Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16767 del 29/07/2011

Cassazione civile sez. II, 29/07/2011, (ud. 11/05/2011, dep. 29/07/2011), n.16767

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ODDO Massimo – Presidente –

Dott. PICCIALLI Luigi – Consigliere –

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Consigliere –

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

PARS s.p.a., in persona del legale rappresentante pro-tempore, e

IMMOBILIARE GARDA s.r.l., in persona del legale rappresentante pro-

tempore, entrambe rappresentate e difese, in forza di procura

speciale in calce al medesimo ricorso, dall’Avv. Cancaro Antonio ed

elettivamente domiciliati presso il suo studio, in Roma, P viale

Pantelleria, n. 14 (recap. Ing. V. Sgarlata);

– ricorrenti –

contro

CONDOMINIO EDIFICIO DI (OMISSIS), DI (OMISSIS), in persona

dell’amministratore pro-tempore, rappresentato e difeso, in virtù di

procura speciale a margine del controricorso, dall’Avv. Profita

Armando ed elettivamente domiciliato, in Roma, v. Cosseria, n. 5,

presso lo studio dell’Avv. Laura Tricerri;

– controricorrente –

M.G.; P.S.; P.B.M.

M.L.; S.I.; P.F.; F.

L.; A.M.; G.M.; M.P.; M.

E.; P.G.; C.C.; P.F.

R.; A.P.; LA SCIA s.p.a., in persona del legale

rappresentante pro-tempore; A.S.; D.G. e

F.G.;

– intimati –

Avverso la sentenza della Corte di appello di Palermo n. 890/2006,

depositata il 27 luglio 2006.

Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica dell’11

maggio 2011 dal Consigliere relatore Dott. Aldo Carrato;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. FEDELI Massimo, che ha concluso per l’inammissibilità

del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto notificato il 4 giugno 1988 S.I. conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Palermo il Condominio di v. (OMISSIS), in persona dell’amministratore pro tempore P. B.M.L., nonchè quest’ultima in proprio, proponendo opposizione avverso la delibera assembleare del 6 maggio 1988 con la quale erano state approvate le nuove tabelle millesimali, adottata con la presenza di solo sei condomini e della quale veniva invocata la nullità. Nella costituzione dei convenuti e con l’intervento di altri condomini, dopo aver ordinato l’integrazione del contraddittorio nei confronti di tutti gli altri condomini, il g.i. dispose la separazione della causa relativa all’impugnazione della delibera condominiale da quella riguardante la modifica delle tabelle millesimali. Definito il primo giudizio con sentenza del 4 maggio 1990 dichiarativa della cessazione della materia del contendere, l’altro giudizio veniva deciso con sentenza del 17.4/13.6/1998 con la quale l’adito Tribunale dichiarava l’inefficacia della tabella di ripartizione delle spese inclusa nel regolamento condominiale, dichiarando valide ed efficaci le tabelle predisposte dal c.t.u., respingendo la domanda proposta da T. H. e regolando le spese processuali. Interposto appello avverso quest’ultima sentenza da parte del T. e della “Immobiliare Garda s.r.l.”, la Corte di appello di Palermo, con sentenza n. 622 del 2005 (depositata il 13 maggio 2005), ordinò la cancellazione della causa dal ruolo, con conseguente ed automatica estinzione del processo e passaggio in giudicato della sentenza impugnata, e condannò gli appellanti al pagamento delle spese in favore della sola appellata amministratrice del Condominio costituita in proprio. A sostegno dell’adottata sentenza la Corte territoriale rilevava che, poichè la notificazione dell’atto di citazione in appello non era stata regolarmente effettuata in relazione al disposto dell’art. 331 c.p.c. e gli appellanti non avevano provveduto ai conseguenti adempimenti di integrazione necessaria del contraddittorio nei termini concessi, non eseguendo la prescritta notifica in modo valido nemmeno nei confronti di P.G. e P.F. costituiti in primo grado (essendosi configurata la violazione dell’art. 330 c.p.c., comma 3), il gravame non poteva che essere definito attraverso la suddetta statuizione in rito.

