Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16779 del 15/06/2021

Cassazione civile sez. trib., 15/06/2021, (ud. 18/12/2020, dep. 15/06/2021), n.16779

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. MANZON Enrico – Consigliere –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. LEUZZI Salvatore – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 28135/2016 R.G. proposto da:

Agenzia delle Entrate, rappresentata e difesa dall’Avvocatura

Generale dello Stato, in persona del Direttore p.t., con domicilio

eletto presso gli uffici della predetta Avvocatura, in Roma, via dei

Portoghesi, n. 12;

– ricorrente –

contro

La Colombo Finanziaria, in persona del legale rappresentante p.t.;

rappresentata e difesa dagli avvocati Federico Casa e Federica

Scafarelli, elettivamente domiciliata in Roma presso lo studio di

quest’ultima in Via Borsi n. 4;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del

Piemonte, depositata il 5 settembre 2016, n. 1062/16.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 18 dicembre 2020

dal Cons. Salvatore Leuzzi;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

generale Dott. Umberto De Augustinis, che ha concluso chiedendo la

declaratoria di cessazione della materia del contendere e, in

subordine, il rigetto del ricorso;

sentito l’Avv. Davide Giovanni Pintus per l’Avvocatura generale dello

Stato;

sentito l’Avv. Federica Scafarelli per La Colombo Finanziaria s.p.a..

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

In data 10 settembre 2013, la curatela del fallimento della società B.S. s.p.a. cedeva per l’importo di Euro 83.000,00 a La Colombo Finanziaria s.p.a. il credito IVA di Euro 107.660,00, indicato dalla curatela medesima nella dichiarazione IVA relativa all’anno di imposta 2012 e richiesto a rimborso ai sensi e per gli effetti del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 30, comma 4.

Con nota del 22 ottobre 2013, la Direzione Provinciale II di Torino dell’Agenzia delle entrate comunicava sia alla curatela del fallimento della B.S. s.p.a., sia alla società La Colombo Finanziaria che era emersa l’esistenza di debiti iscritti a ruolo per complessivi Euro 6.269.979,95, relativi agli anni compresi fra il 2001 e il 2005, e che, pertanto, veniva disposta, in forza di provvedimento di sospensione n. prot. (OMISSIS), la “sospensione totale del rimborso richiesto per l’ammontare di Euro 107.660,00, con perdita del diritto agli interessi dovuti, in attesa di definire i contenziosi in corso”, ai sensi e per gli effetti del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 23 e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 28-ter.

In data 29 ottobre 2013, la Colombo Finanziaria s.p.a. presentava un’istanza di annullamento in autotutela del provvedimento di sospensione, in quanto i crediti iscritti a ruolo erano tutti anteriori alla dichiarazione di fallimento – dichiarata con sentenza del 14 aprile 2005 del Tribunale di Torino – mentre il credito IVA chiesto a rimborso era sorto successivamente ad essa, venendo a connotarsi come credito della procedura fallimentare e non già del fallito.

Con susseguente nota del 31 ottobre 2013, la Direzione Provinciale II di Torino dell’Agenzia delle entrate comunicava il provvedimento di sospensione, evidenziando che alla curatela fallimentare, sia pure con riferimento ad annualità antecedenti l’inizio della procedura fallimentare, erano state notificate successivamente all’apertura di questa specifiche cartelle di pagamento, il che implicava che i debiti ricadessero a carico della procedura concorsuale.

Avverso il provvedimento sospensivo – adottato con riferimento esplicito al D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 23 ed al D.P.R. n. 602 del 1973, art. 28-ter – La Colombo Finanziaria s.p.a. proponeva ricorso alla CTP di Torino, insistendo nel rilevare che il credito IVA riconosciuto dall’Amministrazione Finanziaria come effettivo era maturato successivamente alla dichiarazione di fallimento, mentre i debiti iscritti a ruolo erano tutti maturati anteriormente ad essa.

In risposta ad istanza di annullamento in via di autotutela, presentata da La Colombo Finanziaria, l’Agenzia delle entrate riduceva ad Euro 803740,76 l’entità dei crediti tributari, validamente opponibili al cessionario e che giustificavano l’adozione del provvedimento di sospensione del rimborso.

La CTP di Torino accoglieva il ricorso della società contribuente La Colombo.

