Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1675 del 29/01/2015


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 1675 Anno 2015
Presidente: PICCIALLI LUIGI
Relatore: MANNA FELICE

SENTENZA

sul ricorso 8694-2009 proposto da:
GRECO VALTER GRCVTR45A26D895J,

VACCAREZZA BRUNA

VCCBRN48R50C621L, elettivamente domiciliati in ROMA,
PIAZZA CAPRANICA 78, presso lo studio dell’avvocato
FEDERICO MAZZETTI, che li rappresenta e difende
unitamente all’avvocato ANTONINO BONGIORNO GALLEGRA;
– ricorrenti

2014,
contro

2193
MANGIANTE

MARIO

MNGMRAO9E04C826C,

elettivamente

domiciliato in ROMA, VIALE GIULIO CESARE 14

sc. A/4,

presso lo studio dell’avvocato GABRIELE PAFUNDI, che

Data pubblicazione: 29/01/2015

lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato
DANIELE GRANARA;
– c/ric. e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 1375/2008 della CORTE D’APPELLO
di GENOVA, depositata il 28/11/2008;

udienza del 29/10/2014 dal Consigliere Dott. FELICE
MANNA;
udito l’Avvocato FEDERICO MAZZETTI, difensore dei
ricorrenti, che ha chiesto raccoglimento del ricorso;
udito l’Avvocato GABRIELE PAFUNDI, difensore del
controricorrente e ricorrente incidentale, per il
rigetto del ricorso principale.
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. ROSARIO GIOVANNI RUSSO che ha concluso
Wolk
per l’accoglimento del quinto e del sccto motivo del
ricorso principale, per il rigetto o l’assorbimento
degli altri motivi, nonché per il rigetto del ricorso
incidentale.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con citazione notificata il 25.11.1994 Mario Mangiante esponeva di essere
proprietario di fondi siti in comune di Cogomo, distinti nel NCT dai mappali
422 e 429, a favore dei quali deduceva l’esistenza da tempo immemorabile di

di proprietà di Valter Greco e Bruna Vaccarezza, esercitata tramite un sentiero
pedonale che collegava svariati terreni e fabbricati rurali, appartenenti a
diversi proprietari, con la strada sottostante e con la mulattiera che vi correva
parallelamente. Deduceva, quindi, che i predetti Greco-Vaccarezza
nell’eseguire lavori edili di ristrutturazione e ampliamento del fabbricato
insistente sui predetti loro fondi, avevano realizzato delle opere (un muro
prospiciente alla strada provinciale, dei muretti di recinzione di un’area a
giardino e delle cancellate) in violazione della servitù e delle distanze legali
dalla sua proprietà. Pertanto, nel convenirli in giudizio innanzi al Tribunale di
Chiavari, ne domandava la condanna a reintegrarlo nel passaggio e a rimettere
in pristino la stato dei luoghi. Il tutto oltre al risarcimento del danno.
Nel resistere in giudizio i convenuti negavano l’esistenza della servitù, di
cui chiedevano “in via riconvenzionale” l’accertamento negativo, unitamente
alla condanna dell’attore a rimuovere le condutture idriche che attraversavano
la loro proprietà. In subordine e condizionatamente all’accertamento della
contestata servitù di passaggio, chiedevano che questa fosse spostata su un
altro tracciato, ai sensi dell’art. 1068 c.c.
Con sentenza del 4.4.2003 il Tribunale di Chiavari accoglieva la domanda
principale, rigettava quella riconvenzionale e condannava i convenuti a
eliminare l’impedimento al passaggio. Dichiarava, inoltre, costituita la servitù
3

una servitù di passaggio sul mappale 1009 e sulla corte di cui al mappale 427,

di condotta idrica a vantaggio del fondo dell’attore e a carico di quello dei
convenuti, stabilendo, altresì, la relativa indennità, e liquidava
equitativamente i danni in € 2.000,00, in assenza di una specifica prova.
Respingeva, infine, la domanda di demolizione delle opere realizzate dai

