Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16744 del 23/07/2014
Civile Sent. Sez. 1 Num. 16744 Anno 2014
Presidente: CECCHERINI ALDO
Relatore: DIDONE ANTONIO
SENTENZA
sul ricorso 8641-2007 proposto da:
SCINTU ANTONELLO, in proprio e nella sua qualità,
GHISU MICHELINA, GHISU BENEDETTA, elettivamente
domiciliati in ROMA, VIA PAOLO EMILIO 34, presso
Data pubblicazione: 23/07/2014
l’avvocato PORRU DANIELE, che li rappresenta e
difende unitamente all’avvocato MANAI MARIELLA,
2014
giusta procura a margine del ricorso;
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– ricorrenti –
1223
contro
FALLIMENTO “SU CAMPU DI SCINTU ANTONELLO & C. S.N.C.
1
E DEI
SOCI
PERSONALMENTE ED ILLIMITATAMENTE
RESPONSABILI SCINTU ANTONELLO GHISU MICHELINA GHISU
BENEDETTA, SARDINIA CATERING S.R.L.;
–
intimati
–
avverso la sentenza n. 92/2006 della CORTE D’APPELLO
depositata il 15/03/2006;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 12/06/2014 dal Consigliere Dott. ANTONIO
DIDONE;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. LUIGI SALVATO che ha concluso per il
rigetto del ricorso. I
DI CAGLIARI – SEZIONE DISTACCATA DI SASSARI,
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Svolgimento del processo
1.- Scintu Antonello (“in proprio e nella qualità”), Ghisu
Benedetta e Ghisu Michelina hanno proposto ricorso per
cassazione – affidato a due motivi – contro la sentenza
Cagliari ha confermato la decisione del Tribunale di
Sassari che aveva dichiarato inammissibile la loro
opposizione alla dichiarazione di fallimento della s.n.c.
“Su Campu di Scintu Antonello & C.” e dei predetti
opponenti quali soci illimitatamente responsabili.
Ha osservato la Corte di merito che correttamente
l’opposizione era stata dichiarata inammissibile perché
proposta oltre il termine di quindici giorni decorrente
dalla notificazione per estratto della sentenza
dichiarativa di fallimento.
Non hanno svolto difese il curatore fallimentare intimato e
il creditore istante, s.r.l. “Sardinia Catering”.
Motivi della decisione
2.1.- Con il primo motivo i ricorrenti sollevano questione
di legittimità costituzionale degli artt. 17 e 18 1. fall.
in relazione agli artt. 3, 24 e 111 Cost.
Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano “violazione e
falsa applicazione delle norme in materia di inesistenza e
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depositata il 15.3.2006 con la quale la Corte di appello di
nullità
delle
notificazioni,
violazione
e
falsa
applicazione in materia di nullità della sentenza e del
procedimento in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c.
Violazione dell’art. 147 1. f. in relazione all’art. 360 n.
c.p.c. in relazione all’art. 360 n. 3 e 4 c.p.c.”.
Formulano, ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c. – applicabile
ratione temporis – i seguenti quesiti “cumulativi”:
“1) ferma restando la questione pregiudiziale di
legittimità costituzionale di cui al punto 1)”
2)
“se il ricorso per dichiarazione di fallimento e
pedissequo decreto di fissazione di udienza deve essere
notificato specificamente alla società di persone in
persona del legale rappresentante ed ai singoli soci, nella
loro qualità di soci illimitatamente responsabili, al fine
di instaurare un valido rapporto processuale tra le parti;
3)
“se in caso di omessa notifica o di nullita’ della
notificazione
ad uno dei soggetti se la sentenza
dichiarativa di fallimento emessa sia affetta da nullità
con ogni conseguenza di legge;
4) “se, in caso di trasformazione da s.n.c. in s.a.s. la
notificazione del ricorso per dichiarazione di fallimento e
dell’estratto della sentenza effettuata alla s.n.c. o ai
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3 c.p.c. Violazione e falsa applicazione dell’art. 327
soci della stessa, invece che alla s.a.s. ed al socio
accomandatario della stessa, sia affetta da inesistenza e\o
nullità insanabile con conseguente nullità della sentenza e
per l’effetto di tale inesistenza e/o nullità della
l’opposizione alla sentenza dichiarativa di fallimento
dovendosi invece applicare il termine lungo di un anno dal
deposito della sentenza”.
3.1.- Secondo la giurisprudenza di questa Corte, a seguito
della sentenza della Corte costituzionale n. 151 del 1980 che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art.
