitrice.

Neppure può essere accolta, ad avviso del Tribunale, l’eccezione dell’opponente secondo cui sarebbe venuta meno la propria responsabilità per i debiti in argomento in seguito alla effettuata cessione della propria quota sociale. Infatti, ai sensi dell’art. 2290 cod. civ., la suddetta cessione non ha alcun rilievo nella specie, rimanendo il socio obbligato in solido con gli altri soci per l’adempimento dei debiti contratti dalla società nel periodo in cui rivestiva la qualità di socio.

Infine, il Tribunale respinge anche l’eccezione dell’opponente relativa alla mancata preventiva aggressione del patrimonio della società da parte dell’INPS, per essere venuto meno tale patrimonio in seguito alla cessazione di ogni attività da parte della società stessa.

2 – Il ricorso di R.M. domanda la cassazione della sentenza per quattro motivi; l’intimato INPS ha depositato procura speciale alle liti.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1 – Sintesi dei motivi.

1 – Con il primo motivo di ricorso, illustrato da quesito di diritto, si denuncia, a) violazione e falsa applicazione degli artt. 210, 416 e 437 cod. proc. civ. (in riferimento all’art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 3); b) insufficienza e illogicità della motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (in riferimento all’art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 5).

Si rileva come il Tribunale, senza adeguata motivazione, abbia consentito all’INPS, richiamando l’art. 210 cod. proc. civ., di produrre in giudizio alcuni documenti a proprio vantaggio al di fuori dei termini di decadenza previsti dall’art. 416 cod. proc. civ. e senza alcuna giustificazione sia con riguardo al tempo di formazione dei documenti prodotti (tutti antecedenti l’instaurazione del giudizio di primo grado), sia allo svolgimento del processo (visto che nel ricorso introduttivo erano state illustrate e specificate tutte le doglianze della R., sicchè l’INPS era stato posto in condizione di averne piena conoscenza fin dall’instaurazione del giudizio).

In tal modo, si conclude, il Tribunale ha operato, in favore dell’INPS, una rimessione in termini del tutto immotivata, anche il relazione all’art. 437 cod. proc. civ., e poi ha basato la decisione proprio sulla documentazione così illegittimamente prodotta dall’Ente.

2.- Con il secondo motivo, illustrato da quesito di diritto, si denuncia: a) violazione e falsa applicazione dell’art. 24 Cost., comma 2, artt. 101, 210, 416 e 437 cod. proc. civ., artt. 2934, 2935 e 2943 cod. civ. (in riferimento all’art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 3,); b) insufficienza e illogicità della motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (in riferimento all’art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 5).

Si sottolinea come il Tribunale di Vasto abbia addotto a sostegno della motivazione dell’impugnata sentenza, per il riconoscimento della validità del credito azionato derivante dalla ritenuta intervenuta interruzione della eccepita prescrizione, documenti in parte mai ritualmente acquisiti al giudizio e sottoposti al contraddittorio delle parti (atto di precetto del 6 settembre 1989, verbale di pignoramento mobiliare a carico dell’opponente dell’11 ottobre 1989, formale diffida di pagamento del 17 settembre 1999, precetto notificato il 6 aprile 2001, ulteriore verbale di pignoramento mobiliare del 19 giugno 2001) e, in parte, riferentisi ad M.A., legale rappresentante della società in oggetto e non alla R. (ivi compresa una copia dell’istanza, in data 23 ottobre 1997, presentata dall’INPS al Giudice dell’esecuzione nella procedura immobiliare in danno del M., priva del timbro del Tribunale attestante l’avvenuto deposito e pertanto non utilizzabile ai fini probatori).

3.- Con il terzo motivo, illustrato da quesito di diritto, si denuncia: a) violazione e falsa applicazione degli artt. 100, 112 e 479 cod. proc. civ., art. 2290 cod. civ. (in riferimento all’art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 3); b) insufficienza e illogicità della motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (in riferimento all’art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 5).

