Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16772 del 14/06/2021

Cassazione civile sez. I, 14/06/2021, (ud. 10/06/2021, dep. 14/06/2021), n.16772

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – rel. Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. CAPRIOLI Maura – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

A.I., rappr. e dif. dall’avv. Maria Visentin,

mariavisentin.ordineavvocatiroma.org, elett. dom. presso lo studio

in Roma, via Cunfida n. 16, come da procura allegata in calce

all’atto;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro p.t., rappr. e difeso

ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui Uffici è

domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12

– costituito –

per la cassazione del decreto Trib. Roma 17.7.2020, n. 22819, in R.G.

33002/2019;

udita la relazione della causa svolta dal Consigliere relatore Dott.

Massimo Ferro alla Camera di consiglio del 10.6.2021.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Rilevato che:

1. A.I. impugna il decreto Trib. Roma 17.7.2020, n. 22819, in R.G. 33002/2019 di rigetto del ricorso avverso il provvedimento di diniego della tutela invocata dinanzi alla competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale e da tale organo disattesa;

2. il tribunale, per quanto qui di residuo interesse, ha ritenuto che: a) le ragioni dell’allontanamento dal Ghana e l’assenza di motivi di riferita persecuzione escludevano i presupposti dello status di rifugiato ed inoltre andava condivisa la valutazione di non credibilità del narrato, anche alla luce di fonti internazionali che riportavano reciproca tolleranza fra le religioni mussulmana e cristiana, del passaggio del tempo dalla vicenda enunciata (5 anni, senza riferite minacce), del mancato ricorso all’autorità; b) erano insussistenti infatti i presupposti della protezione sussidiaria, poichè la vicenda riportata (l’espatrio per il timore di vendetta dei genitori della ragazza convivente con il richiedente, improvvisamente morta a casa del medesimo, nonchè l’ostilità pregressa anche dei propri parenti alla relazione predetta, per essere le due famiglie di religioni diverse, mussulmana quella del richiedente, della chiesa pentecostale quella della ragazza, con il padre pastore) induceva ad escludere gli elementi ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), in difetto di allegato rischio altresì di sottoposizione a pena capitale o trattamenti inumani; c) era poi assente nel Paese il conflitto armato ai sensi dell’art. 14 cit., lett. c), non risultando segnalazioni di tal fatta per l’area di provenienza, secondo le fonti internazionali indicate; d) infondata la richiesta di protezione umanitaria, mancando situazioni di vulnerabilità connesse al rimpatrio, con certa compromissione grave dei diritti fondamentali, nonchè difettando allegati elementi d’integrazione sociale; il ricorrente propone quattro motivi di ricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Considerato che:

1. con il primo motivo si deduce l’erroneità del decreto ove ha omesso di disporre nuova audizione del ricorrente, in difetto di videoregistrazione, aggiungendo nel secondo motivo che tale lacuna non consentiva al tribunale di esprimere alcun giudizio di non credibilità del narrato sulla sola scorta delle dichiarazioni rese avanti alla commissione amministrativa, senza valutazione dell’istanza di audizione; con il terzo motivo si contesta il mancato utilizzo dei poteri-doveri d’ufficio circa l’acquisizione di informazioni rilevanti, avendo riguardo alle situazioni di vulnerabilità, tra cui l’alcoolismo di cui sarebbe affetto il ricorrente, così risolvendosi la motivazione in atto privo di contenuti o comunque carente; il quarto motivo contesta il diniego della protezione umanitaria, per trascuratezza del pericolo di persecuzione e di gravi rischi, non considerando la esposizione, al rientro coattivo nel Paese di temuto rientro, a condizioni di vita non rispettose del nucleo minimo di diritti della persona e non svolgendo indagine officiosa al riguardo sulla comparabilità;

2. ritiene il Collegio, preliminarmente, l’ammissibilità del ricorso, ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 13, essendo accompagnato da procura al difensore che – con unica sottoscrizione, come nella specie – assolve pienamente alla funzione certificatoria, al contempo, della sottoscrizione del conferente e del rilascio in data successiva alla comunicazione del decreto impugnato, risultando conforme a quanto statuito da Cass. s.u. 17066/2021;

