Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16781 del 15/06/2021

Cassazione civile sez. trib., 15/06/2021, (ud. 14/10/2020, dep. 15/06/2021), n.16781

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PERRINO Angelina Maria – Presidente –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. SAIJA Salvatore – rel. Consigliere –

Dott. NOVIK Adet Toni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13933-2013 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

L.G.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 47/2012 della COMM. TRIB. REG. della Puglia

idepositata il 29/05/2012;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

14/10/2020 dal Consigliere Dott. SALVATORE SAIJA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

L’Ufficio di Barletta, a seguito di una verifica ispettiva effettuata dall’Ufficio doganale di Molfetta, culminato nel p.v.c. del 7.3.2005, notificò a L.G. (titolare dell’omonima ditta individuale esercente l’attività di commercio di autoveicoli) un avviso di accertamento per l’anno 2003, contestandogli l’indebito ricorso al c.d. regime del margine in relazione all’acquisto di alcuni autoveicoli in ambito comunitario, nonchè la mancata registrazione delle fatture di acquisto, e recuperando VIVA non versata per Euro 37.728,00, oltre sanzioni. Il contribuente impugnò detto avviso dinanzi alla C.T.P. di Bari e, pur riconoscendo l’inapplicabilità del regime del margine per carenza dei presupposti, evidenziò che – ove anche avesse registrato le fatture di acquisto, sia nel registro vendite, che in quello degli acquisti – non sarebbe emerso alcun debito d’imposta, per l’effetto di neutralità derivante dal c.d. reverse charge. L’adita C.T.P. accolse il ricorso con sentenza n. 126/19/10, evidenziando che le irregolarità commesse dal contribuente operavano solo sul piano formale, non avendo arrecato danno all’Erario, e richiamando l’insegnamento della S.C. (sentenza n. 17588/2010) secondo cui è salvo il diritto alla detrazione dell’imposta quando essa sia stata assolta, ancorchè irregolarmente. L’Ufficio propose quindi appello, ma la C.T.R. della Puglia, con sentenza del 28.5.2012, lo rigettò, richiamando la motivazione della prima decisione e dichiarando di aderire all’orientamento della S.C. ivi applicato, evidentemente incompatibile con quanto sostenuto nell’atto di gravame.

L’Agenzia delle Entrate ricorre ora per cassazione, sulla base di due motivi. L.G. non ha resistito.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1 – Con il primo motivo, si lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., dell’art. 118 disp. att. c.p.c., e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Ci si duole della mancanza, nella motivazione della sentenza impugnata, della concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione, avendo il giudice d’appello motivato per relationem alla sentenza di primo grado, senza però dar conto in modo adeguato del come detta adesione sia maturata, alla luce dei motivi di gravame.

1.2 – Con il secondo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 17, comma 3, e art. 19, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. La ricorrente lamenta l’erroneità dell’affermazione secondo cui l’indebita applicazione del regime del margine, da parte del contribuente, si risolva in un innocuo errore formale, senza incidere sul diritto alla detrazione dell’IVA. Evidenzia l’Agenzia, al riguardo, che il mancato rispetto delle prescrizioni di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 17, comma 3, comporta sicuri effetti sia riguardo alle sanzioni, sia riguardo al diritto di detrazione: quanto alle prime, perchè il D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 6, fissa il regime sanzionatorio applicabile al reverse charge, distinguendo a seconda che l’imposta non sia stata affatto assolta, ovvero lo sia stata, seppur in modo irregolare; quanto al secondo, perchè detto diritto non può prescindere dall’adempimento degli obblighi sostanziali.

2.1 – Il primo motivo è fondato.

Invero, le questioni agitate nella controversia in esame derivano dalla contestazione effettuata al contribuente circa l’indebito ricorso al c.d. regime del margine di cui al D.L. n. 41 del 1995, art. 36, conv. in L. n. 85 del 1995, e quindi circa la mancanza dell’integrazione dell’annotazione nel registro IVA, della liquidazione delle fatture intracomunitarie, dell’indicazione nella dichiarazione IVA 2003 dell’ammontare degli acquisti intracomunitari, ed infine della presentazione dei modelli ISTAT2 per lo stesso 2003.

