Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16756 del 07/07/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 07/07/2017, (ud. 11/04/2017, dep.07/07/2017),  n. 16756

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PICCININNI Carlo – Presidente –

Dott. BRUSCHETTA Ernestino – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Luigi – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. PERRINO Angelina Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 3788/2012 R.G. proposto da:

Enzo degli Angiuoni S.p.A., rappresentata e difesa dall’avv. Angelo

Ciavarella, con domicilio eletto in Roma, via Beethoven 53, presso

lo studio dell’avv. Rita Imbrioscia;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate;

– intimata –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Lombardia n. 137/15/10, depositata il 22 dicembre 2010.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio dell’11 aprile

2017 dal Consigliere Giuseppe Tedesco.

Fatto

FATTO E DIRITTO

ritenuto che la Enzo degli Angiuoni S.p.A. ha proposto ricorso per cassazione contro la sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia (Ctr), che ha accolto l’appello dei Fisco in relazione a fattispecie di cessioni all’esportazione da effettuarsi previo transito comunitario, e per le quali la dogana di partenza non aveva ricevuto dalla dogana di destinazione il modello “T2”;

che, in particolare, la Ctr, riformando la sentenza di primo grado, ha ritenuto inidonea la prova alternativa fornita dalla contribuente per dimostrare il perfezionamento della operazione;

che il ricorso per cassazione è proposto sulla base di un unico motivo, il quale deduce, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e n. 5, violazione dell’art. 115 c.p.c.;

che la ricorrente non nega che l’onere della prova dell’avvenuta esportazione doveva essere fornita dalla società, ma sostiene che, non potendosi addebitare all’esportatore la carenza di un documento di cui egli non ha la disponibilità, gli deve essere riconosciuta la possibilità di fornire la prova alternativa con ogni mezzo;

che il motivo, di là dall’improprio riferimento all’art. 115 c.p.c., e al cumulativo richiamo all’art. 360, c.p.c., comma 1, n. 3 e al n. 5, è infondato;

che nella sentenza, infatti, non si accenna minimamente a un supposto principio di tipicità della prova in materia di cessioni all’esportazioni intracomunitarie per le quali l’esportatore non sia in grado di produrre il modello “T2”;

che al contrario la Ctr ha espressamente riconosciuto che la prova alternativa può essere data dal contribuente con ogni mezzo; ha solamente aggiunto che i mezzi idonei allo scopo debbono avere i caratteri di certezza e incontrovertibilità, escludendo che possano costituire prove idonee allo scopo documenti di origine privata;

che la sentenza su questo punto è perfettamente in linea con gli insegnamenti di questa Suprema corte secondo cui “L’esenzione dall’Iva per le cessioni di beni destinati all’esportazione, prevista dal D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 8, comma 1, postula l’effettivo perfezionamento di tutte le operazioni di esportazione, delle quali assume per intero la responsabilità il cedente, a carico del quale incombe, nella ipotesi di mancato perfezionamento della esportazione stessa (nella specie, per mancato apprestamento del prescritto mod. T2 da parte della dogana di destinazione), alla stregua della disciplina del diritto interno come del diritto doganale comunitario, l’onere della prova della presentazione delle merci alla dogana di destinazione. Tale prova, peraltro, può essere fornita con ogni mezzo, purchè essa abbia carattere di certezza ed incontrovertibilità, quale può essere l’attestazione di pubbliche amministrazioni del Paese di destinazione dell’avvenuta detta presentazione delle merci in dogana, mentre documenti di origine privata, come la documentazione bancaria dell’avvenuto pagamento, non possono costituire prova idonea allo scopo” (Cass. n. 6351/2002; conf. n. 9104/2002; n. 12608/2008; n. 25455/2014);

che, una volta richiamata tale corretta affermazione di principio, la sentenza impugnata è passata a verificare l’idoneità della prova offerta dalla società e l’ha ritenuta priva dei requisiti prescritti di certezza e incontrovertibilità;

che in tale valutazione la ricorrente erroneamente ravvisa una vanificazione del principio che, in questa materia, la prova alternativa può essere fornita con ogni mezzo, proprio perchè tale libertà di prova va intesa nei termini indicati da questa Suprema corte, mentre la valutazione negativa di merito sui mezzi in concreto offerti dalla contribuente non è sindacabile in questa sede, non essendo stata censurata sotto il profilo del vizio di motivazione (il generico riferimento operato nella rubrica all’art. 360 c.p.c., comma 1, inserito nell’ambito di un motivo inteso a dare conto di una supposta violazione in ordine all’identificazione dei mezzi di prova utili allo scopo, non basta a ritenere dedotto il relativo motivo di impugnazione, che sarebbe poi inammissibile, in quanto la sentenza si risolve in una generica censura della valutazione operata al riguardo dalla Ctr, pretendendone una diversa, e poi anche per difetto di autosufficienza, perchè non sono trascritti i documenti che la Ctr non avrebbe adeguatamente valutato);

che, avuto riguardo alle considerazioni che precedono, si impone il rigetto del ricorso.

PQM

 

rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 11 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 7 luglio 2017

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