Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16755 del 07/7/2017

Cassazione civile, sez. trib., 07/07/2017, (ud. 11/04/2017, dep.07/07/2017),  n. 16755

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PICCININNI Carlo – Presidente –

Dott. BRUSCHETTA Ernestino – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Luigi – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. PERRINO Angelina Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 2943/2012 R.G. proposto da:

Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro tempore,

domiciliata in Roma, via dei Portoghesi 12, presso 12, l’Avvocatura

Generale dello Stato, che la rappresenta e difende ope legis;

– ricorrente –

contro

Planet Travel Store s.a.s. di F.P. & C.;

– intimata –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del

Piemonte n. 94/28/10, depositata il 30 novembre 2010.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio dell’il aprile

2017 dal Consigliere Giuseppe Tedesco.

Fatto

FATTO E DIRITTO

ritenuto che l’Agenzia dell’entrate ha proposto ricorso per cassazione contro la sentenza della Commissione tributaria regionale del Piemonte (Ctr), che ha confermato la sentenza di primo grado, favorevole per la contribuente, in relazione a una istanza di rimborso del credito Iva risultante dall’ultima dichiarazione presentata dalla società (rimborso che l’Amministrazione finanziaria aveva negato in quanto la relativa istanza fu proposta oltre il termine biennale di decadenza Il D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 21, avendo la stessa Amministrazione disconosciuto la richiesta avanzata in sede di dichiarazione, assumendola effettuata in modo difforme dalle disposizioni all’epoca vigenti, che prevedevano la presentazione di un apposito modello);

che il ricorso è proposto sulla base di un unico motivo, il quale pone la questione se il diritto al rimborso del credito Iva per l’anno 2004, nel caso in cui la richiesta non fosse stata effettuata mediante la compilazione dell’apposito modello previsto dalle disposizioni all’epoca vigenti (modello “VR”), dovesse essere fatto valere nel termine di decadenza previsto dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21, oppure nel termine ordinario di prescrizione decennale;

che la giurisprudenza di questa Corte è saldamente orientata nel senso che l’esposizione del credito Iva nella dichiarazione annuale, mediante la compilazione dell’apposito quadro e rigo “Importo di cui si chiede il rimborso”, pure nella vigenza del modello VR, costituiva idonea e rituale domanda di rimborso, idonea a mettere fuori gioco l’art. 21 cit., in linea di principio applicabile anche in materia di rimborso di credito Iva, qualora la richiesta sia fatta con modalità diverse da quelle previste nel D.P.R. n. 633 del 1972, art. 30 (Cass. 20039 del 2011; Cass. 6986 del 2014; Cass. 4145 del 2016);

che occorre però avvertire che il principio non è perfettamente aderente al caso concreto, essendo circostanza pacifica che la società, pur esponendo il credito Iva nella dichiarazione annuale presentata nel 2005, non ne ha chiesto il rimborso, ma ha indicato il corrispondente importo quale credito da portare in compensazione;

che tale particolarità, tuttavia, non basta a far ritenere fondata la tesi dell’Agenzia delle entrate, essendo la presente fattispecie pacificamente caratterizzata dal fatto che la dichiarazione contenente l’indicazione del credito fu l’ultima presentata dalla società, avendo questa cessato la propria attività il 31 dicembre 2004;

che il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 30, comma 2, dispone che, se dalla dichiarazione annuale risulta che l’ammontare dell’Iva detraibile, aumentato delle somme versate mensilmente, è superiore a quello dell’imposta relativa alle operazioni imponibili, il contribuente ha diritto di computare l’importo dell’eccedenza in detrazione nell’anno successivo, ovvero, in presenza dei presupposti di legge (commi terzo e quarto dello stesso art. 30) e comunque in caso di cessazione di attività, di chiederne il rimborso;

che il fondamento giuridico di tale previsione legislativa, secondo cui in caso di cessazione di attività il contribuente può chiedere “comunque” il rimborso dell’imposta (senza limiti di importo), è ravvisato nell’impossibilità di fatto, da parte dei contribuenti che abbiano cessato l’attività di impresa, di recuperare l’eccedenza di Iva a credito, emergente dalla dichiarazione annuale, attraverso l’esercizio del diritto di detrazione nell’anno successivo;

che quanto al termine applicabile per l’esercizio del diritto al rimborso correlato alla cessazione di attività, secondo consolidata giurisprudenza di questa Corte, la relativa richiesta è soggetta al termine di prescrizione ordinario decennale e non a quello biennale di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21, applicabile in via sussidiaria e residuale, in mancanza di disposizioni specifiche. Ed infatti “quella del rimborso dell’eccedenza d’imposta all’atto della cessazione dell’attività non è una ipotesi che può ritenersi non regolata da alcuna disposizione (con la conseguente applicabilità del termine biennale di decadenza cui fa riferimento l’amministrazione), poichè si tratta di fattispecie regolata, appunto, dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 30, comma 2”, in considerazione della materiale impossibilità dell’esercizio del diritto di detrazione nell’anno successivo (Cass. n. 25318/2010; n. 9794/2010; n. 5486/2003);

che nel caso in esame, pertanto, l’avvenuta presentazione di istanza di rimborso nel settembre 2008 per l’anno 2004 (ultimo anno di attività della società, essendo la stessa attività cessata alla fine di quello stesso anno) vale a far ritenere tempestiva l’istanza stessa, così come ritenuto dal giudice di merito, indipendentemente dalle formalità seguite per l’esposizione del credito nell’ultima dichiarazione;

che, alla stregua delle considerazioni che precedono, si impone il rigetto del ricorso.

PQM

 

rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 11 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 7 luglio 2017

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