18, primo comma, legge fall., nella parte in cui prevedeva
che il termine di quindici giorni per fare opposizione alla
sentenza di fallimento decorreva anche per il debitore
dall’affissione della sentenza medesima -, al fine della
decorrenza del termine “breve” per la proposizione
dell’indicata opposizione, da parte del debitore medesimo,
non è necessaria la notificazione del testo integrale della
sentenza, in quanto, per consentire al predetto di avere
conoscenza dell’avvenuta dichiarazione del proprio
fallimento è sufficiente la comunicazione per estratto ai
sensi dell’art. 17 legge fall., con la quale il
cancelliere, come gli dà notizia di fatti e di atti
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notificazione non si applichi il termine breve per
processualmente rilevanti che lo riguardano, lo mette a
conoscenza dell’accertata insolvenza e dell’apertura del
fallimento, ponendolo in grado di acquisire presso la
cancelleria ogni altro elemento per l’esercizio del diritto
Pius di recente si e’ affermato il principio per il quale è
manifestamente infondata la questione di legittimità
costituzionale dell’art. 18 legge fallim., in riferimento
agli artt. 3, 24 e 111 Cost., nella parte in cui non
prevede, a seguito della dichiarazione della sua parziale
incostituzionalità (Corte cost. sent. n. 151 del 1980) da
quale atto debba decorrere il termine per l’impugnazione
della sentenza dichiarativa del fallimento da parte del
fallito. Infatti il vuoto normativo prodottosi a seguito
della declaratoria di incostituzionalità è stato colmato
dalla giurisprudenza, facendo applicazione dei principi in
tema di impugnazione in riferimento alla natura peculiare
della procedura fallimentare, nel senso della decorrenza
del termine dalla comunicazione per estratto della sentenza
(Sez. 1, Sentenza n. 322 del 11/01/2007).
3.1.- Ciò premesso, rileva la Corte che il ricorso, prima
che infondato, è inammissibile per violazione dell’art. 366
bis c.p.c.
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di difesa (Sez. U, n. 5104/1996; Sez. 1, n. 16986/2004).
Quanto alla collocazione nel ricorso dei quesiti, invero,
nella giurisprudenza di questa Corte è prevalente
l’orientamento per il quale (v. la sentenza n. 13329/2007
e, già precedentemente, l’ordinanza della sez. 3 n.
particolare evidenza grafica o può anche essere posizionato
topograficamente non al termine del motivo ma al suo inizio
o nelle conclusioni del ricorso (se pur con richiamo al
motivo al quale esso è pertinente), ma deve, in ogni caso,
risultare come frutto di una intenzionale articolazione di
interpello alla Corte di legittimità sulla sintesi
dialettica illustrata nel singolo motivo. Si è
sottolineato, al riguardo, che la novità della riforma
consiste proprio nell’imporre, quale requisito fondamentale
di ciascuna censura di violazione di legge, la necessità
dell’esplicitazione della sintesi logico-giuridica della
questione onerando l’avvocato (patrocinante in Cassazione)
di una formulazione consapevole, quanto espressa e diretta,
di tale sintesi. Da questa impostazione ermeneutica si è
fatta discendere l’impossibilità di accettare un’ipotesi di
quesito implicito o “mascherato” nella trattazione delle
censure. Infatti il quesito deve svolgere una propria
funzione di individuazione della questione di diritto posta
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27130/2006) il quesito può anche difettare di una
alla S.C., sicché è necessario che tale individuazione sia
assolta da una parte apposita del ricorso, a ciò deputata
attraverso espressioni specifiche che siano idonee ad
evidenziare alla Corte la questione stessa, restando invece
di individuazione delle implicazioni della esposizione del
motivo come prospettato affidata al lettore, e non rivelata
direttamente dal ricorso stesso. Ed invero, se il
legislatore avesse voluto ammettere tale possibilità, non
avrebbe previsto che detta esposizione si dovesse
concludere con la formulazione del quesito, espressione che
implica palesemente un quid che non può coincidere con
essa, ma avrebbe previsto solo che quest’ultima doveva
proporre un quesito di diritto (ordinanza n. 16002/2007).
Anche in tempi più recenti (cfr. ordinanza della sez. 1 n.
5073/2008, che richiama l’ordinanza n. 27130/2006) si è
ribadito che, “quand’anche si ritenga possibile che il
quesito non sia graficamente posto a conclusione di ciascun
motivo e quand’anche si ritenga ammissibile una elencazione
finale conclusiva dei quesiti, certo è che ciascun quesito,
pur conclusivamente elencato in unione con altri, deve
essere espressamente riferito al motivo cui accede e che
concettualmente conclude.
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escluso che la questione possa risultare da un’operazione
Nella concreta fattispecie, per contro, avendo i ricorrenti
formulato due motivi e, cumulativamente, quattro quesiti
(omettendo del tutto, peraltro, quello relativo alla
questione di legittimità costituzionale) senza alcun
di riferire ciascun quesito al rispettivo motivo, la norma
di cui all’art. 366 bis c.p.c., all’evidenza, non risulta
rispettata. Né, ovviamente, può essere demandato alla Corte
di accertare se due o uno o più dei quesiti formulati
concernano l’uno o l’altro dei motivi del ricorso.
Pertanto
il
ricorso
stesso deve
essere
dichiarato
inammissibile.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 12 giugno
2014
collegamento (richiamo o altro accorgimento) che consenta