La CTR del Piemonte rigettava il successivo appello erariale.

L’Agenzia delle entrate ha affidato il proprio ricorso a due motivi.

Ha resistito con controricorso e memoria la contribuente.

Con provvedimento in autotutela del 30 maggio 2019, l’Agenzia delle entrate ha disposto l’annullamento del provvedimento di sospensione del rimborso. Il rimborso è stato successivamente in effetti liquidato, andando a buon fine, come da evidenza documentale del 13 dicembre 2019.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE.

Con il primo motivo di ricorso l’Agenzia delle entrate lamenta la violazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, degli artt. 112, 115, 116 e 132 c.p.c., dell’art. 118 disp. att. c.p.c., del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 18,32,53,54 e 61, assumendo l’assoluta carenza di motivazione con riguardo “all’impossibilità di individuare nel momento di autoliquidazione del tributo quello di insorgenza dell’eventuale credito ovvero debito d’imposta nei confronti dell’Amministrazione finanziaria” e “all’omessa insinuazione al passivo fallimentare dei crediti fiscali, a garanzia dei quali era stata disposta la sospensione”, soggiungendo, a tale ultimo riguardo, che la circostanza della mancata ìnsìnuazìone non sarebbe stata allegata.

Con il secondo motivo di ricorso, l’Agenzia contesta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1248 e 1264 c.c., del R.D. n. 267 del 1942, artt. 51, 52 e 56, del D.L. n. 70 del 1988, art. 5, comma 4-ter, conv. con L. n. 154 del 1988, del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 30 e 74-bis, del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 23 e del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 28-ter, del R.D. n. 2440 del 1923, art. 69, per avere la CTR erroneamente valutato come necessaria la verificazione del credito opposto in compensazione dall’erario, ancorchè il fatto determinativo del debito della società fosse anteriore al fallimento e l’Agenzia si fosse limitata a eccepire legittimamente in compensazione il debito in parola.

Preliminarmente, osserva la Corte che deve dichiararsi la cessazione della materia del contendere, com’è noto rilevabile in ogni stato e grado del giudizio, e quindi anche in questa sede di legittimità, allorchè “risulti ritualmente acquisita o concordemente ammessa una situazione dalla quale emerga che è venuta meno ogni ragione di contrasto tra le parti” (Cass. n. 271 del 2006).

Nella specie, è pacifico che sono stati documentati, tanto l’annullamento in autotutela del provvedimento di sospensione del rimborso, quanto l’avvenuta liquidazione di quest’ultimo in favore di La Colombo Finanziaria s.p.a..

Occorre, tuttavia, scrutinare il ricorso in esame, al fine di provvedere sulle spese, secondo il criterio della soccombenza virtuale (v., ex multis, Cass. n. 6036 del 2017).

I due motivi, intimamente connessi e suscettibili di trattazione unitaria, sono infondati e vanno rigettati.

Il provvedimento di sospensione del rimborso invocato da La Colombo Finanziaria è stato adottato ai sensi del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 23 e del D.Lgs. n. 602 del 1973, art. 28-ter, avuto riguardo a “carichi pendenti” anteriori al fallimento in capo alla società (OMISSIS).

Dalla sentenza d’appello è dato ricavare alcune salienti circostanze: in data 10 settembre 2013, il Fallimento della società (OMISSIS) s.p.a. stipulava contratto di cessione del credito IVA in capo alla procedura in favore di La Colombo Finanziaria s.p.a.; la cessione veniva notificata in data 19 settembre 2013; la Colombo Finanziaria presentava domanda di rimborso del credito in parola alla quale l’erario opponeva una sospensione del rimborso, ancorchè pacificamente riconoscesse l’anteriorità dei “carichi pendenti” rispetto all’apertura del fallimento e l’insorgenza del credito ceduto posteriormente alla declaratoria fallimentare, alla stregua di debito c.d. “della massa”.