Avverso la stessa sentenza la PARS s.p.a. (già Toluian s.p.a.) e la Immobiliare Garda s.r.l. proponevano il rimedio della revocazione per plurimi motivi, che, però, veniva dichiarato inammissibile dalla Corte di appello di Palermo con sentenza n. 890 del 2006 (pubblicata il 27 luglio 2006), per mancanza di interesse (essendosi svolto il giudizio di primo grado nei confronti di P.G., quale soggetto non legittimato, siccome aveva già alienato il suo appartamento alla figlia S. prima dell’introduzione dell’indicato giudizio, con conseguente omissione dell’integrità del contraddittorio) e per insussistenza, in ogni caso, del dedotto dolo revocatolo ex art. 395 c.p.c., n. 1, in relazione al comportamento osservato dall’Avv. Armando Profita.

Avverso la suddetta sentenza Corte palermitana hanno proposto ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 403 c.p.c., la s.p.a. PARS e la s.r.l. Immobiliare Garda, basato su tre motivi. Si è costituito in questa fase con controricorso il solo Condominio di v. (OMISSIS).

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo le ricorrenti hanno censurato la sentenza impugnata – in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – per assunta violazione degli artt. 2907 e segg. c.c. e art. 116 c.p.c., in ordine all’omessa motivazione su un punto decisivo della controversia con riguardo alla ritenuta mancata evocazione nei giudizi presupposti dalla sentenza impugnata di P.S..

2. Con il secondo motivo le ricorrenti hanno denunciato – in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, – la supposta violazione degli artt. 112 e 395 c.p.c., n. 4, per omessa pronuncia, sul presupposto che, una volta ritenuta ininfluente la chiamata in causa di P.G. e verificata la ritualità di quella di P.S., il giudice “a quo” avrebbe dovuto emettere una pronuncia rescindente, che attestasse la regolare formazione del contraddittorio, passando poi a quella rescissoria. A corredo di tale motivo le ricorrenti hanno indicato il seguente quesito di diritto:

“può il giudice della revocazione omettere l’indicazione se ricorrono o meno gli errori di fatto denunciati? E pronunciare la carenza di interesse sotto diverso profilo non denunciato dalle parti ed in contrasto col materiale probatorio?”.

3. Con il terzo motivo le ricorrenti hanno lamentato, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, la violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e segg. c.p.c., con riferimento alla supposta violazione del principio della soccombenza in ordine alla ripartizione delle spese processuali.

4. Ritiene il collegio che, pur non risultando ritualmente instaurato il contraddittorio nella presente fase nei confronti di tutti gli intimati (non emergendo certamente la prova dell’avvenuta notificazione del ricorso almeno nei confronti di P.F. e A.S.), sussistono le condizioni per pervenire alla dichiarazione di inammissibilità del formulato ricorso per inosservanza del requisito prescritto dall’art. 366 bis c.p.c., applicabile nella specie trattandosi di impugnazione proposta ai sensi dell’art. 403 c.p.c., comma 2, avverso sentenza in tema di revocazione pubblicata il 27 luglio 2006, ovvero allorquando era già in vigore la suddetta norma processuale introdotta per effetto del D.Lgs. n. 40 del 2006, così risultando inutile disporre l’integrazione del contraddittorio, alla stregua della più recente giurisprudenza di questa Corte, che ha inteso salvaguardare e valorizzare l’affermazione del principio della ragionevole durata del processo (cfr., per tutte, da ultimo, Cass., S.U., n. 6826/2010, ord.).

