Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16773 del 14/06/2021

Cassazione civile sez. I, 14/06/2021, (ud. 10/06/2021, dep. 14/06/2021), n.16773

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – rel. Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. CAPRIOLI Maura – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

F.B., rappr. e dif. dall’avv. Maria Visentin,

mariavisentin.ordineavvocatiroma.org, elett. dom. presso lo studio

in Roma, via Cunfida n. 16, come da procura allegata in calce

all’atto;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro p.t., rappr. e difeso

ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui Uffici è

domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

– costituito –

per la cassazione del decreto Trib. Roma 17.7.2020, n. 22825, in R.G.

33874/2019;

udita la relazione della causa svolta dal Consigliere relatore Dott.

Massimo Ferro alla Camera di consiglio del 10.6.2021.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Rilevato che:

1. F.B. impugna il decreto Trib. Roma 17.7.2020, n. 22825, in R.G. 33874/2019 di rigetto del ricorso avverso il provvedimento di diniego della tutela invocata dinanzi alla competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale e da tale organo disattesa;

2. il tribunale, per quanto qui di residuo interesse, ha ritenuto che: a) le ragioni meramente economiche dell’allontanamento dal Bangladesh e l’assenza di motivi di riferita persecuzione escludevano i presupposti dello status di rifugiato; b) erano insussistenti altresì i presupposti della protezione sussidiaria, poichè la vicenda narrata (l’espatrio per esigenze di mantenimento di sè stesso e della famiglia, i debiti contratti per emigrare, la destinazione della casa di famiglia a garanzia) induceva ad escludere gli elementi ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b); c) era poi assente nel Paese il conflitto armato ai sensi dell’art. 14 cit., lett. c), non risultando segnalazioni di tal fatta per l’area di provenienza, secondo le fonti internazionali indicate; d) infondata la richiesta di protezione umanitaria, mancando situazioni di vulnerabilità connesse al rimpatrio, con certa compromissione grave dei diritti fondamentali, apparendo la domanda ispirata per lo più a ragioni economiche, pur dando atto del conseguimento di un contratto di lavoro a tempo indeterminato nell’imminenza dell’udienza e però difettando altri elementi d’integrazione sociale, vivendo il richiedente presso un centro d’accoglienza;

3. il ricorrente propone sei motivi di ricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Considerato che:

1. con il primo motivo si deduce l’erroneità del decreto ove ha omesso di disporre nuova audizione del ricorrente, in difetto di videoregistrazione, aggiungendo nel secondo motivo che tale lacuna non consentiva al tribunale di esprimere alcun giudizio di non credibilità del narrato sulla sola scorta delle dichiarazioni rese avanti alla commissione amministrativa; con il terzo motivo si contesta il mancato utilizzo dei poteri-doveri d’ufficio circa l’acquisizione di informazioni rilevanti, avendo riguardo all’istanza di audizione, nonchè alle situazioni di vulnerabilità; il quarto e quinto motivo prospettano il vizio dell’attività istruttoria subdelegata al giudice di pace, comprensiva anche della bozza di provvedimento, in violazione del principio dell’indelegabilità delle funzioni giudiziarie e criticando anche la negata possibilità di approfondire aspetti della vicenda essenziali, come il passaggio in Libia e il trattamento disumano degradante ivi subito; il sesto motivo contesta il diniego della protezione umanitaria, per trascuratezza del pericolo di persecuzione e di gravi rischi, non considerando la grave povertà del Paese di temuto rientro e non svolgendo indagine officiosa al riguardo sulla comparabilità;

2. ritiene il Collegio, preliminarmente, l’ammissibilità del ricorso, ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 13, essendo accompagnato da procura al difensore che – con unica sottoscrizione, come nella specie – assolve pienamente alla funzione certificatoria, al contempo, della sottoscrizione del conferente e del rilascio in data successiva alla comunicazione del decreto impugnato, risultando conforme a quanto statuito da Cass. s.u. 17066/2021;

