Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16746 del 14/06/2021

Cassazione civile sez. III, 14/06/2021, (ud. 03/02/2021, dep. 14/06/2021), n.16746

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele Gaetano Antonio – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – rel. Consigliere –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14585-2018 proposto da:

DON CARLO SRL, elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE TITO LABIENO

N 118, presso lo studio dell’avvocato FILIPPO GIAMPAOLO,

rappresentato e difeso dall’avvocato ATTILIO DE PASQUALE;

– ricorrente –

contro

C.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA TIBULLO

10, presso lo studio dell’avvocato MARIA VITTORIA PIACENTE, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato PAOLO CRISTOFARO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 414/2018 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 27/02/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

03/02/2021 dal Consigliere Dott. ANTONELLA DI FLORIO.

 

Fatto

RITENUTO

Che:

1.La Don Carlo Srl ricorre, affidandosi ad un unico motivo, per la cassazione della sentenza della Corte d’Appello di Catanzaro che aveva dichiarato inammissibile l’impugnazione proposta avverso la pronuncia del Tribunale di Cosenza con la quale:

a. era stata accolta la domanda spiegata da C.A. che, proprietaria di tre fondi siti in (OMISSIS), concessi in locazione ad uso commerciale alla società odierna ricorrente, aveva chiesto la sua condanna alla esecuzione dei lavori necessari per la riapertura della finestra sita nel vano bagno di un locale facente parte della complessiva proprietà locata ed il pagamento delle somme dovute per i canoni insoluti, oltre che le spese tributarie ed il risarcimento dei vari danni subiti;

b. era stata parzialmente accolta la domanda riconvenzionale spiegata dalla società odierna ricorrente, con la dichiarazione di nullità delle clausole contrattuali che escludevano la produzione degli interessi sulle somme versate a titolo di deposito cauzionale, respingendola per il resto e condannando la società alla rifusione delle spese di lite.

1.1.Per ciò che interessa in questa sede, la Corte territoriale ha dichiarato inammissibile l’appello ritenendolo tardivo, in quanto proposto oltre il termine “breve” di trenta giorni, decorrenti dalla notifica della sentenza a mezzo PEC, notifica della quale la società aveva eccepito la nullità, assumendo che sulla “relata”, nonostante la diversa notazione sulla copia stampata, non era stata apposta la firma digitale dell’avvocato notificante e che, in via residuale, doveva applicarsi il termine “lungo” di cui all’art. 327 c.p.c..

2. La parte intimata ha resistito con controricorso.

3. La trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. Con unico articolato motivo, la società ricorrente deduce, ex art. 360 co 1 n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 3 bis e 11 della L. 53/1994 e degli artt. 125,148 e 156 c.p.c..

1.1. Assume, al riguardo:

a. che in data 31.5.2017 era stato trasmesso dal difensore della controparte un messaggio di posta elettronica certificata contenente la comunicazione P.E.C. per la notificazione della sentenza del Tribunale di Cosenza, a cui erano allegati i file della relata di notifica in formato nativo digitale e della copia informatica per immagine di essa, senza alcuna attestazione di conformità;

b. al file della relata di notifica ed a tutti gli altri file allegati al messaggio di PEC, nonostante la diversa notazione riportata sulla copia analogica per stampa prodotta dalla difesa della controparte, non veniva apposta la firma digitale dell’avvocato notificante;

c. il suddetto file della relata di notifica veniva allegato con estensione pdf semplice e non con estensione “p7m” o “pdf” oppure “pdf” ma con eventuale aggiunta del suffisso “signed” al nome del file tanto da presentarlo come “nomefile-signed-pdf”: assume che, pur condivisibile la recente pronuncia di questa Corte relativa alla validità delle firme digitali CAdES e PAdES ritenute equivalenti a quelle previste dalla normativa in vigore (richiama, al riguardo, Cass. SU 10266/2018), affinchè il file di notifica potesse considerarsi validamente sottoscritto, doveva ritenersi però necessaria almeno una di tali firme digitali, del tutto assenti nel caso di specie.