Adita in via principale dai Greco-Vaccarezza e in via incidentale dal
Mangiante, la Corte d’appello di Genova in parziale accoglimento del solo
appello principale disponeva lo spostamento del luogo di esercizio della
servitù, ai sensi dell’art. 1068 c.c, e compensava per un terzo le spese di lite,
per la reciproca soccombenza, ponendo la restante frazione a carico dei
Greco-Vaccarezza.
Riteneva la Corte territoriale che era infondata l’eccezione di novità della
domanda di accertamento dell’acquisto della servitù per intervenuta
usucapione, proposta o comunque specificata in appello, dato il carattere
autodeterminato dei diritti reali e la loro identificazione indipendentemente
dal titolo d’acquisto.
Nel merito, rilevava che dalle unanimi deposizioni rese dai testi era emerso
un uso continuativo e costante, pressoché ab immemorabile, del sentiero
oggetto di contestazione, esercitato dai proprietari dei fondi limitrofi per
raggiungere il centro. Né appariva sostenibile, secondo la Corte territoriale,
che i testi avessero riferito di un passaggio di tutti gli utenti di quel sentiero
come via vicinale, avendo tutte le persone escusse unanimemente dichiarato
che passavano abitualmente di lì i vari componenti della famiglia Mangiante
per raggiungere i loro fondi. Si trattava, dunque, di un uso non pubblico, ma
propriamente dei titolari dei fondi limitrofi. Tale possesso era stato esercitato
4

convenuti in violazione della distanza legale dal fondo dell’attore.

dai danti causa dell’attore e poi da quest’ultimo per un periodo di tempo che
superava di molto il termine di usucapione, e la sua caratterizzazione
consentiva di configurarlo come dotato di opere apparenti (costituite dal
tracciato segnato e visibile). Osservava, ancora, che la natura pubblica della

separati e autonomi i due ambiti, quello pubblicistico e quello privatistico,
mantenendo la possibilità che i singoli usucapissero “un qualche passaggio, a
prescindere dal complesso accertamento della natura pubblica o meno della
strada, da acclararsi diversamente, tramite gli obiettivi requisiti di carattere
amministrativo”.
Proseguiva la Corte territoriale che l’attore aveva dimostrato la
comproprietà del fondo dominante, in virtù di un atto di divisione del
27.11.1978, e che egli era rimasto nel possesso del passo fino a che i
t

convenuti non avevano ultimato le opere di ristrutturazione sull’immobile di
loro proprietà.
Riteneva, poi, fondata la domanda riconvenzionale subordinata di
spostamento della servitù, in quanto il tracciato alternativo proposto dal c.t.u.
non alterava (se non per la necessaria installazione di una scaletta in legno) lo
stato dei luoghi e manteneva agevole il passaggio, creando per i proprietari
del fondo servente un disagio solo momentaneo e accidentale.
Escludeva, ancora, che l’ampliamento del fabbricato di proprietà GrecoVaccarezza avesse prodotto una violazione delle distanze legali dal confine
con la proprietà Mangiante, violazione dubbia sia per l’elevata scala di
rappresentazione della mappa catastale, che rendeva di pochi centimetri e
dunque non significativo lo scostamento rispetto al preesistente, sia per
5

strada, sostenuta dalla parte appellante per escluderne l’usucapione, lasciava

,

l’applicazione del principio della prevenzione, che consentiva di costruire in
violazione del limite di 4 metri stabilito dal regolamento edilizio comunale,
“salve le ulteriori ipotesi di legge”.
Quanto alla servitù di condotta d’acqua, rilevava che il c.t.u. aveva

meno pregiudizievole per il fondo servente. Osservava, poi, che al momento
d’installazione delle tubazioni il fondo servente era coltivato ad uliveto, il che
dimostrava l’infondatezza dell’obiezione di parte appellante, che aveva
sostenuto che detta servitù non poteva gravare su di un giardino.
Infme, relativamente al capo di condanna dei Greco-Vaccarezza al
risarcimento dei danni, la Corte territoriale si limitava a correggere l’errore
materiale contenuto nella sentenza di primo grado — che aveva posto la
somma liquidata a carico dell’attore invece che a carico dei convenuti —
lasciando inalterato l’importo di

e 2.000,00.

Per la cassazione di tale sentenza ricorrono Valter Greco e Bruna
Vaccarezza, in base a sette motivi.
Resiste con controricorso Mario Mangiante, che propone altresì ricorso
incidentale affidato a tre mezzi d’annullamento.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.

MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Il primo motivo del ricorso principale, corredato da quesito di diritto ex

art. 366 bis c.p.c. applicabile ratione temporis alla fattispecie, denuncia il

difetto di giurisdizione ex art. 37 c.p.c., in relazione al n. 3 (rectius, 1)
dell’art. 360 c.p.c., sul presupposto che la domanda di reintegra nel diritto di
servitù proposta da Mario Mangiante abbia ad oggetto una via vicinale di uso
6

1.

confermato che il percorso attuale delle condutture era il più conveniente e

pubblico, con conseguente soggezione della controversia alla giurisdizione
amministrativa ai sensi della legge n. 2218 del 1865, del D.L.Lgt. n. 1446 del
1918, convertito in legge n. 473 del 1925 e dell’art. 825 c.c.
1.1. – Il motivo è inammissibile, perché solleva per la prima volta, in

Questa Corte ha avuto modo di affermare, con sentenza resa a S.U. (n.
24883/08), che l’interpretazione dell’art. 37 c.p.c., secondo cui il difetto di
giurisdizione “è rilevato, anche d’ufficio, in qualunque stato e grado del
processo”, deve tenere conto dei principi di economia processuale e di
ragionevole durata del processo (“asse portante della nuova lettura della
norma”), della progressiva forte assimilazione delle questioni di giurisdizione
a quelle di competenza e dell’affievolirsi dell’idea di giurisdizione intesa
come espressione della sovranità statale, essendo essa un servizio reso alla
collettività con effettività e tempestività, per la realizzazione del diritto della
parte ad avere una valida decisione nel merito in tempi ragionevoli. All’esito
della nuova interpretazione della predetta disposizione, volta a delinearne
l’ambito applicativo in senso restrittivo e residuale, ne consegue che: 1) il
difetto di giurisdizione può essere eccepito dalle parti anche dopo la scadenza
del termine previsto dall’art. 38 c.p.c. (non oltre la prima udienza di
trattazione), fino a quando la causa non sia stata decisa nel merito in primo
grado; 2) la sentenza di primo grado di merito può sempre essere impugnata
per difetto di giurisdizione; 3) le sentenze di appello sono impugnabili per
difetto di giurisdizione soltanto se sul punto non si sia formato il giudicato
esplicito o implicito, operando la relativa preclusione anche per il giudice di
legittimità; 4) il giudice può rilevare anche d’ufficio il difetto di giurisdizione
7

t

questa sede di legittimità, un’eccezione di difetto di giurisdizione.

fino a quando sul punto non si sia formato il giudicato esplicito o implicito. In
particolare, il giudicato implicito sulla giurisdizione può formarsi tutte le volte
che la causa sia stata decisa nel merito, con esclusione per le sole decisioni
che non contengano statuizioni che implicano l’affermazione della

relativo all’ammissibilità della domanda o quando dalla motivazione della
sentenza risulti che l’evidenza di una soluzione abbia assorbito ogni altra
valutazione (ad es., per manifesta infondatezza della pretesa) ed abbia indotto
il giudice a decidere il merito per saltum, non rispettando la progressione
logica stabilita dal legislatore per la trattazione delle questioni di rito rispetto
a quelle di merito (conformi ex pluribus, Cass. nn. 25770/08, 27344/08,
27531/08, 9661/09 e 15402/10).
Trattandosi di questione su cui, come detto, le S.U. di questa Corte si sono
già pronunciate, non occorre alcuna rimessione alle stesse, ai sensi dell’art.
374, comma 1 c.p.c.
2. – Col secondo motivo è dedotta la violazione degli artt. 112, 180 e 183
c.p.c., in relazione al n. 3 (rectius, 4) dell’art. 360 c.p.c., per aver la Corte
territoriale accolto la domanda nuova di usucapione proposta oltre i termini di
decadenza previsti, in connessione con “l’erroneità” della motivazione sulla
ritenuta non novità della domanda, in relazione al n. 5 dell’art. 360 c.p.c.
Parte ricorrente non contesta che, come affermato dalla Corte d’appello, la
specificazione del modo d’acquisto di un diritto reale non comporta
mutamento della domanda, ma sostiene che nel caso di specie “la domanda
nuova avanzata tardivamente e quindi inammissibilmente è la proposizione
solo in corso di causa e fuori dei termini della domanda di usucapione.
8
t

giurisdizione, come nel caso in cui l’unico tema dibattuto sia stato quello

L’attore quindi non ha semplicemente ‘specificato un titolo diverso’ (prima
servitù costituita dal padre di famiglia e poi per usucapione), ma ha introdotto
una domanda in corso di causa al fine di costituirsi il titolo stesso” (così,
testualmente, si legge a pag. 23 del ricorso). Sicché, sostiene, la

