Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16773 del 29/07/2011

Cassazione civile sez. II, 29/07/2011, (ud. 19/05/2011, dep. 29/07/2011), n.16773

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ODDO Massimo – Presidente –

Dott. MAZZIOTTI DI CELSO Lucio – Consigliere –

Dott. PICCIALLI Luigi – Consigliere –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. BERTUZZI Mario – rel. est. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

G.G., G.A.S., G.A.M.,

G.C. e G.P. rappresentati e difesi per

procura a margine del ricorso dagli Avvocati Magnano di San Lio

Giovanni e Salvatore Mauceri, elettivamente domiciliati presso lo

studio del primo in Roma, via dei Gracchi n. 187.

– ricorrenti –

contro

N.G., rappresentata e difesa per procura speciale

autenticata per atto del notaio Giuseppe Minniti di Siracusa in data

9 gennaio 2006 dall’Avvocato Carolina Valensise, elettivamente

domiciliata presso il suo studio in Roma, via Monte delle Gioie n.

13.

– controricorrente –

e

N.G., N.C., N.R. e N.

S..

– intimati –

avverso la sentenza n. 75 della Corte di appello di Catania,

depositata il 22 gennaio 2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 19

maggio 2011 dal consigliere relatore dott. Mario Bertuzzi;

udite le difese delle parti, svolte dall’Avvocato Giovanni Magnano di

San Lio per il ricorrente e dall’Avvocato Carolina Valensise per la

controricorrente;

udite le conclusioni del P.M., in persona del Sostituto Procuratore

Generale dott. LETTIERI Nicola, che ha chiesto il rigetto del

ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

N.G. e S.A., premesso che con atto pubblico del 1968 avevano venduto a G.S. mq. 3.000 di terreno corrispondente alla particella 465, derivante dal frazionamento della maggiore superficie della particella 45, e che da una perizia giurata era emerso che l’acquirente si era impossessato in danno degli istanti di un’area di terreno pari a mq. 461,70 ulteriore rispetto a quella venduta, convennero dinanzi al tribunale di S.M. M., G.G., G.A.S., G.A. M. e G.C. e G.P., quali eredi di G. S., chiedendo che fossero accertati gli esatti confini dell’area trasferita rispetto a quella rimasta in loro proprietà.

Espletata l’istruttoria anche mediante due consulenze tecniche d’ufficio, il Tribunale accolse la domanda, determinando il confine tra la proprietà degli attori e quella dei convenuti conformemente a quanto accertato dalla relazione del consulente tecnico geom.

C. depositata l’8 giugno 1989 ed ordinando ai convenuti il rilascio della porzione di terreno da loro indebitamente occupate come indicato nella menzionata relazione tecnica.

Interposto gravame, con sentenza n. 75 del 22 gennaio 2005 la Corte di appello di Catania confermò la pronuncia impugnata. A sostegno della propria conclusione la Corte affermò che non ricorreva il vizio di extrapetizione sollevato dagli appellanti, atteso che la statuizione era del tutto conforme alle loro richieste, che, ai fini della prova del diritto azionato in giudizio, la domanda degli attori doveva qualificarsi diretta al regolamento di confini, cui era connessa la richiesta di rilascio della porzione di immobile abusivamente occupata, e non azione di rivendica in senso proprio, richiamando, nel merito, le risultanze delle consulenze tecniche, attestanti che il terreno posseduto dal G. aveva un’estensione di mq. 445 maggiore rispetto a quella di mq. 3.000 indicata nell’atto di acquisto e che la traslazione di tale superficie aveva in parte interessato la proprietà degli attori.

Per la cassazione di questa decisione, con atto notificato il 30 novembre 2005, ricorrono i consorti G., anche in qualità di eredi M.M., affidandosi a quattro motivi, illustrati da memoria.

Resistono con controricorso N.G., mentre le altre parti intimate non si sono costituite.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il primo motivo di ricorso denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ. e insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, lamentando che la sentenza impugnata abbia qualificato l’azione promossa dalle controparti come regolamento di confine, in contrasto con l’accertamento della sua natura reale e petitoria svolto dal giudice di primo grado e con il rilievo che mai gli attori avevano proposto una questione di incertezza del confine, ma avevano dedotto la mancata corrispondenza tra le risultanze del frazionamento allegato all’atto di compravendita e le misurazioni successive dagli stessi effettuate. La Corte territoriale non ha inoltre considerato che dalle operazioni di apposizione dei termini poco prima eseguite dal Demanio marittimo era risultato che il lotto degli odierni ricorrenti si era accresciuto della superficie di mq. 450 in forza di eventi del tutto naturali.

Il mezzo appare infondato.

Premesso che la qualificazione della domanda in giudizio spetta al giudice di merito e che il relativo apprezzamento è censurabile dinanzi al giudice di legittimità solo per vizio di motivazione (Cass. n. 24495 del 2006; Cass. n. 4754 del 2004), si osserva che la questione del dedotto vizio di extrapetizione risulta specificatamente affrontata dal giudice di appello, il quale l’ha escluso affermando la completa coincidenza tra le conclusione rassegnate dagli attori in primo grado e la statuizione della decisione appellata. Tale statuizione è censurata dal ricorso, ma, deve aggiungersi, senza l’illustrazione di specifiche e valide ragioni in forza delle quali la valutazione compiuta dal giudice di merito in ordine all’oggetto e contenuto della domanda degli attori non sarebbe congruamente motivata. Tale non può ritenersi, in particolare, il riferimento, fatto dai ricorrenti, alla qualificazione della domanda in termini di azione reale e petitoria che sarebbe stata fornita dal giudice di primo grado, dovendo tali caratteri essere riconosciuti anche alla domanda di regolamento di confini (Cass. n. 5134 del 2008).