La ricorrente sostiene che la motivazione della sentenza sarebbe del tutto illogica e carente nella parte in cui ha ritenuto muniti di valida efficacia esecutiva nei propri confronti – nonostante il prodotto atto di cessione delle quote sociali risalente al 18 luglio 1988 e produttivo della perdita della qualità di socia della SNC EDILIZIA 82 – titoli esecutivi emessi in data successiva a quella suindicata, in esecuzione di crediti della cui anteriorità rispetto al tempo in cui l’intimata è uscita dalla società l’INPS non ha mai dato prova e che, comunque, non sono mai stati preceduti, unitamente con i relativi atti di precetto, da formale notifica nei confronti della R. stessa. Si assume, infatti, che per tabulas risulterebbe che la R. è venuta a conoscenza delle pretese dell’INPS solo con una lettera ricevuta in data 29 gennaio 2007, seguita dalla notifica dell’opposto precetto del 23 maggio 2007, cioè oltre diciannove anni dopo essere uscita dalla società di cui si tratta.

4.- Con il quarto motivo, illustrato da quesito di diritto, si denuncia: a) violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ. (in riferimento all’art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 3); b) insufficienza e illogicità della motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (in riferimento all’art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 5).

Si sostiene che il Tribunale abbia omesso di esaminare la regolarità del precetto opposto, pure regolarmente contestata, tralasciando, in particolare, di vagliare la regolarità dello stesso sotto il profilo della eccepita totale mancanza di coincidenza tra le somme risultanti dai titoli e quelle intimate, in assenza della indicazione dei criteri di calcolo utilizzati al riguardo. Ciò si tradurrebbe, infatti, nell’impossibilità di comprendere in base a quelle criterio di calcolo, a fronte di una sorte contributiva pari a Euro 42.126,01 (come indicata nei decreti ingiuntivi in argomento), si sia pervenuti a determinare l’ammontare delle sanzioni civili ex lege nella considerevole somma di Euro 164.923,66.

2 – Esame dei motivi 2 – a – Breve premessa sull’evoluzione della normativa riguardante il regime delle impugnazioni dei provvedimenti in materia di opposizioni esecutive.

5.- Deve essere, in primo luogo, ricordato che la normativa riguardante il regime delle impugnazioni dei provvedimenti in materia di opposizioni esecutive ha subito diverse modifiche negli ultimi anni.

Con riguardo all’opposizione all’esecuzione, per effetto di tale evoluzione normativa, come più volte precisato da questa Corte, alle sentenze che hanno deciso opposizioni all’esecuzione pubblicate prima del 1 marzo 2006 il regime d’impugnazione applicabile è quello dell’appello; a quelle pubblicate successivamente si applica la diversa regola della non impugnabilità, ai sensi del nuovo testo dell’art. 616 cod. proc. civ., introdotto dalla L. 24 febbraio 2006, n. 52, art. 14, con la conseguenza dell’esclusiva ricorribilità per cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost., comma 7; per le ipotesi, invece, in cui il giudizio di primo grado sia pendente alla data di entrata in vigore della L. 18 giugno 2009, n. 69 (4 luglio 2009), deve trovare applicazione, ai sensi dell’art. 49 di tale legge, la nuova disposizione dell’art. 616 cod. proc. civ. che ha eliminato la previsione della non impugnabilità, con conseguente ripristino dell’appellabilità delle pronunce di primo grado (Cass. 21 gennaio 2011, n. 1402; Cass. 27 settembre 2010, n. 20324; Cass. 16 settembre 2010, n. 19605).

Per quel che riguarda le opposizioni agli atti esecutivi, la modifica di maggior rilievo è rappresentata dalla elevazione – da cinque a venti giorni decorrenti dal primo atto dell’esecuzione (in caso di impugnativa riguardante il titolo esecutivo o il precetto) oppure dal giorno del compimento dei singoli atti – del termine per proporre l’opposizione nei casi previsti dal secondo comma dell’art. 617 cod. proc. civ. Le sentenze riguardanti le opposizioni agli atti esecutivi sono rimaste non impugnabili, salvo il ricorso straordinario per cassazione, di cui all’art. 111 Cost., comma 7.