Come risulta dagli atti, con il ricorso di primo grado il contribuente ha riconosciuto di aver indebitamente applicato il regime del margine, ma ha esposto che le transazioni in discorso sarebbero state comunque soggette al reverse charge, sicchè nessun debito d’imposta avrebbe potuto sorgere a suo carico; quanto alle sanzioni, ne ha contestato la misura comminata nel massimo, nonchè la mancata applicazione di sanzione unica, ai sensi del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 12, venendo in rilievo, nell’attività ispettiva da cui origina l’accertamento impugnato, più annualità.

Ora, a fronte della decisione di primo grado, con cui il ricorso è stato integralmente accolto, l’Agenzia ha proposto appello, con cui ha dedotto: a) il mancato integrale versamento dell’imposta da parte dell’acquirente nazionale, soggetto passivo; b) la perdita del diritto alla detrazione, stante l’inosservanza degli obblighi formali e la mancata dimostrazione di aver assolto l’imposta; c) l’inapplicabilità dell’istituto della continuazione, ai fini delle sanzioni in caso di contestazioni pluriennali, ove esse non vengano irrogate contestualmente.

Ebbene, adottando la decisione impugnata, dopo aver riportato lo svolgimento del processo ed illustrato la posizione delle parti, la C.T.R. ha così testualmente e complessivamente motivato: “La Commissione non ravvisa motivi validi per discostarsi dall’insegnamento della Suprema Corte richiamato nella sentenza di primo grado, riportato in narrativa, che qui si richiama ed al quale si dichiara di attenersi. L’appello dell’Agenzia delle Entrate va, pertanto, respinto in quanto infondato”.

Il principio richiamato per relationem dal giudice d’appello è dettato da Cass. n. 17588/2010, così massimata: “In tema di IVA, qualora un operatore italiano abbia erroneamente annotato nel registro degli acquisti fatture passive di trasporto in tra comunitario come relative ad operazioni escluse del D.P.R. n. 633 del 1972, ex art. 7, anzichè come operazioni soggette ad Iva, ai sensi del D.L. n. 331 del 1997, ex art. 40, comma 5, (conv. con L. n. 427 del 1993), da registrare ai sensi del medesimo decreto legge, art. 46, commi 1 e 5, e art. 47, comma 1, ferma restando l’eventuale sanzione per l’inosservanza di tale obbligo, non si determina la perdita del diritto alla detrazione IVA se – come stabilito dalla sentenza della Corte di Giustizia CE dell’otto maggio 2008, in cause riunite C-95/07 e C-96/07 – siano stati comunque, soddisfatti gli obblighi sostanziali di assunzione del debito I.V.A.”.

2.2 – Ora, ove si ponga mente al primo e al secondo profilo di censura avanzati dall’Agenzia con l’atto di gravame, ossia il non aver il contribuente assolto tout court l’imposta ed aver perduto il diritto alla detrazione, è evidente che la motivazione sopra riportata per esteso è nulla non solo riguardo alla questione delle sanzioni (che risulta completamente obliterata), ma anche alla stessa questione principale, concernente l’inadempienza da parte del cessionario e la correlativa insussistenza del predetto diritto. Infatti, la C.T.R., nel richiamare la prima decisione e la giurisprudenza di legittimità dalla stessa applicata, si muove in termini di assoluta apoditticità, perchè omette di confrontarsi del tutto con le doglianze sollevate dall’Agenzia, relegando le proprie considerazioni su un piano meramente astratto, circa le condizioni occorrenti – in fattispecie consimili a quelle per cui è processo – per il riconoscimento del diritto di detrazione.