sarebbe del tutto inconferente rispetto al caso di specie, mentre, invece,
sarebbero pertinenti i precedenti di cui Cass. nn. 12007/04, 4091/92, 8527/96,
5396/85 e 3395/85).
2.1. – Il motivo è manifestamente infondato.
Formalmente condiviso il punto di diritto, affermato nella sentenza
impugnata, secondo cui l’attore può diversamente specificare in corso di
causa il titolo d’acquisto della servitù oggetto di pretesa, parte ricorrente
attraverso una pura contorsione verbale tenta di accreditare la singolare idea
che, però, nella specie si sarebbe trattato non di una semplice specificazione,
ma della proposizione di una domanda nuova di usucapione oltre i termini
degli artt. 180 e 183 c.p.c.
Il che ad evidenza non è, sol che si consideri che specificare un diverso
titolo d’acquisto della servitù oggetto di domanda e domandare che la
medesima servitù sia riconosciuta in base a tale diverso titolo sono, quoad
effeetum, esattamente l’identica cosa, differente essendo solo la modalità
espressiva che si voglia adoperare. A null’altro, se non infatti a situazioni
identiche a quella in esame, si riferisce la costante giurisprudenza di questa
Corte allorché afferma che in tema di accertamento della proprietà, come di
ogni altro diritto reale, i diversi titoli sui cui essa può essere fondata (quali,
esemplificativamente, l’atto negoziale, l’usucapione, la destinazione del padre
9

giurisprudenza di questa Corte Suprema citata nella sentenza impugnata

di famiglia) costituiscono la prova del diritto del quale si chiede
l’accertamento e danno luogo sempre ad un’unica azione, sicché essi possono
essere indifferentemente adottati in primo ed in secondo grado, senza trovare
ostacolo nel divieto delle nuove domande in appello (Cass. n. 7074/95).

una benché minima attinenza al caso di specie (non Cass. n. 12007/04, che
concerne l’ipotesi di mutamento del titolo — da detenzione qualificata a
possesso — della domanda di reintegra nel possesso; non Cass. n. 4091/92, sul
diverso regime processuale di proposizione dell’eccezione riconvenzionale e
della domanda di usucapione; non Cass. nn. 8527/96 e 5396/85, entrambe
riguardanti il contenuto della prova che l’attore in confessarla servitutis ha
l’onere di fornire; non Cass. n. 3395/85, emessa in tutt’altra materia e citata
dunque per errore).
3. – Il terzo mezzo espone la violazione degli artt. 1158, 1161 e 2697 c.c.,
in connessione col vizio di motivazione insufficiente e contraddittoria.
Il motivo si sofferma sull’esame delle deposizioni rese nel giudizio di
merito per dimostrare che nessuno dei testi ha dichiarato che il sentiero di cui
si discute terminasse nel fondo dell’attore e che questi vi sia passato negli
ultimi trenta anni; e che tutti i testi, invece, inclusi quelli di parte Mangiante,
avevano affermato che detto sentiero era adoperato da tutti e che era caduto in
disuso dall’epoca di costruzione della strada provinciale, avvenuta alla fine
degli anni ’50.
Quindi, sostiene che il sentiero in questione non adduceva al fondo
presuntivamente dominante e che non vi erano tracce del punto in cui esso
avrebbe raggiunto il fondo dell’attore; di conseguenza, conclude, la servitù di

lo

Per contro, non uno dei precedenti di questa Corte richiamati nel motivo ha

passaggio non può ritenersi apparente, ai sensi dell’art. 1061 c.c., in quanto
l’attore non ha fornito la prova che il sentiero sia stato realizzato allo scopo di
dare accesso al suo fondo.
3.1. – Il motivo è fondato limitatamente alla dedotta censura motivazionale