Il giudice a quo ha soggiunto i seguenti essenziali aspetti: che “costituisce circostanza non controversa che il credito Iva oggetto di cessione per l’importo di Euro 107.660,00 e di richiesta di rimborso è maturato nel corso della procedura fallimentare”; che “deve parimenti ritenersi pacifica (e non contestata dall’Agenzia delle Entrate nelle difese svolte) la possibilità di cessione pro soluto di credito Iva da parte di soggetto fallito, che trova fondamento normativo nel D.L. n. 70 del 1988, art. 5, comma 4-ter, conv. in L. 13 maggio 1988, n. 154 e riconoscimento da parte della giurisprudenza di legittimità”; che l’erario “pur senza contestare l’avvenuta cessione del credito in capo alla società appellata, nè la possibilità di cessione di un credito/rimborso Iva nell’ambito di procedure fallimentari, affermava la causa ostativa del rimborso nella presenza di tre ruoli relativi ad annualità di imposta in cui il termine di versamento in autoliquidazione scadeva successivamente al fallimento”.

Ora, in tema di contenuto della sentenza, il vizio di assoluta carenza di motivazione, previsto dall’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, sussiste quando la pronuncia riveli una obiettiva carenza nella indicazione del criterio logico che ha condotto il giudice alla formazione del proprio convincimento, come accade quando non vi sia alcuna esplicitazione sul quadro probatorio, nè alcuna disamina logico-giuridica che lasci trasparire il percorso argomentativo seguito. In altri termini occorre che la pronuncia non indichi affatto le ragioni del convincimento che esprime e non contenga la disamina logico-giuridica idonea a lasciar trasparire il percorso argomentativo seguito. Nella specie, per converso, la trama di concetti a supporto della sentenza d’appello, lungi dal palesarsi difettosa si mostra congrua e razionale.

La CTR ha, invero, argomentatamente rigettato il gravame di merito essenzialmente sulla base del rilievo per cui, essendo il credito erariale al fondo della sospensione adottata sorto anteriormente al fallimento, come tale esso rivestiva “carattere concorsuale”. Il che postulava che “avrebbe dovuto formare oggetto di domanda di ammissione al passivo e accertamento secondo l’esclusiva disciplina di cui agli art. 52 e ss. L. Fall.”. Nella specie, di contro, come riconosciuto dal giudice d’appello “non risulta… che vi sia stata insinuazione al passivo fallimentare dell’anzidetto credito ai sensi dell’art. 93 L. Fall.”. Da siffatta eclatante circostanza, la CTR fa coerentemente derivare la conseguenza della “infondatezza del provvedimento di sospensione del rimborso del credito IVA dell’importo di Euro 107.660,00, interamente maturato in data successiva all’apertura della procedura concorsuale della società (OMISSIS) per la presenza di crediti erariali tutti antecedenti la data di apertura del fallimento” e giammai insinuati nell’ambito di esso.

In definitiva rimanevano evincibili due profili: i) una richiesta di rimborso di un credito IVA pacificamente maturato in costanza di fallimento; ii) l’interposizione, da parte dell’Agenzia delle Entrate, della sospensione della pratica di rimborso, ai sensi delle norme su richiamate, sulla base di asseriti crediti anteriori alla dichiarazione fallimentare, quindi stricto sensu “concorsuali”.

Com’è noto, la dichiarazione di fallimento implica, ai sensi dell’art. 52 L. Fall., comma 1, l’apertura del concorso dei creditori sul patrimonio del fallito. La procedura concorsuale si regge, da lì in avanti, su due precipue regole: quella del concorso formale, in base alla quale tutti i creditori sono tenuti a far accertare le rispettive ragioni nelle forme tratteggiate dagli artt. 92 e ss. L. Fall.; quella del concorso sostanziale, in virtù della quale i creditori possono soddisfarsi proporzionalmente, ferme le rispettive cause di prelazione, sul ricavato della vendita dei beni del fallito e sull’attivo fallimentare. Solo a seguito dell’ammissione, i creditori oltre che concorsuali diventano concorrenti ed hanno diritto ad essere soddisfatti secondo il principio della parità di trattamento, salve le cause legittime di prelazione. Nella specie, l’Amministrazione, ancorchè ostentasse la titolarità di crediti anteriori al fallimento, non ha inteso sottoporli all’accertamento del passivo, come pure sarebbe stata, in linea di principio, onerata di fare; piuttosto, ha presidiato le proprie pretese travasandole in un provvedimento di sospensione, di matrice cautelare, dacchè adottato ai sensi del D.Lgs. n. 472 del 1997, rammentato art. 23 e del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 28-ter, come tale suscettibile di infrangersi, oltre che con le riassunte regole del concorso endofallimentare, anche con l’art. 51 L. Fall., che vieta ai creditori concorsuali di iniziare o proseguire le azioni esecutive e cautelari nei confronti del debitore fallito.