La qualificazione della domanda come opposizione all’esecuzione (con cui si contesta il diritto della parte istante di agire in executivis) oppure agli atti esecutivi (consistente nella contestazione della regolarità formale dei singoli atti del procedimento esecutivo), spetta d’ufficio al giudice che emette il relativo provvedimento e solo ove questi non vi provveda è di spettanza del giudice dell’impugnazione, non solo ai fini del merito, ma anche ai fini dell’ammissibilità dell’impugnazione stessa, e, perciò, spetta anche alla Corte di cassazione adita con apposito ricorso (Cass. 13 ottobre 2009, n. 21683).

2 – b – Effetti della omessa correzione, da parte del Giudice, della impropria qualificazione attribuita dalla parte alla opposizione proposta: in generale e in riferimento al presente procedimento.

6.- Peraltro, l’omesso rilievo, nella sentenza che decide sull’opposizione esecutiva, dell’erronea qualificazione, da parte del ricorrente, dell’opposizione proposta come opposizione agli atti esecutivi e non come opposizione all’esecuzione (nella specie per avere il ricorrente contestato il diritto del creditore procedente ad introdurre nei suoi confronti un secondo procedimento esecutivo quale esatto duplicato di altro precedentemente introdotto), integra un vizio di violazione di norme sul procedimento, decisivo soltanto nei limiti in cui comporti concrete conseguenze sul contenuto della decisione, per aver impedito l’esame nel merito della domanda, ma non quando il merito sia stato esaminato e la relativa decisione sia conforme a diritto (Cass. 19 settembre 2008, n. 23847).

Nella specie, come si desume dalla sentenza impugnata, con ricorso depositato nei venti giorni dalla notificazione dell’atto di precetto e qualificato come di “opposizione agli atti esecutivi”, la R. ha dedotto: a) il difetto della propria legittimazione passiva rispetto ai decreti ingiuntivi posti a fondamento del precetto stesso; b) l’inesistenza o illegittimità del precetto, in quanto pedissequo a decreto ingiuntivo ormai perento e quindi nullo, essendo trascorso il termine decennale di validità del titolo; c) gravi irregolarità formali del precetto stesso (non specificate).

Com’è noto, contro l’atto di precetto può essere proposta sia l’opposizione all’esecuzione di cui all’art. 615 cod. proc. civ. sia quella agli atti esecutivi di cui al successivo art. 617 cod. proc. civ. e la distinzione è data dalle ragioni adottate con l’atto di opposizione ed indipendentemente dalla qualificazione data dall’opponente. Costituisce opposizione all’esecuzione quella proposta avverso l’atto di precetto prima dell’inizio dell’esecuzione forzata adducendo l’inesistenza del titolo esecutivo per avvenuta prescrizione dell’azione cartolare incorporata nell’assegno bancario fatto valere come titolo esecutivo (Cass. 5 gennaio 2001, n. 496; e nello stesso senso: Cass. 25 novembre 2002, n. 16569; Cass. 3 agosto 2005, n. 16262).

E’, quindi, evidente che la domanda proposta dalla R. al Tribunale in merito al diritto sostanziale del creditore a conseguire coattivamente la prestazione non spontaneamente adempiuta e al diritto sostanziale di credito come indicato nell’atto di precetto, avrebbe dovuto essere correttamente qualificata dal Giudice come “opposizione all’esecuzione”, così come viene qualificata dalla R. nel presente ricorso per cassazione.

Mentre sono rimasti in secondo piano i profili di censura propriamente proposti come “opposizione agli atti esecutivi”, salva restando la possibilità di decidere con una sentenza formalmente unica – ma, in realtà, contenente due differenti decisioni, da valutare separatamente anche con riguardo al relativo regime impugnatorio – le contestazioni della parte che, nel medesimo procedimento, si configurino tanto come opposizione all’esecuzione, quanto come opposizione agli atti esecutivi (Cass. 6 luglio 2006, n. 15376; Cass. 31 maggio 2010, n. 13203).

La suddetta omessa distinzione, peraltro, appare, in questa sede, del tutto irrilevante, in quanto non ha comportato concrete conseguenze sul contenuto della decisione, nella quale è stato effettuato l’esame nel merito della domanda proposta.