del quesito di diritto).
Costituisce ius receptum nella giurisprudenza di questa Corte che il
requisito dell’apparenza della servitù, necessario ai fini del relativo acquisto
per usucapione o per destinazione del padre di famiglia (art. 1061 c.c.), si
configura come presenza di segni visibili di opere permanenti obiettivamente
destinate al suo esercizio e rivelanti in modo non equivoco l’esistenza del
peso gravante sul fondo servente, in modo da rendere manifesto che non si
tratta di attività compiuta in via precaria, bensì di preciso onere a carattere
stabile. Ne consegue che non è al riguardo pertanto sufficiente l’esistenza di
una strada o di un percorso idonei allo scopo, essenziale viceversa essendo
che essi mostrino di essere stati posti in essere al preciso fine di dare accesso
attraverso il fondo preteso servente a quello preteso dominante, e, pertanto, un
quid pluris che dimostri la loro specifica destinazione all’esercizio della
servitù (Cass. nn. 13238/10, 14189/04, 2994/04, 8633/98, 6207/98 e
11254/96).
Nello specifico, la Corte territoriale si è limitata a motivare raccoglimento
della domanda in virtù “dell’uso continuativo e costante, pressoché ab
immemorabile, del sentiero oggetto di contestn7ione da parte dei proprietari
dei fondi limitrofi per raggiungere il centro. Ciò, dunque, principalmente ad
opera della stirpe Mangiante, che lì aveva i suoi terreni” (pag. 12 sentenza

(il vizio di violazione di legge essendo, invece, inammissibile per mancanza

impugnata). E quanto al requisito di apparenza, ha osservato soltanto che la
“caratterizzazione” del possesso consentiva di configurarlo “come dotato di
opere apparenti (il tracciato segnato e visibile)”.
Detta motivazione non solo omette di valutare se il sentiero in questione

del fondo di proprietà attrice, ma nel proseguire escludendo che la servitù
fosse di uso pubblico, indulge su di un aspetto personale e comportamentale
(id est il passaggio abituale dei componenti della famiglia Mangiante), che
attiene non al tema dell’apparenza ma a quello della possessio ad
usucapionem. Per poi concludere, in piena contraddizione logica, che si era
trattato “non di un uso di tutti, un uso pubblico, dunque, ma propriamente dei
titolari dei fondi limitrofi”. Conclusione, quest’ultima, che semmai è solidale
all’esistenza di una strada vicinale privata e non ad una servitù prediale, che
consiste sempre e di necessità nell’asservimento di un fondo ad un altro
(tant’è che nell’ipotesi in cui un medesimo fondo sia servente rispetto ad una
pluralità di fondi dominanti, si è in presenza non di un’unica ma di tante
servitù quanti i fondi dominanti: giurisprudenza costante di questa Corte: cfr.
per tutte Cass. n. 7590/83).
Né, infine, dalla sentenza impugnata è dato di evincere se lo stradello
termini all’altezza della proprietà Mangiante o prosegua oltre.
La motivazione della sentenza impugnata, dunque, è insufficiente e
incongrua in punto di apparenza della servitù. Riscontrata l’esistenza
dell’opera deputata al passaggio, la Corte distrettuale non ha, però, motivato
sulla specifica destinazione di questa all’utilità del fondo dominante, o peggio

12

presentasse segni oggettivi di destinazione specifica all’utilità proprio e solo

ha derivato incoerentemente quest’ultima dalla stessa attività di passaggio
piuttosto che da elementi oggettivi e denotativi.
4.

Col quarto motivo è allegata la violazione dell’art. 1037 c.c. e il vizio

di motivazione, per non aver la Corte territoriale fornito adeguata motivazione

per il fondo servente, non essendo state esaminate le condizioni dei fondi
vicini, né dimostrata la sufficienza dell’acqua né l’uso.
4.1. – Anche tale motivo è fondato limitatamente al prospettato vizio
motivazionale (la dedotta violazione di legge non è corredata da quesito di
diritto).
Posto che l’art. 1037 c.c. richiede per la costituzione coattiva della servitù
di acquedotto a) che il proprietario del fondo dominante dimostri che può
disporre dell’acqua durante il tempo per cui chiede il passaggio; b) che la
medesima è sufficiente per l’uso al quale si vuol destinare; e c) che il
passaggio richiesto è il più conveniente e il meno pregiudizievole al fondo
servente; ciò posto la Corte distrettuale ha motivato solo su quest’ultimo
punto, sicché la motivazione risulta omessa sui fatti normativi sub a) e b) che
precede.
5. – L’accoglimento del terzo e del quarto motivo determina l’assorbimento
delle restanti censure del ricorso principale (il quinto motivo lamenta la
violazione dell’art. 1033 c.c. e la “errata motivazione” sull’imposizione della
servitù coattiva d’acquedotto sul giardino della proprietà Greco-Vaccarezza; il
sesto motivo denuncia l’omessa applicazione dell’art. 1068 c.c. e la
contraddittorietà e l’insufficienza della motivazione; il settimo motivo
denuncia la falsa applicazione dell’art. 1226 c.c. e la violazione dell’art. 2697
13

