Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16744 del 09/08/2016


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Cassazione civile sez. trib., 09/08/2016, (ud. 18/04/2016, dep. 09/08/2016), n.16744

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BIELLI Stefano – Presidente –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. PERRINO Angelina Maria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 22727-2010 proposto da:

Ministero dell’economia e Agenzia delle entrate, in persona,

rispettivamente, del ministro e del direttore pro tempore,

domiciliatisi in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12, presso gli

uffici dell’Avvocatura generale dello Stato, che li rappresenta e

difende;

– ricorrenti –

contro

s.r.l. Fish’s King 2, in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentato e difeso, giusta procura speciale a margine

del controricorso, dall’avv. Gioacchino Bifulco, col quale

elettivamente si domicilia in Roma, alla via Montesanto, n. 52,

presso lo studio dell’avv. Antonio Baccari;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale della Campania, sezione 39, depositata in data 7 ottobre

2009, n. 124/39/09;

udita la relazione sulla causa svolta alla pubblica udienza in data

18 aprile 2016 dal Consigliere Dr. Angelina Maria Perrino;

udito per la società l’avv. Gioacchino Bifulco;

udito il pubblico ministero, in persona del sostituto procuratore

generale Dr. Zeno Immacolata, che ha concluso per l’accoglimento per

quanto di ragione del terzo motivo di ricorso.

Fatto

In relazione all’anno d’imposta 2003, l’Agenzia delle entrate ha accertato maggiori ricavi, ha svalutato le rimanenze di magazzino ed ha ritenuto indeducibili costi relativi a rapporti con operatori economici aventi domicilio fiscale in Paesi appartenenti alla c.d. black-list, perchè non indicati nell’apposito quadro del modello unico 2004.

La società ha impugnato il relativo avviso, ottenendone l’annullamento dalla Commissione tributaria provinciale; quella regionale ha respinto l’appello dell’ufficio, facendo leva, quanto ai costi sostenuti per acquisti in Paesi rientranti nella c.d. black-list, sull’effettività della spesa e sull’intervenuta sanatoria dell’irregolarità formale scaturente dall’omessa indicazione separata per mezzo di dichiarazione integrativa. Inoltre, in relazione al recupero di maggiore materia imponibile, ha escluso la rilevanza presuntiva degli indici di bilancio.

Avverso questa sentenza propongono ricorso l’Agenzia delle entrate ed il Ministero dell’economia, per ottenerne la cassazione, che affidano a tre motivi, cui la società replica con controricorso.

Diritto

1.-Va preliminarmente dichiarata l’inammissibilità del ricorso là dove è proposto dal Ministero, estraneo alle precedenti fasi del giudizio. Le relative voci di spesa sono compensate.

2.- Il primo motivo, col quale l’Agenzia si duole, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, – al quale meglio si attaglia l’art. 360 c.p.c., comam 1, n. 4 – della violazione dell’art. 112 c.p.c. in ragione della dedotta extrapetizione della sentenza quanto al profilo del recupero della svalutazione delle rimanenze finali, è inammissibile per difetto di autosufficienza, perchè non trascrive o comunque riproduce il contenuto del ricorso introduttivo, al fine di consentire alla Corte di delibare il vizio denunciato.

3.- Il secondo motivo, proposto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, col quale l’Agenzia si duole della violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 110, comma 12, là dove punta sull’inidoneità della dichiarazione integrativa a sanare la violazione consistita nell’omessa indicazione separata dei costi sostenuti per acquisti in Paesi a fiscalità privilegiata, è parimenti inammissibile, in quanto, per un verso, non coglie la ratio decidendi della sentenza, che fa leva sulla natura meramente formale della violazione, destinata a rimanere irrilevante, quanto alla deducibilità dei costi, qualora la spesa sia stata effettivamente sostenuta; per altro verso, con la censura l’Agenzia introduce circostanze di fatto, quali lo svolgimento di accessi, ispezioni o verifiche ostativi alla dichiarazione, estranei al deciso.

4.- Il terzo motivo, proposto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, col quale la ricorrente denuncia la violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, là dove il giudice d’appello ha escluso la legittimità del ricorso all’accertamento analitico-induttivo, perchè scaturente dall’inadeguatezza degli indici finanziari, è infondato.

Per consolidato orientamento della Corte (per l’espressione del quale si veda, fra varie, Cass. 24 settembre 2014, n. 20060) l’accertamento con metodo analitico-induttivo, con cui il fisco procede alla rettifica di singoli componenti reddituali, ancorchè di rilevante importo, è consentito, ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, lett. d), pure in presenza di contabilità formalmente tenuta, giacchè la disposizione presuppone, appunto, scritture regolarmente tenute e, tuttavia, contestabili in forza di valutazioni condotte sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti che facciano seriamente dubitare della completezza e fedeltà della contabilità esaminata.

Il punto è che, in tema di presunzioni semplici, le circostanze sulle quali la presunzione si fonda devono essere tali da lasciare apparire l’esistenza del fatto ignoto come una conseguenza ragionevolmente probabile del fatto noto, dovendosi ravvisare una connessione fra i fatti accertati e quelli ignoti secondo regole di esperienza che convincano di ciò, sia pure con qualche margine di opinabilità, finanche sulla base di circostanze contingenti, eventualmente anche atipiche (così, Cass., sez.un., 22 dicembre 2015, n. 25767).

Quel che rileva è il peso da attribuire agli elementi prescelti e la loro idoneità ad assurgere al rango di presunzioni gravi, precise e concordanti.

L’apprezzamento in ordine alla gravità, precisione e concordanza degli indizi posti a fondamento dell’accertamento effettuato con metodo presuntivo attiene alla valutazione dei mezzi di prova, ed è pertanto rimesso in via esclusiva al giudice di merito, salvo lo scrutinio riguardo alla congruità della relativa motivazione (tra varie, Cass. 30 ottobre 2013, n. 24437).

In questo contesto, la censura in esame si traduce nella contestazione dell’apprezzamento di merito svolto dal giudice di appello in ordine al peso degli indici di bilancio, al fine di ottenerne un riesame, non consentito, di questa Corte.

5. Il ricorso va in conseguenza respinto e le spese seguono la soccombenza.

PQM

La Corte:

dichiara inammissibile il ricorso là dove è proposto dal Ministero e compensa le relative voci di spesa. Rigetta nel resto il ricorso e condanna l’Agenzia a pagare le spese, liquidate in Euro 8000,00 per compensi, oltre ad Euro 200,00 per esborsi ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 18 aprile 2016.

Depositato in Cancelleria il 9 agosto 2016

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