1.2. Contesta, in buona sostanza, la statuizione della Corte territoriale che aveva ritenuto che la mancanza della firma digitale del difensore nella relata di notificazione non rilevasse ai fini della validità di essa; ed assume che tale orientamento si poneva in contrasto con quanto predicato dall’art. 125 c.p.c., secondo il quale tutti gli atti di parte dovevano essere sottoscritti dal difensore. 2. In via preliminare, il Collegio rileva la violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6, in quanto parte ricorrente non ha “localizzato”, nel presente giudizio di legittimità e con riferimento specifico agli atti prodotti, la relata di notificazione della sentenza di primo grado di cui si discute.

2.1. Nemmeno ha dedotto di voler fare riferimento alla presenza di tali atti nel fascicolo d’ufficio della corte territoriale oppure in quello del giudizio di appello della controparte (in questo secondo caso o presente nel fascicolo de quo o prodotto dalla resistente) (cfr, sulla specifica questione, Cass. Sez. Un. 22726/2011).

3. Ma tanto premesso, la censura se fosse esaminabile sarebbe infondata.

3.1. Lo stesso appellante, infatti, pur rilevando l’assenza della firma digitale del difensore notificante, ha affermato che la copia stampata della relata di notifica riportava “la diversa annotazione” senza alcuna specificazione in ordine alle caratteristiche di essa: al riguardo, si osserva che questa Corte ha avuto modo di chiarire che in tema di notificazione a mezzo posta elettronica certificata (PEC), “la mancanza, nella relata, della firma digitale dell’avvocato notificante non è causa d’inesistenza dell’atto, potendo la stessa essere riscontrata attraverso altri elementi di individuazione dell’esecutore della notifica, come la riconducibilità della persona del difensore menzionato nella relata alla persona munita di procura speciale per la proposizione del ricorso, essendosi comunque raggiunti la conoscenza dell’atto e, dunque, lo scopo legale della notifica (cfr. Cass. 6518/2017).

3.2. Ed è stato chiarito, in motivazione (cfr. pag. 3 della sentenza citata), che “la notificazione a mezzo PEC è un documento diretto inequivocabilmente dalla casella PEC dell’avvocato del ricorrente a quella del difensore avversario, senza che abbia limitato i diritti difensivi della parte ricevente. Infatti, questa Corte ha stabilito che il difetto della firma non è causa di inesistenza dell’atto, ed ha anzi affermato la surrogabilità di quella prescrizione attraverso altri elementi capaci di far individuare l’esecutore di esso (cfr. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 10272 del 2015)”.

3.3. Orbene, nella specie, nella notificazione effettuata a mezzo PEC la mancata firma digitale della relata non lascia alcun dubbio sulla riconducibilità alla persona del difensore, attraverso la sua indicazione e l’accostamento di quel nominativo alla persona munita ritualmente della procura speciale.

3.4. Del resto, questa Corte ha affermato che “l’irritualità della notificazione di un atto a mezzo di posta elettronica certificata non ne comporta la nullità se la consegna telematica (nella specie, in “estensione.doc”, anzichè “formato.pdf”) ha comunque prodotto il risultato della sua conoscenza e determinato così il raggiungimento dello scopo legale” (cfr. Cass. Sez. U 7665/2016 ed, in termini, Cass. 3805/2018).

3.5. Nè può ritenersi utile, per una diversa decisione, l’argomento, di tenore “letterale”, portato dal riferimento all’art. 125 c.p.c. e, dunque, alla inclusione della notifica fra gli atti processuali di parte che necessitano della sottoscrizione del difensore, in quanto, da una parte, il richiamo appare improprio non potendosi considerare tale (e cioè ” atto processuale”) il prodotto dell’esercizio della funzione notificatoria del difensore, e, dall’altra, il Collegio ritiene che comunque, l’elencazione della norma richiamata sia tassativa, e non possa essere estesa ai documenti che fanno parte di un procedimento, con più passaggi, come quello per via telematica per il quale è sufficiente che venga attestata la conformità all’originale dell’atto da notificare (cfr. Cass. 26102/2016).

4. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.

5. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

6. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater da atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello cui è tenuto per il ricorso proposto, a norma del comma Ibis dello stesso art. 13, se dovuto.

PQM

La Corte, rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente alle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 2300,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori e rimborso forfettario spese generali nella misura di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater da atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello cui è tenuto per il ricorso proposto, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della terza sezione civile della Corte di Cassazione, il 3 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 14 giugno 2021

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