sul fatto che il passaggio richiesto sia più conveniente e meno pregiudizievole

e
c.c., in connessione col vizio d’insufficiente e contraddittoria motivazione in
punto di conferma della condanna equitativa ai danni; l’ottavo mezzo espone
il vizio di motivazione in ordine al ripristino del passaggio pedonale); nonché
del primo e del terzo motivo del ricorso incidentale (il primo denuncia il vizio

il regolamento delle spese). Cassata la statuizione affermativa della servitù di
passaggio e di quella di acquedotto, viene meno ogni rilievo in questa sede
delle questioni che ne dipendono dal punto di vista logico-giuridico.
6. – Col secondo motivo del ricorso incidentale è dedotto il vizio di
motivazione in ordine all’avvenuto spostamento ed ampliamento del
fabbricato rurale di proprietà Greco-Vaccarezza in violazione delle distanze
legali dal confine.
Parte ricorrente deduce che sia il c.t.u. che il c.t. di parte attrice hanno
concordato che dal rilievo tacheometrico eseguito sul confine
6.1. – Il motivo è infondato.
Lungi dall’identificare le criticità motivazionali della sentenza impugnata,
il controricorrente si attarda su quanto, a suo giudizio, sarebbe emerso dagli
atti e ne propone la sua lettura critica (dal rilievo tacheometrico eseguito sul
confine tra le rispettive proprietà delle parti, confrontato con la mappa
catastale, ai relativi elaborati grafici; dai rilievi fotografici al contenuto della
concessione edilizia rilasciata per la ristrutturazione dell’edificio di proprietà
Greco-Vaccarezza; dal tempo in cui sarebbe stato eseguito l’ampliamento di
detto fabbricato alle testimonianze rese in punto di modifica della parete sud
della fascia di confine tra le rispettive proprietà delle parti).

14

di motivazione in ordine al ripristino del passaggio pedonale; il terzo concerne

WIIEM11•111~1~1.

VI •

E conclude affermando che “la corte territoriale avrebbe pertanto dovuto
rilevare che i signori Greco, con la nuova costruzione, hanno occupato
totalmente le citate distanze, comprese tra il rustico ed il mappale 429 (di
proprietà Mangiante: n.d.r.), violando ulteriormente le distanze legali ed

conseguenti gravi danni. Il fatto controverso sul quale la motivazione della
Corte d’appello di Genova, ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c. appare dunque
insufficiente e contraddittoria è che lo spostamento ed ampliamento del
fabbricato rurale censito al foglio 4, mappale n. 427 (di proprietà GrecoVaccarezza: n.d.r.), N.C.T. del Comune di Cogomo, di proprietà dei signori
Greco e Vaccarezza è avvenuto senza rispetto delle distanze legali dal confine
con il mappale n. 429”.
Si tratta di considerazioni che valgono non a dimostrare il vizio di
motivazione allegato, ma ad esplicitare le ragioni per cui il controricorrente
ritiene non condivisibili le valutazioni operate dalla Corte ligure
sull’accertamento della linea di confine tra le rispettive proprietà delle parti.
La critica svolta, pertanto, presuppone e richiede un sindacato di merito del
tutto incompatibile con la funzione e i limiti del giudizio di legittimità.
7. – In conclusione la sentenza impugnata va cassata in relazione ai motivi
accolti del solo ricorso principale, con rinvio ad altra sezione della Corte
d’appello di Genova, che nel decidere il merito si atterrà ai principi di diritto
sopra enunciati e provvederà altresì sulle spese di cassazione, il cui
regolamento è rimesso ai sensi del 3° comma dell’art. 385 c.p.c.

P. Q. M.

15

arrecando al signor Mangiante, nell’esecuzione delle opere per cui è causa,

La Corte accoglie il terzo ed il quarto motivo del ricorso principale,
inammissibile il primo, respinto il secondo e assorbiti i rimanenti, assorbiti il
primo e il terzo motivo del ricorso incidentale, respinto il secondo, cassa la
sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti con rinvio ad altra sezione

cassazione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda sezione civile
della Corte Suprema di Cassazione, il 29.10.2014.

della Corte d’appello di Genova, che provvederà anche sulle spese di

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