Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16754 del 04/07/2013


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 16754 Anno 2013
Presidente: VITRONE UGO
Relatore: GIANCOLA MARIA CRISTINA

Data pubblicazione: 04/07/2013

SENTENZA
sul ricorso 21949-2006 proposto da:
COLACRAI

ROCCO

(c.f.

CLCRCC22L21C245E),

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA NICASTRO 3,
presso l’avvocato VOCCIA CARLO, rappresentato e
difeso dall’avvocato CRISCI LUCIO, giusta procura a
margine del ricorso;
– ricorrente –

2013
923

contro

COMUNE DI CASTELPAGANO

(C.F.

80001770629),

in

persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

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domiciliato in ROMA, VIA ATANASIO KIRCHER 7, presso
l’avvocato JASONNA STEFANIA, rappresentato e difeso
dall’avvocato LA BROCCA VINCENZO, giusta procura a
margine del controricorso;

controri corrente

D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 09/06/2005;
udita la relazione della causa svolta nella
pubblica udienza del 28/05/2013 dal Consigliere
Dott. MARIA CRISTINA GIANCOLA;
udito, per il ricorrente, l’Avvocato GIROLAMO
RIZZUTO, con delega, che ha chiesto l’accoglimento
del ricorso;
udito, per il controricorrente, l’Avvocato GIOVANNI
ROMANO, con delega, che ha chiesto
l’inammissibilità del ricorso;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. PASQUALE FIMIANI che ha concluso
per: preliminarmente inammissibilità del ricorso,

avverso la sentenza n. 1796/2005 della CORTE

in subordine rinvio in attesa della decisione delle
SS.UU., in ulteriore subordine rigetto.

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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato il 16.09.1995 Rocco Colacrai adiva il Tribunale di
Benevento e premesso che per la realizzazione di un edificio scolastico, il Comune di

16.3.1981, un fondo rustico di sua proprietà, complessivamente esteso mq. 766,67,
(censito in catasto al foglio 8, particelle 55 e 5), che la prevista opera pubblica non era
stata completata, che la procedura di espropriazione non era stata portata a regolare
compimento; che non aveva ricevuto alcun indennizzo e che il convenuto Comune, con
delibera consiliare n. 29 del 29.9.1994, aveva espresso parere favorevole alla vendita
dell’edificio scolastico, in quanto opera non più compatibile con le diverse previsioni
urbanistiche e demografiche, chiedeva che, dichiarata l’illegittimità dell’occupazione,
l’ente locale fosse condannato alla restituzione del fondo, al pagamento della somma
dovuta a titolo di occupazione illegittima e/o di risarcimento danni, con interessi e
rivalutazione, oppure alla retrocessione del bene con risarcimento del danno; in
subordine, per il caso in cui non fosse stata possibile la restituzione o la retrocessione,
chiedeva la condanna del Comune al risarcimento dell’inferto danno o in ulteriore
subordine al pagamento del valore venale del suolo, oltre, comunque, rivalutazione e
interessi.
Con sentenza n. 1857 del 20.12.2002, l’adito Tribunale di Benevento, nel
contraddittorio delle parti ed anche in base all’esito della c.t.u., rigettava la domanda
per intervenuta prescrizione dei diritti azionati dal Colacrai, compensando per intero fra
le parti le spese di lite.
Con sentenza del 25.03-9.06.2005 la Corte di appello di Napoli rigettava il gravame del
Colacrai, resistito dal Comune, compensando per giusti motivi anche le spese del
secondo grado.

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Castelpagano aveva occupato in via d’urgenza, con ordinanza sindacale n. 570 del

La Corte territoriale osservava e riteneva che:
con l’appello il Colacrai aveva essenzialmente dedotto che erroneamente il
Tribunale aveva escluso la sussistenza nella fattispecie di un’ipotesi di occupazione

irreversibilmente destinato all’ opera pubblica;
come eccepito dal Comune, quanto dedotto dal Colacrai col primo profilo
d’impugnazione integrava domanda nuova inammissibile in appello ai sensi dell’art.
345 c.p.c.. In primo grado, infatti, il Colacrai non aveva mai dedotto la ricorrenza
dell’illecito da c.d. occupazione usurpativa nella specie conseguente all’insussistenza di
una valida dichiarazione di pubblica utilità, inizialmente priva dei termini di cui all’art.
13 della legge n. 2359 del 1985, ma solo che l’occupazione disposta dal Comune per la
realizzazione dell’edificio scolastico era divenuta illegittima perché la procedura non
era stata portata a compimento e la stessa opera non era stata completata e, dunque, la
sopravvenuta illegittimità dell’occupazione e l’insussistenza di una irreversibile
trasformazione del suolo, per il mancato completamento dell’opera;
era, infatti domanda nuova —data la diversità della causa petendi delle due
fattispecie- la deduzione dell’avvenuta occupazione usurpativa, e cioè della
trasformazione del suolo in assenza di dichiarazione di pubblica utilità, quando oggetto
del contendere in primo grado era stata l’occupazione appropriativa, e cioè
l’irreversibile trasformazione del suolo in assenza di decreto di esproprio. Né sarebbe
stato possibile superare la sanzione dell’inammissibilità in base alla considerazione che,
già con l’atto di citazione introduttivo del giudizio, l’attore aveva dedotto di avere
diritto alla restituzione del bene o al pagamento del suo valore venale, perché tali
richieste erano formulate dal Colacrai sempre sul presupposto della sopravvenuta