3. il primo e secondo motivo sono inammissibili, per plurimi profili; la doglianza evita in primo luogo di confrontarsi con il principio, fermo presso questa Corte, per cui il giudice ha l’obbligo di fissare l’udienza di comparizione, ma non anche quello di disporre l’audizione del richiedente “a meno che: a) nel ricorso non vengano dedotti fatti nuovi a sostegno della domanda (sufficientemente distinti da quelli allegati nella fase amministrativa, circostanziati e rilevanti); b) il giudice ritenga necessaria l’acquisizione di chiarimenti in ordine alle incongruenze o alle contraddizioni rilevate nelle dichiarazioni del richiedente; c) il richiedente faccia istanza di audizione nel ricorso, precisando gli aspetti in ordine ai quali intende fornire chiarimenti e sempre che la domanda non venga ritenuta manifestamente infondata o inammissibile” (Cass. 21584/2020); e così si è ribadito, nel solco di quanto affermato dal citato precedente, che il corredo esplicativo dell’istanza di audizione deve risultare anche dal ricorso per cassazione, in prospettiva di autosufficienza ed in particolare il ricorso, col quale si assuma violata l’istanza di audizione, implica che sia soddisfatto da parte del ricorrente l’onere di specificità della censura, con indicazione puntuale dei fatti a suo tempo dedotti a fondamento di quell’istanza (Cass. 25312/2020);

4. il terzo motivo è inammissibile, per assoluta genericità e assente indicazione almeno del contenuto minimo dei fatti pretesamente non esaminati e ciononostante offerti in valutazione nell’istanza di audizione o comunque nel ricorso, risolvendosi altrimenti la censura, come avvenuto, in un motivo privo di autosufficienza, oltre che inammissibilmente cumulativo di vizi sia della violazione del dovere di cooperazione istruttoria (mancata), sia della valutazione dei presupposti della protezione umanitaria (non riportati, nemmeno in sintesi); più in generale, va ricordato che “in tema di protezione internazionale, l’attenuazione del principio dispositivo derivante dalla “cooperazione istruttoria”, cui il giudice del merito è tenuto, non riguarda il versante dell’allegazione, che anzi deve essere adeguatamente circostanziata, ma la prova, con la conseguenza che l’osservanza degli oneri di allegazione si ripercuote sulla verifica della fondatezza della domanda” (Cass. 3016/2019); inoltre, la censura appare eccentrica rispetto al decreto laddove ne contesta in modo assolutamente generico la valutazione di non credibilità, condotta mediante riferimenti ambientali e sulla versione del narrato, operando in tema il principio per cui detta valutazione, quanto alle dichiarazioni del richiedente, se è vero che non è affidata alla mera opinione del giudice ma è il risultato di una procedimentalizzazione legale della decisione, da compiersi non sulla base della mera mancanza di riscontri oggettivi ma alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, tenendo conto “della situazione individuale e delle circostanze personali del richiedente” di cui al comma 3 dello stesso articolo, senza dare rilievo esclusivo e determinante a mere discordanze o contraddizioni su aspetti secondari o isolati del racconto, comunque, “se effettuata secondo i criteri previsti dà luogo ad un apprezzamento di fatto, riservato al giudice del merito, essendo altrimenti censurabile in sede di legittimità per la violazione delle relative disposizioni” (Cass. 14674/2020);

5. il quarto motivo è inammissibile perchè con esso si rappresentano situazioni come uno stato patologico (p. 5) di cui non c’è traccia nel decreto (e dunque difettando la doglianza della indispensabile indicazione dei luoghi processuali della rispettiva rappresentazione, pena la sanzione d’inammissibilità perchè questioni da considerare nuove), comunque in sè non decisivo ovvero si rinviene una ricostruzione del tutto diversa, laddove il tribunale ha riscontrato la omessa offerta di elementi relativi all’integrazione sociale; lo stesso ricorso, sul punto, è assolutamente generico, anche laddove – di sfuggita, a p. 11 – menziona l’attività di gruppi terroristici, senza censurare il decreto ove il tribunale ha escluso il conflitto armato e così evitando di individualizzare, per condizione personale e localizzazione della zona d’origine, quale fosse in concreto il rischio di esposizione a pericolo invocato e nemmeno descritto;

6. il ricorrente non ha circostanziato come l’integrazione incertamente riferita fosse stata documentata nel processo ed in quale puntuale condizione sussistesse, omettendo ogni altro elemento alternativo così da giustificare lo scrutinio di completezza ed effettività della comparazione presupposta da Cass. 3681/2019 e per come ripresa da Cass. s.u. 29459/2019;

il ricorso va dunque dichiarato inammissibile; sussistono i presupposti per il cd. raddoppio del contributo unificato (Cass. s.u. 4315/2020).

P.Q.M.

la Corte dichiara inammissibile il ricorso; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 10 giugno 2021.

Depositato in Cancelleria il 14 giugno 2021

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