La seconda censura articolata con il primo motivo, che lamenta l’omessa considerazione da parte del giudice territoriale dei risultati delle operazioni asseritamene poste in essere dal Demanio marittimo, è inammissibile in quanto investe la valutazione dei fatti compiuta dal giudice di merito e non è sorretta dal principio di autosufficienza, il quale impone al ricorrente per cassazione che deduca l’omessa considerazione o erronea valutazione da parte del giudice di merito di risultanze istruttorie di riprodurre esattamente il contenuto dei documenti e delle prove che si assumono non esaminate, al fine di consentire alla Corte di valutare la sussistenza e decisività delle stesse (Cass. n. 17915 del 2010;

Cass. n. 18506 del 2006; Cass. n. 3004 del 2004). Nel caso di specie, in particolare, il ricorso omette completamente di riprodurre il testo del documento che assume colpevolmente ignorato dal giudice, nonchè anche solo di specificarne il contenuto, e di indicare quando ed in che modo esso è stato acquisito in giudizio, mancanza che impedisce al Collegio qualsiasi valutazione sul punto.

Il secondo motivo di ricorso denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 1350 e 2725 cod. civ. ed omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, lamenta che il giudice di appello non abbia dato ingresso alla prova testimoniale richiesta dai convenuti all’udienza del 3 ottobre 2001 e reiterata in sede di conclusioni, ritenendola inammissibile sulla base dell’erronea affermazione che essa era diretta a provare un contratto a forma scritta vincolata, laddove invece essa intendeva dimostrare una mera attività materiale. Il motivo è inammissibile.

Assorbente in tal senso è la considerazione che la prova testimoniale di cui si lamenta la mancata ammissione, il cui capitolo di prova è richiamato nell’esposizione del fatto dal ricorso, non contenga l’indicazione del teste che avrebbe dovuto essere sentito.

Questa mancanza determina, a sua volta, l’inammissibilità della richiesta di prova. L’art. 244 cod. proc. civ. prescrive, infatti, a tutela della regolarità del contraddittorio, che la prova testimoniale debba essere dedotta mediante l’indicazione specifica, cioè nominativa, delle persone da interrogare. Ne deriva che, nel testo applicabile ratione temporis, anteriore alla riforma introdotta dalla legge n. 353 del 1990, qualora la parte non abbia provveduto ad indicare i testi, ed il giudice non si sia avvalso del potere discrezionale conferitogli dalla legge di concedere alla parte un termine per tale incombente, la prova deve essere dichiarata inammissibile (Cass. n. 20871 del 2009; Cass. n. 7508 del 2007).

Il terzo motivo di ricorso, che denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 948, 950 e 2697 cod. civ. e artt. 61, 62 e 196 cod. proc. civ., nonchè insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, censura la sentenza impugnata per avere fondato il proprio accertamento di fatto mediante richiamo alle relazioni depositate dai consulenti tecnici d’ufficio, senza avvedersi delle loro lacune e contraddizioni, tenuto conto che mentre un consulente aveva affermato che l’accrescimento dell’area dei convenuti sarebbe avvenuta in danno del demanio, l’altro aveva affermato che essa era in danno degli attori.

Il mezzo è in parte inammissibile ed in parte infondato.

Inammissibile con riferimento alla denunzia di violazione di legge, atteso che le censure con esso sollevate attengono alla ricostruzione dei fatti operata dal giudice di merito e non all’applicazione di norme di diritto. Infondato con riferimento al dedotto vizio di motivazione, avendo il giudice congruamente esposto le ragioni del proprio accertamento di fatto mediante espresso richiamo agli accertamenti riportati nella consulenza tecnica d’ufficio svolta dall’ing. P., il quale aveva riferito che le mutazioni morfologiche del terreno non avevano interessato “la linea di demarcazione del demanio marittimo dalla proprietà privata” e che “dalla documentazione aereofotogrammetrica non si evince per nulla che le onde del mare si infrangevano contro il muro di recinzione del lotto G.”. Si osserva inoltre che la doglianza non appare sostenuta dal requisito di autosufficienza, già richiamato in sede di esame del primo motivo, avendo il ricorrente omesso di riportare il contenuto delle relazioni tecniche al fine di dimostrare che gli accertamenti in esse riportati erano errati o contraddittori.

Con il quarto motivo i ricorrenti denunziano violazione dell’art. 91 cod. proc. civ., lamentando di essere stati condannati al pagamento delle spese dei giudici di merito.

Il motivo va dichiarato assorbito alla luce del rigetto dei precedenti motivi, investendo una pronuncia accessoria che trova il suo fondamento nel principio di soccombenza nella lite.

Il ricorso va pertanto respinto.

le spese di giudizio, liquidate come in dispositivo, sono poste a carico della parte soccombente.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio nei confronti della parte costituita, che liquida in Euro 2.200, di cui Euro 200 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 19 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 29 luglio 2011

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