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usurpativa e che del pari erroneamente aveva, comunque, ritenuto che il suolo era stato

illegittimità dell’occupazione, la cui iniziale legittimità – siccome effettuata in base a
regolare decreto di occupazione d’urgenza- non era stata posta in discussione;
infondata era anche l’ulteriore doglianza dell’appellante, secondo cui comunque il

effetto della sua irreversibile destinazione all’opera pubblica, dato che l’edificio
scolastico non era stato poi completato, essendo state sul fondo realizzate solo delle
“pilastrature” e rimasto un ammasso di materiali edilizi; nella fattispecie invece dalle
foto acquisite al giudizio (tanto quelle allegate alla relazione di c.t.u., quanto quelle
prodotte dall’attore) risultava che sul fondo era stata realizzata l’intera parte strutturale
in cemento armato dell’edificio scolastico.
come correttamente ritenuto dal Tribunale, i lavori eseguiti avevano determinato
l’irreversibile trasformazione e destinazione del fondo all’opera pubblica, considerando
che il momento di consumazione dell’illecito estintivo-acquisitivo del diritto di
proprietà ed il dies a quo della prescrizione del diritto del privato al risarcimento dei
danni, era integrato anche prima dell’ultimazione dei lavori, e cioè quando il terreno
avesse subito una radicale trasformazione nel suo aspetto materiale, in modo da perdere
la sua conformazione fisica originaria e da risultare stabilmente ed inscindibilmente
incorporato, quale parte indistinta e non autonoma, in un bene nuovo e diverso
costituito dall’opera pubblica, il cui carattere e la cui destinazione derivavano dalla
dichiarazione di pubblica utilità, ossia quando il terreno avesse perduto la sua
connotazione originaria e si fosse definitivamente inserito nel contesto dell’opera
pubblica, nel momento cioè in cui l’opera si fosse venuta a delineare nei suoi connotati
definitivi e nelle sue previste caratteristiche, evidenziando la non ripristinabilità dello
status quo ante se non attraverso nuovi interventi altrettanto eversivi della nuova
fisionomia assunta dal bene;

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Tribunale aveva erroneamente ritenuto che il suolo fosse stato acquisito dalla p.a. per

poiché i lavori sopra descritti erano stati ultimati nel periodo di occupazione
autorizzata (e precisamente il 15.11.1982, data del certificato di regolare esecuzione),
alla data di scadenza di tale periodo, e cioè al 15.3.1983, il suolo era stato acquisito dal

fine di escludere la sussistenza dell’irreversibile trasformazione, poteva perciò
assumere il successivo comportamento dell’ente, che, ormai proprietario del bene, di
fatto non aveva ritenuto più di utilizzare l’opera come edificio scolastico e, anzi, aveva
programmato la vendita della struttura;
in conclusione, poiché il diritto al risarcimento del danno subito per
la perdita della proprietà del suolo (restando esclusa tanto la possibilità di una
retrocessione, neppure ipotizzabile nel caso, quale quello di specie, di mancata regolare
conclusione della procedura espropriativa, tanto la possibilità di una restituzione del
suolo, ormai acquisito a titolo originario dalla p.a.) era sorto alla data del 15.3.1983,
correttamente il Tribunale, in accoglimento dell’eccezione sollevata dal Comune, aveva
ritenuto prescritto il diritto fatto valere dall’attore con la citazione del 16.9.1995.
Avverso questa sentenza il Colacrai ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre
motivi e notificato il 24.07.2006 al Comune di Castelpagano, che ha resistito con
controricorso notificato il 10.10.2006, col quale in primis eccepisce l’inammissibilità
dell’impugnazione in quanto notificata in epoca successiva alla morte del ricorrente,
avvenuta il 24.06.2006, evento per il quale era venuta meno la procura conferita al
difensore.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Come eccepito dal Comune, il ricorso è inammissibile in quanto il Colacrai risulta
deceduto il 24.06.2006,

prima della notificazione del ricorso, intervenuta il

24.07.2006. Questa Corte, ha, infatti, reiteratamente e condivisibilmente affermato (cfr,

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Comune, per il fenomeno della c.d. appropriazione acquisitiva; nessuna rilevanza al

cass. n. 657 e n. 1131 del 1995; n.5695 e n. 8670 del 1999, n. 14194 del 2001) che il
principio secondo il quale i requisiti dell’impugnazione devono sussistere al momento
della sua notificazione, segnando essa il raggiungimento dello scopo cui l’atto è

munito di procura speciale, è inammissibile qualora sopravvenga la morte della parte
prima dell’esecuzione della notificazione, poiché tale evento, al pari della morte del
difensore, estingue la procura, privandola di ogni effetto, ed implica di conseguenza
l’insussistenza dei requisiti prescritti dall’art. 365 cod. proc. civ. nel momento sopra
specificato.
Giusti motivi, essenzialmente tratti dalla successione temporale degli eventi, legittima
la compensazione per intero delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e compensa le spese del giudizio di
legittimità.
Così deciso in Roma, il 28 maggio 2013
Il Presidente

destinato, comporta che il ricorso per Cassazione, ritualmente sottoscritto da avvocato

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