3. il primo e secondo motivo sono inammissibili, per plurimi profili; la doglianza evita in primo luogo di confrontarsi con il principio, fermo presso questa Corte, per cui il giudice ha l’obbligo di fissare l’udienza di comparizione, ma non anche quello di disporre l’audizione del richiedente “a meno che: a) nel ricorso non vengano dedotti fatti nuovi a sostegno della domanda (sufficientemente distinti da quelli allegati nella fase amministrativa, circostanziati e rilevanti); b) il giudice ritenga necessaria l’acquisizione di chiarimenti in ordine alle incongruenze o alle contraddizioni rilevate nelle dichiarazioni del richiedente; c) il richiedente faccia istanza di audizione nel ricorso, precisando gli aspetti in ordine ai quali intende fornire chiarimenti e sempre che la domanda non venga ritenuta manifestamente infondata o inammissibile” (Cass. 21584/2020); e così si è ribadito, nel solco di quanto affermato dal citato precedente, che il corredo esplicativo dell’istanza di audizione deve risultare anche dal ricorso per cassazione, in prospettiva di autosufficienza ed in particolare il ricorso, col quale si assuma violata l’istanza di audizione, implica che sia soddisfatto da parte del ricorrente l’onere di specificità della censura, con indicazione puntuale dei fatti a suo tempo dedotti a fondamento di quell’istanza (Cass. 25312/2020);

4. inoltre, la censura appare eccentrica rispetto al decreto laddove ne contesta la valutazione di non credibilità che invece è assente, avendo il tribunale e piuttosto negato le protezioni maggiori per riscontro delle motivazioni solo economiche della migrazione e il difetto di persecuzioni o individualizzazioni del danno grave in concreto temuto; si tratta dunque di ratio decidendi diversa e incompatibile con quella oggetto di rappresentata impugnazione;

5. il terzo motivo è inammissibile, per assoluta genericità e assente indicazione almeno del contenuto minimo dei fatti pretesamente non esaminati e ciononostante offerti in valutazione nell’istanza di audizione, risolvendosi altrimenti la censura, come avvenuto, in un motivo privo di autosufficienza, oltre che inammissibilmente cumulativo di vizi sia dell’audizione (mancata), sia della valutazione dei presupposti della protezione umanitaria (non riportati, nemmeno in sintesi); più in generale, va ricordato che “in tema di protezione internazionale, l’attenuazione del principio dispositivo derivante dalla “cooperazione istruttoria”, cui il giudice del merito è tenuto, non riguarda il versante dell’allegazione, che anzi deve essere adeguatamente circostanziata, ma la prova, con la conseguenza che l’osservanza degli oneri di allegazione si ripercuote sulla verifica della fondatezza della domanda” (Cass. 3016/2019);

6. il quarto e quinto motivo sono infondati per un profilo, alla luce del principio, reso da Cass. s.u. 5425/2021, per cui non è affetto da nullità il procedimento nel cui ambito un giudice onorario di tribunale, su delega del giudice professionale designato per la trattazione del ricorso,abbia proceduto all’audizione del richiedente la protezione ed abbia rimesso la causa per la decisione al collegio della Sezione specializzata in materia di immigrazione, atteso che, ai sensi del D.Lgs. n. 116 del 2017, art. 10, commi 10 e 11, tale attività rientra senza dubbio tra i compiti delegabili al giudice onorario in considerazione della analogia con l’assunzione dei testimoni e del carattere esemplificativo dell’elencazione ivi contenuta; l’orientamento selezionato dalle Sezioni Unite, e già presente nella giurisprudenza di legittimità (Cass., Sez. VI-1, nn. 28966 e 28917 del 2020; Sez. II, nn. 28366 e 26699 del 2020; Sez. I, nn. 26258, 26257 e 26119 Ric. 2019 n. 00434 sez. SU – ud. 26-012021 -4- del 2020; Sez. III, n. 24463 del 2020), opera invero il rinvio alla “corretta considerazione che il giudice onorario legittimamente svolge attività istruttoria delegata dal giudice professionale, essendo ciò espressamente previsto dal D.Lgs. n. 116 del 2017, già richiamato art. 10, commi 10 e 11, a mente dei quali: “10. Il giudice onorario di pace coadiuva il giudice professionale a supporto del quale la struttura organizzativa è assegnata e, sotto la direzione e 11 coordinamento del giudice professionale, compie, anche per i procedimenti nei quali il tribunale giudica in composizione collegiale, tutti gli atti preparatori utili per l’esercizio della funzione giurisdizionale da parte del giudice professionale, provvedendo, in particolare, allo studio dei fascicoli, all’approfondimento giurisprudenziale e dottrinale ed alla predisposizione delle minute dei provvedimenti. Il giudice onorario può assistere alla Camera di consiglio”;