Sul piano generale si osserva (cfr., ad es., Cass. n. 4556/2009) che l’art. 366 bis c.p.c., nel) prescrivere le modalità di formulazione dei motivi del ricorso in cassazione, comporta, ai fini della declaratoria di inammissibilità del ricorso medesimo, una diversa valutazione da parte del giudice di legittimità a seconda che si sia in presenza dei motivi previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1, 2, 3 e 4, ovvero del motivo previsto dal numero 5 della stessa disposizione. Nel primo caso ciascuna censura deve, all’esito della sua illustrazione, tradursi in un quesito di diritto, la cui enunciazione (e formalità espressiva) va funzionalizzata, come attestato dall’art. 384 c.p.c., all’enunciazione del principio di diritto ovvero a “dieta” giurisprudenziali su questioni di diritto di particolare importanza, mentre, ove venga in rilievo il motivo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5. (il cui oggetto riguarda il solo “iter” argomentativo della decisione impugnata), è richiesta una illustrazione che, pur libera da rigidità formali, si deve concretizzare in una esposizione chiara e sintetica del fatto controverso – in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria – ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza rende inidonea la motivazione a giustificare la decisione.

Ciò posto, alla stregua della uniforme interpretazione di questa Corte (secondo la quale, inoltre, ai fini dell’art. 366 bis c.p.c., il quesito di diritto non può essere implicitamente desunto dall’esposizione del motivo di ricorso, nè può consistere o essere ricavato dalla semplice formulazione del principio di diritto che la parte ritiene corretto applicare alla fattispecie, poichè una simile interpretazione si risolverebbe nell’abrogazione tacita della suddetta norma codicistica), si rileva che le ricorrenti non si sono attenute alla rigorosa previsione scaturente dal citato art. 366 bis c.p.c., non avendo supportato i tre distinti motivi proposti rispettivamente con i quesiti di diritto specificamente attinenti alle violazioni di diritto processuale prospettate e con le necessarie sintesi degli assunti vizi motivazionali.

Ne consegue, quindi, che detti motivi devono considerarsi inammissibili perchè: – il primo (riferito al vizio ex art. 360 c.p.c., n. 5) non è supportato dalla specifica indicazione dei fatti controversi in relazione ai quali la motivazione si assume carente, senza che risulti svolto il successivo momento di sintesi dei rilievi attraverso il quale poter cogliere la eventuale fondatezza delle specifiche censure; il secondo (inerente un vizio riconducibile all’art. 360 c.p.c., n. 4) è corredato (nei termini precedentemente riportati) da un quesito assolutamente generico e non correlato alla specifica fattispecie e, quindi, inidoneo a svolgere la funzione implicata dall’art. 366 bis c.p.c.; – il terzo (riferibile sia ad un vizio di motivazione e che ad una violazione di legge) difetta di ogni indicazione diretta a soddisfare l’illustrazione del requisito previsto dallo stesso art. 366 bis c.p.c..

Pertanto, alla stregua di tale risultanza, va ribadito che, nel presente giudizio, il rispetto della ragionevole durata del processo impone, in presenza dell’evidente ragione di inammissibilità del ricorso per omessa e palese inidoneità dell’osservanza del requisito ex art. 366 bis c.p.c., di definire con immediatezza il processo, senza la preventiva integrazione del contraddittorio nei confronti dei litisconsorti necessari cui il ricorso non sia stata notificato, trattandosi di un’attività processuale del tutto ininfluente sull’esito del giudizio stesso (cfr. la cit. Cass., S.U., n. 6826/2010, ord., nonchè, in precedenza, Cass., S.U., n. 26373/2008, e Cass., sez. 2^, n. 2723/2010).

5. Le spese seguono la soccombenza e vanno poste, pertanto, nella misura indicata in dispositivo ed a favore del condominio controricorrente, a carico dei ricorrenti in via fra loro solidale, non dovendosi, in proposito, adottare alcuna pronuncia nei confronti degli altri intimati, che non hanno svolto attività difensiva in questa fase.

P.Q.M.

La Corte dichiara i ricorso inammissibile e condanna i ricorrenti, in solido fra loro, al pagamento delle spese del presente giudizio, in favore del Condominio controricorrente, liquidate in complessivi Euro 2.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 11 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 29 luglio 2011

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