Anche per quanto riguarda il mezzo di impugnazione, la omissione in oggetto è, nella specie, ininfluente, visto che la sentenza attualmente impugnata risulta essere stata depositata il 12 giugno 2009, sicchè contro di essa poteva essere proposto solo il ricorso straordinario per cassazione, ai sensi dell’art. 111 Cost., comma 7, e, quindi, per violazione di legge (che, come si è detto, è l’unico mezzo di impugnazione utilizzabile anche contro le sentenze in materia di opposizione agli atti esecutivi).

2 – c – Ricorso straordinario per cassazione e vizi di motivazione (nel regime successivo all’entrata in vigore del D.Lgs. 2 febbraio 2006. n. 40): in genere e con riferimento al presente giudizio.

7 – Ciò che, invece, assume rilievo nel presente giudizio è il consolidato e condiviso principio secondo cui, nel caso di ricorso straordinario per cassazione di cui all’art. 111 Cost. – anche dopo la sostituzione dell’art. 360 cod. proc. civ., ad opera del D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, che qualifica come violazione di legge il vizio di cui al n. 5 del primo comma, alla luce dei principi del giusto processo (vedi Cass. SU 21 ottobre 2009, n. 22238) – le censure attinenti il vizio di motivazione sono ammissibili solo se riflettenti la materiale omissione o mera apparenza della stessa nel provvedimento impugnato, l’inidoneità delle argomentazioni espresse a rivelare la ratio decidenti del medesimo, ovvero l’inconciliabilità logica fra loro (o la loro obiettiva incomprensibilità). Resta inammissibile la denuncia del motivo ex art. 360 cod. proc. civ., n. 5, in relazione ai vizi di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (Cass. 29 gennaio 2010, n. 2043), ovvero, in particolare, la richiesta della verifica della sufficienza della motivazione medesima in raffronto con le risultanze probatorie (Cass. 24 gennaio 2008, n. 1584; Cass. 3 novembre 2008, n 26426).

In applicazione del suddetto principio vanno considerati inammissibili tutti i profili di censura (contenuti nei quattro motivi) con i quali si denunciano violazioni dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 5, in quanto non conformi ad esso, perchè tutti non riflettenti la materiale omissione o mera apparenza della motivazione stessa nella sentenza impugnata, l’inidoneità delle argomentazioni espresse a rivelare la ratio deciderteli della medesima, ovvero l’inconciliabilità logica fra loro (o la loro obiettiva incomprensibilità).

2 – d – Esame del primo motivo di ricorso, con riferimento al profilo attinente la prospettata violazione degli artt. 210. 416 e 437 cod. proc. civ..

8.- Come si è detto, con il primo profilo del primo motivo la R. denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 210, 416 e 437 cod. proc. civ., sottolineando come il Tribunale abbia basato la propria decisione su documenti illegittimamente prodotti dall’INPS grazie ad una rimessione in termini del tutto immotivata disposta nei confronti dell’Ente in aperto contrasto anche con l’art. 437 cod. proc. civ..

Si sottolinea, in particolare, che il Tribunale, non solo non ha rilevato la decadenza dell’INPS dalla effettuata produzione documentale (a sè favorevole), data la tardiva costituzione in giudizio dell’Ente, ma ha addirittura rimesso in termini l’INPS, emettendo una prima ordinanza ex art. 210 cod. proc. civ. (in data 7 ottobre 2008) – con la quale ha ordinato l’esibizione in giudizio dei suddetti, documenti ritenuti utili per la decisione, fissando il termine del 1 dicembre 2008 per il relativo adempimento – e successivamente un’altra ordinanza (il 28 gennaio 2009), con la quale ha preso atto del mancato rispetto del suddetto termine, ha precisato che esso non era stato qualificato come perentorio e ha dato atto che l’INPS ha comunque provveduto alla produzione richiesta, nell’udienza di rinvio del 23 dicembre 2009.

Conseguentemente, attraverso il richiamo dell’art. 210 cod. proc. civ., l’INPS, nonostante la sua irrituale condotta processuale, è stato messo in condizione di produrre in giudizio alcuni documenti a proprio vantaggio al di fuori dei termini di decadenza previsti dall’art. 416 cod. proc. civ. e senza alcuna giustificazione sia con riguardo al tempo di formazione dei documenti prodotti (tutti antecedenti l’instaurazione del giudizio di primo grado), sia allo svolgimento del processo (visto che nel ricorso introduttivo erano state illustrate e specificate tutte le doglianze della R., sicchè l’INPS era stato posto in condizione di averne piena conoscenza fin dall’instaurazione del giudizio).

