Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16750 del 29/07/2011
Cassazione civile sez. I, 29/07/2011, (ud. 31/05/2011, dep. 29/07/2011), n.16750
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CARNEVALE Corrado – Presidente –
Dott. FIORETTI Francesco Maria – Consigliere –
Dott. SALME’ Giuseppe – Consigliere –
Dott. PICCININNI Carlo – Consigliere –
Dott. CULTRERA Maria Rosaria – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 10338/2007 proposto da:
R.A. (C.F. (OMISSIS)), R.V. (C.F.
(OMISSIS)), T.M.R. (c.f. (OMISSIS)),
elettivamente domiciliati in ROMA, VIA G. MAZZINI 119, presso
l’avvocato NASELLI STEFANO, rappresentati e difesi dall’avvocato
MILITERNI LUCIO, giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrenti –
contro
FALLIMENTO COTIM S.R.L., in persona del Curatore Dott. A.
G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE PARIOLI 76,
presso l’avvocato DEL VECCHIO ALFREDO (STUDIO LIBERATI E D’AMORE),
rappresentato e difeso dall’avvocato LANDOLFI GUGLIELMO, giusta
procura a margine del controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 3387/2006 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,
depositata il 10/11/2006;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
31/05/2011 dal Consigliere Dott. MARIA ROSARIA CULTRERA;
udito, per i ricorrenti, l’Avvocato MARIA GRAZIA BATTAGLIA, con
delega, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
udito, per il controricorrente, l’Avvocato GUGLIELMO LANDOLFI che ha
chiesto il rigetto del ricorso;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
GOLIA Aurelio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Fatto
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza n. 3387 depositata il 10 novembre 2008, la Corte d’appello di Napoli, in riforma di precedente decisione del Tribunale di Napoli, ha accolto la domanda di revoca formulata ai sensi della L. Fall., art. 67, comma 1, n. 1, dal curatore del fallimento Cotim s.r.l. ed avente ad oggetto l’atto d’alienazione, concluso tra la società fallita e R.A., R.V. e T.M. R., rogato in data 12.6.1997, avente ad oggetto un immobile in (OMISSIS), acquistato dai convenuti, secondo quanto dichiarato nel contratto, al prezzo di L. 90.000.000.
Avverso la statuizione R.A., R.V. e T. M.R. propongono ricorso per cassazione in base ad unico articolato mezzo resistito dal curatore fallimentare con controricorso.
Diritto
MOTIVI DELLA DECISIONE
I ricorrenti denunciano violazione della L. Fall., art. 67, comma 1, degli artt. 1415, 1416 e 1417 c.c., in combinato disposto con gli artt. 2722 e 2704 c.c., e correlato vizio d’omessa, insufficiente e contraddittoria su punto decisivo della controversia. Ammessa in punto di fatto la sproporzione fra il prezzo dichiarato di vendita dell’immobile controverso e quello di mercato, adducono errore di diritto consistito nell’aver escluso l’efficacia probatoria della produzione documentale offerta, attestante il pagamento mediante assegni circolari del prezzo effettivamente corrisposto in L. 140.000.000. Il collegamento col contratto e la funzione solutoria tipica dei titoli è suscettibile di prova logica ed in questa chiave i documenti meritavano esame e conseguente apprezzamento.
Il resistente deduce l’infondatezza del motivo. Il motivo è inammissibile.
La decisione impugnata sostiene che la produzione degli assegni, comprovante secondo i convenuti il pagamento del prezzo effettivo di L. 140.000.000, non concretasse la controdichiarazione avente esclusiva efficacia probante in tema di simulazione relativa. I titoli, per loro natura astratti, erano privi di data certa, e risultavano emessi direttamente a favore di F.T., soggetto diverso dalla venditrice Cotim. La deposizione dell’agente immobiliare che si era occupato della mediazione, era infine inutilizzabile non essendo ammessa in tema di simulazione la prova orale.
Il motivo non esprime critica pertinente a questo percorso argomentativo. Con conclusivo quesito di diritto, formulato in riferimento alla violazione di legge, chiede se sia opponibile alla procedura la controdichiarazione attestante il maggior prezzo pagato dall’acquirente, non ostandovi il disposto dagli artt. 1415 e 1416 c.c., sollecitando l’enunciazione di un principio di diritto che non risulta affatto pertinente al tenore della censura esposta nel mezzo.
Le doglianze ivi esplicitate omettono infatti qualsiasi riferimento all’esistenza della controdichiarazione ed alla sua opponibilità alla procedura, e coltivano piuttosto tutta una serie di argomenti tesa a provare il collegamento funzionale tra i titoli di credito prodotti ed il negozio giuridico controverso.
Laddove, con riferimento a vizio di motivazione, si formula la sintesi conclusiva, il quesito opera un generico e non autosufficiente riferimento a documenti qualificati irrilevanti, di cui nè si indica il contenuto nè la ragione della loro valenza probatoria.
Analoga sorte merita il secondo motivo con cui i ricorrenti deducono medesimo vizio ma in ordine alla distribuzione dell’onere della prova. La scientia decotionis sarebbe stata a loro dire desunta dal giudice d’appello sulla scorta di elementi sintomatici privi dei requisiti prescritti dall’art. 2729 c.c., ma piuttosto equivoci, che, in quanto tali, nulla provano. Dopo averne illustrato l’elenco, formulano conclusivo quesito di diritto che chiede se le presunzioni semplici siano applicabili semplicemente ovvero debbano essere gravi, precise e concordanti.
Il resistente deduce l’infondatezza del motivo.
Come premesso, la censura è inammissibile in quanto si risolve in una tautologica affermazione testa a ribaltare l’onere della prova, che ineccepibilmente la Corte del merito ha posto a carico degli odierni ricorrenti. La presunzione juris tantum posta dal disposto della L. Fall., art. 67, comma 1, a carico dell’acquirente affranca il curatore dall’onere di provarne la scientia decotionis, ed onera di converso suddetta parte della prova contraria, idonea a vincere la presunzione, mediante allegazione e dimostrazione di dati contrari che dimostrino che l’alienante, all’epoca del trasferimento, versasse in condizioni di ordinaria solvibilità. A tale costruzione la Corte d’appello si è uniformata avendo ritenuto non vinta la presunzione di conoscenza dello stato d’insolvenza della società alienante da parte dei ricorrenti siccome, lungi dal provare che la venditrice all’epoca della compravendita operasse sul mercato senza problemi godendo di credito, essi avevano invece allegato fatti irrilevanti, erroneamente valorizzati dal primo giudice: che non erano stati in condizione di aver contezza dell’esistenza di un decreto ingiuntivo emesso nei confronti della Cotim nè della conseguente procedura esecutiva, e che l’assegno protestato risultava emesso da società diversa dalla fallita. Ed i ricorrenti, senza affatto dedurre nè rappresentare l’assolvimento dell’onere probatorio da cui erano gravati, ovvero l’idoneità a vincere la presunzione legale degli elementi da essi offerti in prova, ascrivono l’applicazione dei requisiti prescritti dall’art. 2729 c.c., alla presunzione legale che, in quanto desunta da comportamento legale tipico già in tesi ritenuto dal legislatore sintomatico, è sottratta al regime civilistico invocato. Affidano in conclusione la loro critica ad astratte considerazioni non aventi attinenza al caso concreto.
Per tutte le ragioni esposte il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara il ricorso inammissibile e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese della presente fase di legittimità liquidandole in Euro 3.700,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 31 maggio 2011.
Depositato in Cancelleria il 29 luglio 2011