Nè può dirsi che la notifica delle cartelle di pagamento – con la concessione acclusavi di un termine per il pagamento – fosse idonea a rendere un credito anteriore al fallimento e quindi concorsuale un debito “di massa”, ribaltando il peso sulla procedura concorsuale e riportandolo nell’alveo dell’art. 111-bis L. Fall.. Occorre, infatti, pur sempre far riferimento al momento dell’insorgenza del credito, che nella specie anticipa la declaratoria del fallimento, senza che la notifica delle cartelle di pagamento valga a determinare una “palingenesi” in sede concorsuale del credito che precede la procedura concorsuale.

Eccentrico appare, poi, il riferimento – espresso nel corpo del secondo motivo di censura – alla compensazione ex art. 56 L. Fall., che si ambirebbe a far constare fra crediti anteriori al fallimento facenti capo all’erario e un credito – quello oggetto di cessione pacificamente venuto in essere successivamente all’apertura del concorso, non in capo al debitore, bensì al terzo-curatore, che poi lo cedeva.

In realtà, la compensazione ai sensi dell’art. 56 L. Fall. quand’anche veicolata alla stregua di “eccezione riconvenzionale – è escluso possa avvenire fra un credito concorsuale, in quanto preesistente al fallimento, e un credito della massa, sorto dopo la dichiarazione di fallimento, e che, facendo capo alla curatela, non è affatto un credito del fallito, nè condivide alcun rapporto di reciprocità con il credito concorsuale.

L’istituto della compensazione, evocato dall’erario ricorrente, stabilisce perspicuamente che i creditori hanno diritto di compensare coi loro debiti verso il fallito l’crediti che vantano nei suoi confronti, ancorchè non scaduti prima della dichiarazione di fallimento. Fattispecie del tutto differente ictu oculi è quella odierna, nel cui quadro gli asseriti crediti dell’Agenzia, neppure sottoposti alla verifica del passivo fallimentare, vengono contrapposti non al fallito, ma al cessionario di un credito della curatela per di più maturato in capo a quest’ultima, non prima del fallimento, ma in costanza di esso.

Presupposto per l’applicazione della compensazione, quand’anche trasfusa in un’eccezione, è la preesistenza del credito e del controcredito alla dichiarazione di fallimento (Cass. n. 775 del 1999; v. diffusamente in motivazione Cass. 9528 del 2018; v. anche Cass. n. 18905 del 2010) il che travolge il senso stesso della censura agenziale. Altrimenti detto, le condizioni previste dalla legge per la compensabilità devono essersi verificate prima della dichiarazione di fallimento; occorre quindi che i fatti costitutivi dei diversi crediti (la cui coesistenza segna il momento di operatività della fattispecie estintiva ai sensi dell’art. 1242 c.c.) si collochino entrambi nella fase antecedente l’apertura del concorso, posto che, in vista della tutela della par condicio creditorum, il patrimonio vincolato al concorso resta insensibile ad ogni evento successivo incidente con effetto depauperatorio su di esso (v. Cass. n. 3006 del 1991; Cass. n. 12318 del 1999; Cass. n. 775 del 1999 cit.).

Deve, in ultima analisi, affermarsi il seguente principio di diritto: “In materia di fallimento, in forza dell’art. 56 L. Fall., applicabile anche ai crediti erariali, qualora sia richiesto all’Amministrazione finanziaria il rimborso di un credito IVA formatosi durante lo svolgimento della procedura concorsuale, l’erario può opporre in compensazione solamente i crediti che siano sorti successivamente all’apertura della procedura medesima, mentre – al contrario – non può opporre in compensazione crediti formatisi in epoca precedente l’apertura della procedura”.

Alla declaratoria di cessazione della materia del contendere consegue, per le ragioni esposte, avuto riguardo alla soccombenza virtuale, la condanna alle spese dell’Agenzia ricorrente.

P.Q.M.

La Corte, pronunciando sul ricorso, dichiara cessata la materia del contendere e condanna l’Agenzia delle entrate alla rifusione in favore della controricorrente delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 6000,00, oltre le spese forfetarie in misura del 15% ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Quinta Sezione Civile, il 18 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 15 giugno 2021

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