Manca però nella sentenza qualsiasi accertamento su un aspetto essenziale: nell’ambito del meccanismo dell’inversione contabile, costituisce preciso onere del cessionario (che sia titolare dei relativi requisiti sostanziali) quello di richiedere la detrazione dell’IVA a monte entro il termine previsto dalla legge, in caso di omissione – che derivi da tardività o negligenza – conseguendone la decadenza (v. Cass. n. 14767/2015, nonchè, da ultimo, Cass. n. 16367/2020). Non si tratta, dunque, di effettuare una valutazione meramente astratta, ma di verificare in concreto se, per effetto delle omissioni in cui è incorso il Losito, questi sia decaduto o meno dal diritto di detrarre l’IVA in discorso: verifica del tutto pretermessa da parte della C.T.R., che si è spinta ad affermare – erroneamente – la sostanziale indifferenza dell’operato del contribuente rispetto al fisco, senza tener conto di quanto precede.

2.3 – Del resto, neppure può ritenersi che detto accertamento possa essere considerato implicitamente effettuato dalla stessa C.T.R. al lume delle allegazioni delle parti, e segnatamente del contribuente.

Questi, infatti, col ricorso di primo grado, dopo aver riconosciuto l’erroneo utilizzo del c.d. regime del margine, non ha neanche mai allegato di aver applicato il reverse charge, ma ha soltanto dedotto che, ove anche l’avesse fatto, non sarebbe emerso nessun debito d’imposta, sicchè non avrebbe potuto configurarsi nessun danno per l’Erario. Impostazione, lo si ribadisce, comunque erronea, giacchè il regime del reverse charge è soggetto a precisi adempimenti che comportano l’assunzione degli obblighi IVA da parte del cessionario nazionale (v. Cass. n. 24022/2013, nonchè Cass. n. 12649/2017), il cui assolvimento da parte del Losito è rimasto completamente avulso dal perimetro motivazionale adottato dal giudice d’appello.

2.4 – Non può poi mancarsi di evidenziare l’intrinseca contraddittorietà della tesi sostenuta dal Losito ed avallata dalla C.T.R.

Infatti, il c.d. regime del margine è previsto dal D.L. n. 41 del 1995, art. 36, conv. in L. n. 85 del 1995, per le cessioni da parte di rivenditori di beni d’occasione, di oggetti d’arte, da collezione o di antiquariato. In forza di detta disposizione, e a condizione che ricorrano determinati requisiti (che qui non interessano), l’IVA relativa alla rivendita “è commisurata alla differenza tra il prezzo dovuto dal cessionario del bene e quello relativo all’acquisto, aumentato delle spese di riparazione e di quelle accessorie”. A ciò si aggiunga che esso, secondo la giurisprudenza di questa Corte, “costituisce un regime speciale in favore del contribuente, facoltativo e derogatorio rispetto al sistema normale dell’imposta, la cui disciplina deve essere interpretata restrittivamente e applicata in termini rigorosi” (così, Cass., Sez. Un., n. 21105/2017). L’imponibile, dunque, è costituito dalla suddetta differenza (c.d. “da base a base”), e la relativa disciplina non può essere applicata al di fuori dei casi espressamente previsti.

Il meccanismo del c.d. reverse charge (o dell’inversione contabile), è anch’esso un regime derogatorio rispetto a quello ordinario (che individua di regola nel cedente il soggetto passivo dell’imposta, ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 17, comma 1), essendo invece previsto che – nel caso di cessioni di beni o servizi eseguite nel territorio dello Stato da soggetti non residenti nei confronti di soggetti passivi stabiliti in Italia (art. 17 cit., comma 2), ovvero per determinate categorie di operazioni (essenzialmente individuate nello stesso art. 17 cit., commi 5 ss.) e concorrendo ulteriori condizioni che qui non interessano – il pagamento dell’imposta gravi sul cessionario. Tuttavia, detto regime (che, specialmente quanto al c.d. reverse charge “interno” – commi 5 ss. cit. – ha una chiara finalità anti-evasiva), è di carattere generalizzato, incidendo in modo cogente, nei casi previsti, sulla individuazione del solo soggetto passivo dell’imposta, ma non già sulla determinazione dell’imponibile, questione che continua ad essere regolata dalle disposizioni di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 13 ss., secondo il metodo ordinario (c.d. “da imposta a imposta”).