7. gli stessi motivi sono inammissibili ove il ricorrente ha evocato una diversa considerazione che sarebbe stata possibile in virtù dell’ipotizzata audizione avanti a giudice diverso, senza però riportare nè nello specifico dove, come e quando le circostanze sarebbero state introdotte, nè quali impedimenti siano stati frapposti alla loro emersione istruttoria, nè quale fosse la loro decisività, dunque infrangendosi in un ampio limite di autosufficienza e difetto di localizzazione;

8. il sesto motivo è inammissibile perchè con esso si rappresentano situazioni – al di là del riferimento ad un Paese del tutto diverso, come l’Ucraina p. 22 – come uno stato patologico (p. 26), il conflitto armato (p. 16), di cui non c’è traccia nel decreto (e dunque difettando la doglianza della indispensabile indicazione dei luoghi processuali della rispettiva rappresentazione, pena la sanzione d’inammissibilità perchè questioni da considerare nuove) ovvero si rinviene una ricostruzione del tutto diversa (così il non utilizzo delle strutture di accoglienza, p. 24) laddove il tribunale ha invece accertato l’esatto contrario (in punto di assenza di un riferimento logistico autonomo); il decreto ha collocato la vicenda in una fattispecie di rilievo meramente economico, senza riscontro – già per difetto di allegazione – di persecuzione o danno grave; quanto poi alla situazione in Bangladesh, il ricorrente non ha menzionato fonti, non esaminate o alternative, idonee a smentire l’affermazione del tribunale di inesistenza di vero e proprio conflitto armato nella zona di provenienza secondo la nozione chiarita quale rilevante ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), per cui essa, in conformità con la giurisprudenza della Corte di giustizia UE (sentenza 30 gennaio 2014, in causa C-285/12), deve essere interpretata nel senso che il conflitto armato interno rileva solo se, eccezionalmente, possa ritenersi che gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati, o tra due o più gruppi armati, siano all’origine di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria, così che il grado di violenza indiscriminata deve aver pertanto raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia (Cass. 18306/2019);

9. infine, il riferimento alla condizione lavorativa del richiedente, cui pure si fa cenno in decreto, per segnalare il difetto di una stabile integrazione sociale nel territorio e pur se con menzione di contratto a tempo indeterminato del 1.6.2020, ma privo di altri elementi di radicamento, così come di comparabilità, non appare affatto sviluppato nel motivo, che invece invoca una condizione del tutto diversa, cioè di occupazioni non stabili (p. 26), oltre a evocare patologie che, come detto, sono prive di riferimenti processuali precisi agli atti d’introduzione rituale nel processo, nemmeno allegati; il sesto motivo, pertanto, è inammissibile, poichè non si confronta con la ratio decidendi di esclusione della protezione umanitaria, negata sul duplice presupposto che la situazione di povertà ed emergenza nel Paese di provenienza non appariva tale da eliminare ogni garanzia di vita al rimpatrio e che il racconto non esplicitava una condizione soggettiva esposta a compromissione certa dei diritti fondamentali; il ricorrente non ha circostanziato come l’integrazione incertamente riferita fosse stata documentata nel processo ed in quale puntuale condizione sussistesse, omettendo ogni altro elemento alternativo d’integrazione sociale così da giustificare lo scrutinio di completezza ed effettività della comparazione presupposta da Cass. 3681/2019 e per come ripresa da Cass. s.u. 29459/2019;

il ricorso va dunque dichiarato inammissibile; sussistono i presupposti per il cd. raddoppio del contributo unificato (Cass. s.u. 4315/2020).

PQM

la Corte rigetta il ricorso; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 10 giugno 2021.

Depositato in Cancelleria il 14 giugno 2021

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