Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16755 del 14/06/2021

Cassazione civile sez. trib., 14/06/2021, (ud. 12/03/2021, dep. 14/06/2021), n.16755

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Presidente –

Dott. TRISCARI Giancarlo – rel. Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. CHIESI Gian Andrea – Consigliere –

Dott. D’AURIA Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 17278 del ruolo generale dell’anno 2015

proposto da:

Jakala Group s.p.a., in persona del legale rappresentante,

rappresentata e difesa, per procura speciale a margine del ricorso,

dagli Avv.ti Giuseppe Camosci e Francesco Falcitelli, presso il cui

studio in Roma, via Gian Giacomo Porro, n. 8, è elettivamente

domiciliata;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate;

– resistente –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale della Lombardia, n. 7265/20/2014, depositata in data 29

dicembre 2014;

udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 12

marzo 2021 dal Consigliere Dott. Triscari Giancarlo.

 

Fatto

RILEVATO

che:

dall’esposizione in fatto della sentenza impugnata si evince che: l’Agenzia delle entrate aveva notificato a Jakala Group s.p.a. un avviso di accertamento con il quale, relativamente all’anno di imposta 2005, aveva rettificato il reddito di impresa e recuperato l’Iva indebitamente detratta ed i costi ritenuti inesistenti in quanto relativi a operazioni soggettivamente inesistenti; avverso l’atto impositivo la società aveva proposto ricorso che era stato accolto dalla Commissione tributaria provinciale di Milano; l’Agenzia delle entrate aveva proposto appello;

la Commissione tributaria regionale ha parzialmente accolto l’appello, in particolare ha ritenuto che: era illegittima la ripresa avente ad oggetto i costi ritenuti non deducibili, considerato che la contestazione riguardava operazioni soggettivamente inesistenti e, dunque, doveva ritenersi che i costi erano stati effettivamente sostenuti; era legittima, invece, la pretesa relativa alla non detraibilità dell’Iva, in quanto l’amministrazione finanziaria aveva fornito la prova della fittizietà delle operazioni, mentre la contribuente non aveva provato di essere stata estranea alla frode; Jakala Group s.p.a. ha quindi proposto ricorso per la cassazione della sentenza affidato a un unico motivo di censura;

l’Agenzia delle entrate ha depositato atto denominato “di costituzione” con il quale ha dichiarato di costituirsi al fine della partecipazione all’udienza di discussione.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con l’unico motivo di ricorso si censura la sentenza per violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19, in materia di riconoscimento del diritto alla detrazione dell’Iva;

in particolare, parte ricorrente evidenzia che nessun elemento presuntivo era stato prodotto dall’amministrazione finanziaria al fine di dimostrare la fittizietà degli acquisti effettuati e che il giudice del gravame si era limitato ad affermare che, ove l’amministrazione finanziaria contesti l’indebita detrazione delle fatture in quanto afferenti ad operazioni inesistenti, è il contribuente che deve dare la prova della legittimità dell’operazione;

evidenzia, inoltre, di avere tenuto un comportamento di buona fede e che, d’altro lato, nessuna prova era stata fornita dall’amministrazione finanziaria circa la conoscenza dell’altrui condotta fraudolenta e, quindi, dell’assenza di un comportamento di buona fede;

il motivo è fondato;

va precisato, in generale, che l’esistenza di una fattura che sia conforme ai requisiti di forma e contenuto richiesti dalla vigente disciplina (D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21, e, con riguardo al diritto unionale, art. 22, par. 3, della Sesta Direttiva), in quanto tale, fa presumere la verità di quanto ivi rappresentato, sicchè costituisce titolo per il contribuente ai fini del diritto alla detrazione dell’Iva;

la possibilità di escludere il riconoscimento del diritto alla detrazione può tuttavia fondarsi, oltre che sulla contestazione della esistenza oggettiva delle operazioni, anche sull’accertamento che le stesse sono soggettivamente inesistenti, cioè che sono state rese al destinatario, che le ha effettivamente ricevute, da un soggetto diverso da quello che ha effettuato la cessione o la prestazione rappresentata nella fattura;

questa Corte (Cass. civ., 20 aprile 2018, n. 9851) ha quindi precisato, ai fini della ripartizione dell’onere della prova, che, poichè il diniego del diritto di detrazione segna un’eccezione al principio di neutralità dell’Iva, incombe, in primo luogo, sull’Amministrazione finanziaria provare che, a fronte dell’esibizione del titolo, difettano, le condizioni, oggettive e soggettive, per la detrazione; solo raggiunta questa prova, spetterà al contribuente fornire la prova contraria, ossia di avere agito in buona fede, ritenendo incolpevolmente che le merci acquistate fossero effettivamente rifornite dalla società cedente;

è rilevante precisare che la prova che deve essere fornita dall’amministrazione finanziaria in caso di operazioni soggettivamente inesistenti si incentra su due circostanze di valenza costitutiva rispetto alla pretesa erariale e in particolare: a) l’alterità soggettiva dell’imputazione delle operazioni, cioè che il soggetto formale non è quello reale; b) il fatto che il cessionario sapeva o avrebbe dovuto sapere che la cessione si inseriva in una evasione Iva e, in questo ambito, non è necessaria la prova della partecipazione all’evasione ma è sufficiente, e necessario, che il contribuente avrebbe dovuto esserne consapevole;

in questo ambito, mentre il primo profilo esige che si dia prova, anche solo in via presuntiva, della natura di interposto o “cartiera” del soggetto emittente le fatture, il secondo richiede che sia l’amministrazione finanziaria a provare, sia pure anche solo in base a presunzioni, che il contribuente, al momento in cui acquistò il bene od il servizio, sapeva o avrebbe dovuto sapere, con l’uso dell’ordinaria diligenza, che il soggetto formalmente cedente, con l’emissione della relativa fattura, aveva evaso l’imposta o partecipato a una frode, e cioè che il contribuente disponeva di indizi idonei ad avvalorare un tale dubbio ovvero, con espressione efficace, “a porre sull’avviso qualunque imprenditore onesto e mediamente esperto sulla sostanziale inesistenza del contraente” (Corte di Giustizia 6 dicembre 2012, Bonik, C-285/11; Corte di Giustizia, Ppuh, C277/14, par. 50);

con riferimento alla presente controversia, il giudice del gravame non si è attenuto ai suddetti principi, in quanto non ha verificato ed accertato se l’amministrazione finanziaria avesse adeguatamente assolto al proprio onere di provare che la contribuente era nelle condizioni di conoscere di essere partecipe di una operazione fraudolenta;

il motivo è, pertanto, fondato, con conseguente accoglimento del ricorso e cassazione della sentenza con rinvio alla Commissione tributaria regionale anche per la liquidazione delle spese di lite.

P.Q.M.

La Corte:

accoglie il ricorso, cassa la sentenza censurata e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese di lite del presente giudizio.

Così deciso in Roma, il 12 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 14 giugno 2021

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