9. La censura è fondata.

Secondo consolidati e condivisi orientamenti di questa Corte:

a) nel rito del lavoro, l’omessa indicazione dei documenti probatori nell’atto di costituzione in giudizio, imposta dall’art. 416 cod. proc. civ., comma 3 e l’omesso deposito degli stessi contestualmente a tale atto, determinano la decadenza dal diritto di produrli, salvo che i documenti si siano formati successivamente ovvero la loro produzione sia giustificata dallo sviluppo del processo (art. 420 cod. proc. civ., comma 5). Ne consegue che, ove i documenti siano stati prodotti in udienza, il giudice potrà dichiarare la decadenza della parte ovvero, in alternativa, disporre l’ammissione d’ufficio dei documenti medesimi ai sensi dell’art. 421 cod. proc. civ., comma 2, dovendosi ritenere, in tale ultima ipotesi, che il silenzio della controparte – a cui spetta la facoltà, entro il termine perentorio assegnato dal giudice, di dedurre proprie istanze istruttorie – comporti l’accettazione del provvedimento giudiziale di ammissione (Cass. 13 luglio 2009, n. 16337; Cass. 23 marzo 2009, n. 6969);

b) d’altra parte, l’ordine di esibizione, a norma dell’art. 210 cod. proc. civ., non può in alcun caso supplire al mancato assolvimento dell’onere della prova a carico della parte istante (Cass. 8 agosto 2006, n. 17948; Cass. 6 ottobre 2005, n. 19475; Cass. 10 gennaio 2003, n. 149; Cass. 4 settembre 1990, n. 9146).

Nella specie, risulta all’evidenza che il Tribunale non ha rispettato i suddetti principi in quanto non solo non ha dichiarato la decadenza dell’INPS dal diritto di produrre i documenti in oggetto (che erano già formati al momento dell’instaurazione del giudizio e di cui già poteva considerarsi giustificata la produzione, sulla base del ricorso introduttivo), ma attraverso una impropria utilizzazione dello strumento dell’ordine di esibizione ha inammissibilmente rimesso in termini l’Istituto – oltretutto con ben due distinte ordinanze che hanno altresì comportato un illegittimo allungamento della durata del processo, in contrasto con l’art. 111 Cost.

richiamando anche l’art. 421 cod. proc. civ., ma facendone un’applicazione illegittima, visto che la R., nelle proprie note difensive, aveva ritualmente presentato le proprie contestazioni, come stabilito dal combinato disposto dell’art. 421 cod. proc. civ., comma 2, e dell’art. 420 cod. proc. civ., comma 6, e tali controdeduzioni sono state ignorate dal Tribunale.

2 – e – Assorbimento dei rimanenti profili di censura.

10.- All’accoglimento della predetta censura consegue l’assorbimento di tutti i restanti profili di censura, non considerati inammissibili (vedi sopra, punto 7) (Cass. 6 giugno 2006, n. 13259; Cass. 3 aprile 1978, n. 1503).

4 – Conclusione.

11.- In sintesi, il primo motivo deve essere accolto, nei suindicati limiti (vedi sopra, punti 8 e 9) e gli altri motivi vanno dichiarati assorbiti, nei limiti precisati ai punti 7 e 10.

La sentenza impugnata deve essere cassata, nei limiti della censura accolta, con rinvio al Tribunale di Vasto, in persona di un diverso giudice, che si adeguerà ai principi sopra indicati (vedi, spec. punto 9) e provvedere anche sulle spese del presente giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie, per quanto di ragione, il primo motivo del ricorso, assorbiti gli altri. Cassa la sentenza impugnata, nei limiti della censura accolta, e rinvia, anche per le spese del presente giudizio di cassazione, al Tribunale di Vasto, in persona di diverso giudice.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Lavoro, il 5 aprile 2011.

Depositato in Cancelleria il 29 luglio 2011

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