Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16774 del 06/08/2020

Cassazione civile sez. trib., 06/08/2020, (ud. 27/02/2020, dep. 06/08/2020), n.16774

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. MANZON Enrico – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. FICHERA Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. NOVIK Adet Toni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso iscritto al n. 22534/2013 R.G. proposto da:

Agenzia delle Entrate (C.F. (OMISSIS)), in persona del direttore pro

tempore, rappresentata e difesa dall’avvocatura generale dello

Stato, elettivamente domiciliata presso i suoi uffici in Roma via

dei Portoghesi 12;

– ricorrente –

contro

C.P.A.S. (C.F. (OMISSIS)), rappresentato e

difeso dall’avv. Epicoco Stefano, elettivamente domiciliato presso

lo studio dell’avv. Re Amalia, in Roma via Marziale 7/b;

– controricorrente –

Avverso la sentenza n. 87/46/2012 della Commissione Tributaria

Regionale della Lombardia, depositata il giorno 16 luglio 2012.

Sentita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 27

febbraio 2020 dal Consigliere Fichera Giuseppe.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

C.P.A.S. impugnò la cartella di pagamento, con la quale venne ingiunto il pagamento dell’IRPEF, anno d’imposta 2002, a seguito dell’erroneo parziale sgravio di una precedente cartella, emessa nei confronti del medesimo contribuente all’esito di controlli automatizzati.

L’impugnazione venne accolta in primo grado; proposto appello dall’Agenzia delle Entrate, la Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, con sentenza resa il giorno 16 luglio 2012, lo respinse.

Avverso la detta sentenza, l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un unico mezzo, cui ha resistito con controricorso C.P.A.S..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo del ricorso l’Agenzia delle Entrate eccepisce la violazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 43, nonchè del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, artt. 36-bis e 43, poichè la commissione tributaria regionale ha errato, per un verso, non ritenendo sufficiente l’iscrizione a ruolo nei termini prescritti dei tributi dovuti e, per altro verso, escludendo l’applicabilità del termine triennale di decadenza della potestà impositiva, a decorrere dal momento in cui l’amministrazione aveva per mero errore sgravato la precedente cartella di pagamento.

1.1. Il motivo è manifestamente infondato.

Secondo il fermo orientamento di questa Corte in tema di recupero di somme oggetto di sgravio indebito, deve escludersi l’applicazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 43 (nel testo vigente successivamente alle modifiche introdotte dal D.L. n. 106 del 2005, art. 1, convertito con modificazioni dalla L. n. 156 del 2005), che consente all’ufficio di recuperare le “somme erroneamente rimborsate”, tramite diretta iscrizione a ruolo entro termini decorrenti dall'”esecuzione del rimborso”, tenuto conto che la norma fa esclusivo riferimento al rimborso e non allo sgravio, trattandosi di istituti tra loro eterogenei, essendo l’uno un provvedimento in autotutela con effetto sull’obligatio e l’altro un mero atto con effetto sulla so/utio, non essendo quindi possibile estendere all’uno la disposizione letteralmente riferita all’altro (Cass. 15/01/2019, n. 677; Cass. 13/12/2018, n. 32292; Cass. 27/09/2017, n. 22570).

Dunque, deve ritenersi che una volta sgravata – erroneamente la precedente cartella di pagamento, emessa ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36-bis, l’amministrazione si è trovata nella condizione di dovere disporre una nuova iscrizione a ruolo per effetto del precedente controllo automatizzato, così provocando la notifica di una nuova cartella di pagamento; ma è altrettanto certo che per siffatta nuova cartella di pagamento dovevano trovare applicazione i termini di decadenza, indefettibilmente fissati dalla legge per l’annualità cui si riferisce l’obbligazione tributaria.

1.2. Al riguardo, è sufficiente ricordare che il D.L. 17 giugno 2005, n. 106, art. 1, convertito con modificazioni dalla L. 31 luglio 2005, n. 156 – dando seguito alla nota sentenza della Corte costituzionale n. 280 del 2005, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 25, nella parte in cui non prevedeva un termine di decadenza per la notifica delle cartelle di pagamento relative alle imposte liquidate D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 36-bis – ha stabilito, al comma 5-bis, i termini di decadenza per la notifica delle cartelle di pagamento relative alla pretesa tributaria derivante dalla liquidazione delle dichiarazioni.

In particolare, per quanto qui rileva, il D.L. n. 106 del 2005, art. 1, comma 5-bis, lett. b), per fare fronte agli accertamenti ancora pendenti, ha dettato una disciplina transitoria per le cartelle di pagamento che dovevano essere notificate ai contribuenti relativamente agli anni pregressi, stabilendo che detta notifica, a pena di decadenza, doveva avvenire entro il “31 dicembre del quarto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione, con riferimento alle dichiarazioni presentate negli anni 2002 e 2003”.

E secondo l’orientamento costante di questa Corte, siffatta norma, di carattere chiaramente transitorio come già anticipato, trova applicazione non solo alle situazioni tributarie anteriori alla sua entrata in vigore, pendenti presso l’ente impositore, ma anche a quelle – è esattamente la vicenda a mano – che siano ancora sub iudice (Cass. n. 13/12/2017, 29845; Cass. 05/04/2013, n. 8406).

Orbene, è incontroverso che in relazione alla dichiarazione dei redditi per l’anno 2002, presentata dal Capecchi nell’anno 2003, alla luce della richiamata disciplina, il termine di decadenza per spiccare la relativa cartella di pagamento scadeva il 31 dicembre 2007, mentre la cartella impugnata è stata notificata pacificamente il successivo 23 giugno 2008, dovendosi quindi ritenere l’amministrazione definitivamente decaduta dalla potestà impositiva, come correttamente osservato dal giudice di merito nella sentenza impugnata.

2. Le spese del giudizio seguono la soccombenza. Essendo la ricorrente una amministrazione dello Stato esonerata dal versamento del contributo unificato, va escluso per la predetta l’obbligo di versare l’ulteriore importo pari a quello dovuto per il ricorso principale, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 (Cass. 29/01/2016, n. 17789).

PQM

Respinge il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali sostenute dal controricorrente, che liquida in Euro 2.500,00 per compensi, oltre alle spese generali al 15% ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 27 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 6 agosto 2020

 

 

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