Insomma, non si tratta di uno speciale regime di favore per il contribuente (come per il regime del margine), ma di regime derogatorio rispetto a quello ordinario, benchè di carattere generalizzato e cogente, conseguente al profilo territoriale dell’operazione, ovvero riguardo a specifiche categorie di operazioni “interne”, ma solo – lo si ribadisce – riguardo all’individuazione del soggetto passivo. Ciò è tanto vero che, la giurisprudenza Eurounitaria (si veda, in particolare, Corte di Giustizia UE, 26 aprile 2017, causa C-564/15, Farkas, inerente l’acquisto all’asta di un bene mobile) ha affermato che, nel caso di erronea fatturazione dell’acquisto del bene – effettuata nei modi ordinari anzichè (come prescritto nel caso) con il meccanismo dell’inversione contabile – la circostanza che il cedente abbia versato all’Erario l’IVA assolta dall’acquirente non consenta comunque a quest’ultimo di detrarre l’imposta stessa, sia perchè si tratta di una prestazione non dovuta, per la quale non può sorgere il diritto di detrazione, sia perchè una simile situazione impedisce di norma all’amministrazione tributaria di controllare l’applicazione del regime dell’inversione contabile, prescritto obbligatoriamente e non rimesso alla scelta dei contribuenti, così determinandosi un rischio di perdita di gettito fiscale per lo Stato membro interessato. Conseguentemente, il cessionario è solo abilitato a ripetere dal cedente, nelle forme ordinarie, l’IVA erroneamente assolta in via di rivalsa, a meno che le circostanze concrete non depongano per l’impossibilità o l’eccessiva difficoltà del recupero (nella specie, la CGUE ha ritenuto potersi riscontrare tale situazione eccezionale, giacchè il cedente era stato frattanto dichiarato fallito, così affermando che in tali casi è consentito ripetere l’indebito direttamente dall’Erario). Il che, secondo il giudice sovranazionale – in uno col recupero fiscale conseguentemente avviato dall’amministrazione finanziaria per la riscontrata violazione della norma sul reverse charge – è sufficiente a garantire il rispetto dei principi di neutralità e di effettività.

Da tutto quanto precede discende che, in relazione ad una determinata operazione imponibile, non può già in astratto affermarsi (come ha fatto la C.T.R.) l’invarianza per l’Erario sia che si applichi il c.d. regime del margine, sia che si applichi il meccanismo del reverse charge, anche perchè – tra l’altro – i due regimi presuppongono un imponibile diverso.

Anche per tale ragione, dunque, la motivazione della decisione impugnata non può dirsi conforme al c.d. minimo costituzionale, ex art. 111 Cost., comma 6, (v. Cass., Sez. Un., n. 8053/2014), perchè – per quanto in apparenza essa richiami un principio di diritto applicabile alla fattispecie e così mostri di voler risolvere la controversia – non spiega in realtà quale sia il percorso logico-giuridico seguito dalla C.T.R. per verificare la ricorrenza dei presupposti dello stesso principio al caso ad essa sottoposto, per di più obliterando del tutto ogni considerazione sul motivo inerente le sanzioni, solo in parte dipendente dalla questione principale.

3.1 – Il secondo motivo resta pertanto assorbito.

4.1 – In definitiva, il primo motivo è accolto, il secondo è assorbito. La sentenza impugnata è dunque cassata in relazione, con rinvio alla C.T.R. della Puglia, in diversa composizione, che provvederà ad un nuovo esame dell’appello dell’Agenzia delle Entrate e provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

la Corte accoglie il primo motivo e dichiara assorbito il secondo. Cassa in relazione e rinvia alla C.T.R. della Puglia, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Corte di cassazione, il 14 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 15 giugno 2021

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA