Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16764 del 29/07/2011

Cassazione civile sez. II, 29/07/2011, (ud. 23/03/2011, dep. 29/07/2011), n.16764

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAZZIOTTI DI CELSO Lucio – Presidente –

Dott. BUCCIANTE Ettore – Consigliere –

Dott. PARZIALE Ippolisto – rel. Consigliere –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

COMUNE FRATTAMAGGIORE in persona del Sindaco pro tempore Dott. R.

F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLA BALDUINA

120/5, presso lo studio dell’avvocato AULETTA FERRUCCIO,

rappresentato e difeso dagli avvocati DAMIAMO FRANCESCO, PARISI

LUIGI;

– ricorrente –

contro

F.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DI PORTA

PINCIANA 4, presso lo studio dell’avvocato MAISANI ANDREA,

rappresentato e difeso dall’avvocato CICATIELLO ERNESTO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2097/2005 del GIUDICE DI PACE di

FRATTAMAGGIORE, depositata il 29/08/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

23/03/2011 dal Consigliere Dott. IPPOLISTO PARZIALE;

udito il P.M. in persona dei Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Libertino Alberto che ha concluso per l’accoglimento del

ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. – Il Comune di Frattamaggiore impugna la sentenza n. 2097 del locale giudice di pace, depositata il 28 agosto 2005, che respingeva la sua opposizione al decreto ingiuntivo chiesto e ottenuto dall’ingegner F.G. per il pagamento dell’importo di L. 727,01 quale saldo di una prestazione professionale effettuata in favore dell’amministrazione, consistente in una relazione geologica per la costruzione di un edificio comunale. L’incarico era stato conferito dal Comune in virtù di Delib. della Giunta comunale (23 gennaio 1992, n. 26), cui non seguiva la stipula del contratto in forma scritta. Il professionista presentava per il pagamento la parcella di L. 5.952.561, che veniva pagata dal Comune previa riduzione di 1/3 in base al disposto del R.D. n. 2537 del 1925, art. 62, in ragione della qualifica di docente scolastico rivestita dal F.. Successivamente, a seguito di deliberazione di carattere generale del 2001 n. 384 con la quale veniva statuito di procedere alla riliquidazione delle parcelle eliminando la decurtazione indicata e in mancanza di pagamento da parte del Comune, l’ing. F. chiedeva ed otteneva un decreto ingiuntivo per il pagamento del residuo importo dovuto, pari a L. 727,01.

L’opposizione proposta dal Comune deduceva, tra l’altro, la nullità della prestazione professionale per carenza della forma scritta del contratto e l’inesistenza della copertura della relativa spesa per essere l’importo originario stanziato pari a L. 5 milioni e non essendovi più capienza, nonchè la propria carenza di legittimazione passiva.

2. – Il giudice di pace respingeva l’opposizione, ritenendo che: a) il rapporto si era regolarmente instaurato tra le parti ed era stato eseguito con il pagamento di parte del compenso; b) la domanda di indebito arricchimento, proposta in memoria di costituzione da parte dell’opposto, era ammissibile costituendo emendatio libelli; c) era carente la prova in ordine alla mancata copertura delle spese; d) era intervenuto riconoscimento dell’utilità della prestazione professionale da parte del Comune; e) l’importo richiesto trovava la sua giustificazione equitativa nel visto dei competente ordine professionale.

Il Comune ricorrente formula un unico articolato motivo. Resiste con controricorso l’ingegner F.. Il Comune ha depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

– Motivi di ricorso.

Il ricorrente deduce “errores in procedendo e in indicando” per violazione di legge e dei principi informatori della materia, nonchè motivazione “inesistente, perplessa ed apparente”.

Il giudice di pace avrebbe violato le norme processuali che escludono possa proporsi dall’opposto nel giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo domande nuove, quale doveva ritenersi quella avanzata dall’opposto nella sua comparsa di costituzione ex art. 2041 c.c., ex art. 2041 c.c..

Il giudice di pace, inoltre, erroneamente non aveva tenuto conto dei principi informatori di cui al R.D. n. 383 del 1934, artt. 87 e 251 e degli artt. 191 e 194 del Testo Unico degli Enti locali (Testo Unico n. 267 del 2000) che impongono, per esigenze di contenimento e di controllo della spesa pubblica, la necessità che ogni prestazione resa all’ente locale avvenga mediante un preventivo formale impegno di spesa, assunto con un contratto redatto in forma scritta. In mancanza sorge la responsabilità del funzionario o dell’amministratore che abbia ordinalo la prestazione.

Immotivata ed “inconferente” risulta l’affermazione relativa al riconoscimento della utilitas della prestazione, rilevante invece nel solo ambito dell’azione ex art. 2041 c.c., peraltro inammissibile. In ogni caso l’ente avrebbe dovuto rispondere ex art. 2041 c.c., soltanto “nei limiti degli accertati e dimostrati utilità ed arricchimento…”.

2. – L’eccezione di inammissibilità del ricorso avanzata dal controricorrente.

Il controricorrente ha eccepito l’inammissibilità del ricorso in relazione alla procura rilasciata dal Sindaco, asseritamente in carenza di poteri, riservati alla Giunta comunale. L’eccezione è infondata poichè “nel nuovo ordinamento delle autonomie locali, la rappresentanza processuale del Comune spetta istituzionalmente al Sindaco, cui compete, in via esclusiva, il potere di conferire al difensore la procura alle liti, senza necessità di autorizzazione della Giunta municipale, salvo che una disposizione statutaria la richieda espressamente, spettando in tal caso alla parte interessata provare la carenza di tale autorizzazione producendo idonea documentazione” (Cass. n. 18062 del 04/08/2010 – rv. 615113). Tale orientamento è pienamente condiviso dai Collegio.

3. – Impugnazione delle sentenze del giudice di pace pronunciate secondo equità.

L’impugnazione ha riguardo ad una sentenza del Giudice di Pace resa secondo equità e depositata il 29/08/2005. Tale sentenza è, quindi, ratione temporis, ricorribile direttamente avanti questa Corte.

Infatti, questa Corte, in base al combinato disposto dagli artt. 339, comma 3, (nel testo previgente alla riforma del 2006) e art. 113 cod. proc. civ., comma 2, ha ritenuto inappellabili (e perciò immediatamente ricorribili per Cassazione) tutte le sentenze pronunciate dal giudice di pace in controversie non eccedenti il valore di Euro 1.100,00, a prescindere dal fatto che esse siano pronunciate secondo diritto o secondo equità, a tal fine dovendosi considerare non il contenuto della decisione ma, appunto, solamente il valore della controversia, da determinarsi applicando analogicamente le norme di cui agli artt. 10 e segg. cod. proc. civ. in tema di competenza (Cass. 2007 n. 4890).

Nel caso di specie la sentenza impugnata deve ritenersi emessa secondo equità, essendo stato richiesto il pagamento di una somma inferiore al limite indicato dal richiamato art. 113 c.p.c., comma 2.

Trattandosi di sentenza decisa secondo equità, questa Corte, intervenendo sui limiti della impugnazione, ha più volte affermato che tali sentenze sono impugnabili con ricorso per cassazione, oltre che per le violazioni, e i motivi previsti dall’art. 360 cod. proc. civ., nn. 1 e 2, solo – con riferimento al n. 3 del citato articolo – per violazioni della Costituzione, delle norme di diritto comunitario sovranazionali, della legge processuale, nonchè, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 206 del 2004, dei principi informatori della materia, restando pertanto escluse, anche dopo tale pronuncia, le altre violazioni di legge, mentre sono soggette a ricorso per cassazione – in relazione al citato art. 360 cod. proc. civ., n. 4. – per nullità attinente alla motivazione, solo ove questa sia assolutamente mancante o apparente, ovvero fondata su affermazioni contrastanti o perplesse o, comunque, inidonee ad evidenziare la ratio decidendi (Cass. 2007 n. 6382).

Questa Corte ha poi chiarito che “il rispetto dei principi informatori non vincola il Giudice di Pace all’osservanza di una regola ricavabile dal sistema, ma costituisce unicamente un limite al giudizio di equità al fine di evitare qualsiasi sconfinamento nell’arbitrio: ne deriva che il ricorso per cassazione contro la sentenza del giudice di pace deve essere diretto a denunciare, non già l’inosservanza di una regola, bensì il superamento di quel limite, sicchè il ricorrente non solo deve indicare chiaramente il principio informatore che si assume violato, ma deve anche specificare in qual modo la regola equitativa posta a fondamento della pronuncia impugnata si ponga con esso in contrasto, e ciò al fine di consentire al giudice di legittimità la verifica della sua esistenza e della sua eventuale violazione” (Cass. 2006 n. 12147).

Quanto alla motivazione di tali sentenze, questa Corte ha più volte affermato che “Le sentenze del giudice di pace, in ipotesi di pronuncia secondo equità, ai sensi dell’art. 113 cod. proc. civ., comma 2, devono essere succintamente motivate, in ossequio al principio degli art. 132 cod. proc. civ., comma 2, n. 4, e art. 118 disp. att. del citato codice, comma 2, seconda parte, oltre che del generale principio dell’art. 111 Cost.. In mancanza di tale requisito essenziale, che deve ritenersi configurabile non solo nei casi di sentenza del tutto mancante di motivazione ma anche in quelli di motivazione apparente – perchè priva della indicazione degli elementi che giustificano il convincimento del giudice e ne rendono possibile il controllo di legittimità – può essere dedotto sotto il profilo della nullità della sentenza per violazione delle suddette disposizioni dell’art. 132 cod. proc. civ. e art. 118 disp. att. c.c.” (Cass. 11880 del 2007).

4. – Il ricorso è infondato e va rigettato per quanto di seguito si chiarisce.

4.1 – Il ricorso riguarda la nullità del contratto (primo motivo, punto 5.2.1 – pagina 7), nonchè (secondo motivo) l’ammissibilità (punto 5.3) e la fondatezza (punti 5.2.2, 5.4) della domanda di indebito arricchimento.

Il giudice di pace nella sua motivazione ha osservato che non vi erano “contestazioni tra le parti circa: a) l’avvenuto incarico con delibera …; b) l’avvenuto espletamento dell’incarico …; c) il pagamento della prestazione professionale come da parcella n. 3/93 … con decurtazione di un terzo …”.

Per sorreggere la sua decisione, il Giudice di Pace ha adottato una duplice ratio decidendi, radicata la prima sulla fondatezza dell’azione contrattuale e la seconda sulla ammissibilità e fondatezza dell’azione di ripetizione di indebito. In ordine alla prima, il giudice di pace ha argomentato sulla validità del rapporto intercorso tra le parti, osservando che l’incarico era stato regolarmente conferito con delibera di giunta, regolarmente espletato e pagato. Da ciò risultava la regolare instaurazione del rapporto tra le parti con la determinazione della prestazione e del compenso (pagina 4 della sentenza, parte centrale).

Il giudice di pace ha poi osservato che il mancato pagamento della residua somma di Euro 707, oggetto del giudizio, era dovuto esclusivamente ad una questione interpretativa in ordine all’applicazione, o meno, della decurtazione di un terzo in ragione della posizione di pubblico dipendente rivestita dall’ingegnere, questione poi superata. Di qui la richiesta di pagamento e la fondatezza della domanda di indebito arricchimento.

4.2 – In relazione alla duplice ratio decidendi adottata dai Giudice di Pace e a quanto di seguito chiarito appare opportuno esaminare per prima la seconda censura, che risulta infondata. Infatti, non coglie nel segno la censura di inammissibilità della domanda ex art. 2041 cod. civ. (che può essere esaminata trattandosi di denunciato errar in procedendo). Al riguardo, occorre osservare che tale domanda era ammissibile e ciò sulla base del recente orientamento di questa Corte (Sezioni Unite sentenza n. 26128 del 27 dicembre 2010 – rv.

615487)) che, pur avendo confermato il precedente consolidato orientamento in ordine alla diversità delle domande di adempimento contrattuale e di arricchimento senza causa, sia quanto alla causa petendi sia quanto al petitum, ha però ritenuto “ammissibile la domanda di arricchimento senza causa avanzata con la comparsa di costituzione e risposta dall’opposto (che riveste la posizione sostanziale di attore) soltanto qualora l’opponente abbia introdotto nel giudizio, con l’atto di citazione, un ulteriore tema di indagine, tale che possa giustificare l’esame di una situazione di arricchimento senza causa”.

Nel caso in questione il ricorso monitorio e l’opposizione furono formulati – come affermato dallo stesso giudice di pace (fine pagina 4, inizio pagina 5) – proprio sulla base dell’esistenza del rapporto contrattuale contestato dall’Amministrazione. Di qui l’ammissibilità della domanda di indebito arricchimento. Quanto poi alla fondatezza della domanda, le censure avanzate a ben vedere riguardano un vizio di motivazione quanto alla utilitas che ne ha tratto l’amministrazione e all’indebito arricchimento derivato al Comune da quanto non pagato per effetto di una normativa poi venuta meno. Le censure in questione sono, quindi, inammissibili per quanto già esposto al punto 3 sui limiti della impugnazione delle sentenze rese secondo equità dal Giudice di Pace, non sussistendo una omessa motivazione e non potendosi qualificare apparente la motivazione adottata dal Giudice di Pace.

11 motivo è pure inammissibile ove si ritenessero censurati i principi informatori della materia, non potendo essere ricondotti entro tale ambito nè l’utilitas conseguita nè l’importo riconosciuto per l’indebito arricchimento.

5. – Il primo motivo resta assorbito.

Poichè la decisione impugnata si fonda su più ragioni autonome, ciascuna delle quali logicamente e giuridicamente idonea a sorreggere la decisione, il rigetto del secondo motivo di ricorso la sì che la sentenza impugnata resta comunque fondata su tale ratio. L’esame del primo motivo resta, quindi, assorbito per carenza di interesse in relazione alla relativa pronuncia.

6. – Le spese.

Le spese seguono la soccombenza.

P.T.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la parte ricorrente alle spese di giudizio, liquidate 400,00 Euro per onorari e 200,00 per spese, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 23 marzo 2011.

Depositato in Cancelleria il 29 luglio 2011

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