Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16778 del 16/07/2010

Cassazione civile sez. trib., 16/07/2010, (ud. 26/03/2010, dep. 16/07/2010), n.16778

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Presidente –

Dott. DI IASI Camilla – Consigliere –

Dott. IACOBELLIS Marcello – Consigliere –

Dott. GRECO Antonio – rel. Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato

e presso la stessa domiciliata in Roma in via dei Portoghesi n. 12;

– ricorrente –

contro

L.T.;

– intimato –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale

dell’Emilia Romagna n. 20/10/06, depositata il 22 novembre 2006.

Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

26 marzo 2010 dal Relatore Cons. Dr. Antonio Greco.

La Corte:

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO

Che, ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ., è stata depositata in cancelleria la seguente relazione:

“L’Agenzia delle entrate propone ricorso per Cassazione nei confronti della sentenza della Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna n. 20/10/06, depositata il 22 novembre 2006, che, rigettando l’appello dell’Agenzia delle entrate, ufficio di (OMISSIS), ha riconosciuto a L.T., agente di commercio, il diritto al rimborso dell’IRAP versata per gli anni 1998, 1999 e 2000, ritenendo privo di pregio il rilievo dell’amministrazione secondo cui l’essersi avvalso il contribuente della definizione agevolata prevista dalla L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 9, confortava la preclusione della possibilità di instaurare un contenzioso sul riconoscimento di una esclusione come quella invocata sull’IRAP. Il contribuente non ha svolto attività nella presente sede.

Il ricorso contiene due motivi, che rispondono ai requisiti prescritti dall’art. 366 bis cod. proc. civ..

Con il primo l’Agenzia delle entrate, denunciando violazione della L. n. 289 del 2002, art. 9, deduce che il condono determina l’estinzione dell’eventuale diritto al rimborso di somme corrisposte in eccesso, in relazione alle annualità di imposta oggetto di definizione; con il secondo motivo denuncia violazione della normativa istitutiva dell’IRAP in relazione agli artt. 1742 e 2195 cod. civ., sotto il profilo del presupposto impositivo costituito dalla sussistenza di autonoma organizzazione, che sarebbe intrinseco all’attività dell’agente di commercio.

Questa Corte ha affermato che, “con riferimento alla definizione automatica prevista dalla L. n. 289 del 2002, art. 9, l’esercizio della facoltà di ottenere la chiusura delle liti fiscali pendenti, pagando una somma correlata al valore della causa, produce un effetto estintivo del giudizio, che opera anche in relazione alle domande giudiziali riguardanti le richieste di rimborso d’imposta (nella specie, IRAP), con la conseguenza che l’intervenuta proposizione della relativa istanza, palesandosi come questione officiosa, di ordine pubblico, deve essere rilevata d’ufficio dal giudice prima di ogni altra” (Cass. n. 25239 del 2007).

Ed ha altresì affermato che, “con riferimento alla definizione automatica prevista dalla L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 9, la presentazione della relativa istanza preclude al contribuente ogni possibilità di rimborso per le annualità d’imposta definite in via agevolata, ivi compreso il rimborso di imposte asseritamente inapplicabili per assenza del relativo presupposto (nella specie, IRAP): il condono, infatti, in quanto volto a definire “transattivamente” la controversia in ordine all’esistenza di tale presupposto, pone il contribuente di fronte ad una libera scelta tra trattamenti distinti e che non si intersecano tra loro, ovverosia coltivare la controversia nei modi ordinari, conseguendo se del caso il rimborso delle somme indebitamente pagate, oppure corrispondere quanto dovuto per la definizione agevolata, ma senza possibilità di riflessi o interferenze con quanto eventualmente già corrisposto in via ordinaria” (Cass. n. 3682, n. 6504, n. 25239 del 2007).

In conclusione, si ritiene che, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5, e art. 380 bis cod. proc. civ., il ricorso possa essere deciso in camera di consiglio in quanto il primo, assorbente, motivo è manifestamente fondato”;

che la relazione è stata comunicata al pubblico ministero e notificata agli avvocati delle parti costituite;

che non sono state depositate conclusioni scritte nè memorie;

considerato che il Collegio, a seguito della discussione in camera di consiglio, condivide i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione e pertanto, ribaditi i principi di diritto sopra enunciati, il primo motivo del ricorso deve essere accolto, assorbito l’esame del secondo, la sentenza impugnata deve essere cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 cod. proc. civ., comma 1, con il rigetto del ricorso introduttivo del contribuente;

che sussistono giusti motivi per disporre la compensazione delle spese dell’intero giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo del contribuente.

Compensa le spese dell’intero giudizio.

Così deciso in Roma, il 26 marzo 2010.

Depositato in Cancelleria il 16 luglio 2010

 

 

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