Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16744 del 07/07/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 07/07/2017, (ud. 15/11/2016, dep.07/07/2017),  n. 16744

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. GRECO Antonio – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. ANDREAZZA Gastone – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 8108-2010 proposto da:

SANGINETO PRODUZIONE MATERIALI EDILIZIA SRL, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA C/O

STUDIO ROSATI VIA OVIDIO 10, presso lo studio dell’avvocato ANNA

BEI, rappresentata e difesa dall’avvocato GIUSEPPE FALCONE delega a

margine;

– ricorrenti –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– resistente con atto di costituzione –

avverso la sentenza n. 215/2009 della COMM.TRIB.REG. della Calabria

depositata il 31/03/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

15/11/2016 dal Consigliere Dott. ANTONIO GRECO;

udito per il ricorrente l’Avvocato FALCONE FRANCESCO per delega

dell’avvocato FALCONE GIUSEPPE che ha chiesto l’accoglimento;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DEL

CORE SERGIO che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La srl Sangineto Produzione Materiali per l’Edilizia propone ricorso per cassazione, con cinque motivi, nei confronti della sentenza della Commissione tributaria regionale della Calabria che, nel giudizio introdotto con l’impugnazione di avvisi di accertamento ai fini dell’IVA, dell’IRAP, e dell’IRPEG, per gli anni 2000, 2001 e 2002 – messi all’esito della verifica della Guardia di finanza nel corso della quale, come documentato dal pvc, erano state riscontrate numerose irregolarità formali e sostanziali: segnatamente, la irregolare tenuta del libro degli inventari e la mancata esibizione delle distinte che erano servite per la redazione dello stesso; la mancata contabilizzazione di ricavi per i tre anni; l’indebita contabilizzazione e deduzione di costi relativi all’anno 1999 fatti gravare sull’anno 2000 -, ha confermato la legittimità della pretesa avanzata con gli atti impositivi, emessi ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 39 e 41 bis.

L’Agenzia delle entrate non ha svolto attività nella presente sede, limitandosi a depositare atto di costituzione ai fini della partecipazione all’udienza di discussione.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Col primo motivo del ricorso la società contribuente denuncia la violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 41 bis e 42 e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 ravvisando nella fattispecie l’insussistenza delle condizioni per l’accertamento parziale; con il secondo motivo si duole dell’anessa motivazione sulla ritenuta “sussistenza degli elementi probatori altamente affidabili che legittimano gli accertamenti parziali”; con il terzo motivo denuncia la violazione o falsa applicazione del D.P.R. n. 570 del 1996, art. 1 e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, coma 1, lett. d), assumendo che la decisione impugnata avrebbe “legittimato una ricostruzione dei ricavi operata nei confronti di un soggetto a contabilità ordinaria ritenuta inattendibile, al di fuori dei parametri (L. n. 549 del 1995, art. 3, coma 181, lett. b)”, ponendosi in contrasto con le norme in rubrica, la seconda delle quali prevedrebbe “che l’inattendibilità serve solo ai fini dell’applicazione dei parametri previsti dalla legge”; con il quarto ed il quinto motivo denuncia, rispettivamente, omessa e insufficiente motivazione della sentenza per avere la CTR affermato che nella ricostruzione induttiva dei ricavi si potrebbe fare a meno di conoscere la quantità massima delle rimanenze finali, e per aver ritenuto che i calcoli della G. di f. sarebbero stati rigorosi ed ineccepibili, senza indicare alcuna ragione specifica che facesse concludere in tali sensi.

Il ricorso è complessivamente infondato.

“Accanto alla figura dell’accertamento “globale” – cane Cass. sez. un. 18 gennaio 2007, n. 1064 (in motivazione), ha avuto modo di chiarire – l’ordinamento conosce la figura dell’accertamento “parziale”, prevista dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 41 bis la cui tipicità consiste, secondo la definizione della dottrina, a) sul piano strutturale, nella dichiarata e obbligatoria limitatezza del contenuto dell’atto; b) sul piano funzionale, nella tassatività delle forme di istruttoria che lo legittimano e ne caratterizzano l’identità; c) sul piano effettuale, nella fisiologica possibilità che agli effetti da esso promananti altri se ne affianchino, all’esito della prosecuzione dell’ulteriore azione accertatrice. L’accertamento “parziale” ha la funzione di ovviare al rallentamento che l’azione accertativa potrebbe subire dalla necessità di attendere l’esito della più complessa istruttoria che richiede un accertamento “globale”, laddove l’amministrazione finanziaria disponga di elementi, altamente attendibili per la speciale qualificazione delle relative fonti di segnalazione, che già consentirebbero, sia pur limitatamente, di imputare ad un contribuente un’imposta o una maggiore imposta. Per queste sue caratteristiche, l’accertamento “parziale” non è idoneo, cane l’accertamento “globale”, a definire irrevocabilmente, laddove non sia impugnato nei termini di legge, l’intera annualità di imposta, perchè, rispetto a quest’ultima, l’azione accertatrice potrebbe proseguire”.

A norma del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 41 bis, comma 1, nel testo vigente all’epoca di adozione degli atti impositivi, infatti, “senza pregiudizio dell’ulteriore azione accertatrice… i competenti uffici dell’Agenzia delle entrate, qualora dagli accessi, ispezioni e verifiche nonchè dalle segnalazioni effettuate dalla Direzione centrale accertamento, da una Direzione regionale ovvero da un ufficio della medesima Agenzia ovvero di altre Agenzie fiscali, dalla Guardia di finanza o da pubbliche amministrazioni ed enti pubblici oppure dai dati in possesso dell’anagrafe tributaria, risultino elementi che consentono di stabilire l’esistenza di un reddito non dichiarato o il maggiore ammontare di un reddito parzialmente dichiarato, che avrebbe dovuto concorrere a formare il reddito imponibile, compresi i redditi da partecipazioni in società, associazioni ed imprese di cui al testo unico delle imposte sui redditi, approvato con D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 5, o l’esistenza di deduzioni, esenzioni ed agevolazioni in tutto o in parte non spettanti, nonchè l’esistenza di imposte o di maggiori imposte non versate, escluse le ipotesi di cui agli artt. 36 bis e 36 ter, possono limitarsi ad accertare, in base agli elementi predetti, il reddito o il maggior reddito imponibili, ovvero la maggiore imposta da versare, anche avvalendosi delle procedure previste dal D.Lgs. 19 giugno 1997, n. 218. Non si applica la disposizione dell’art. 44”.

Secondo i principi che questa Corte ha già avuto modo di affermare, principi cui il Collegio intende dare continuità, l’accertamento parziale non costituisce un metodo di accertamento autonomo rispetto alle previsioni di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 38 e 39 ai fini reddituali, e D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 54 e 55 ai fini IVA, nè prevede limiti in relazione al metodo di accertamento induttivo, consentito, in linea di principio, anche in presenza di contabilità tenuta in modo regolare, quanto piuttosto una modalità procedurale che segue le stesse regole previste per gli accertamenti (ex multis, Cass. n. 5977 del 2007, n. 2761 del 2009, n. 25335 del 2010, n. 27323 del 2014, n. 25989 del 2014).

Inoltre, come si è pure chiarito, l’utilizzo dell’accertamento parziale è nella disponibilità degli uffici anche quando ad essi pervenga una segnalazione o processo verbale di constatazione della Guardia di finanza (Cass. n. 23729 del 2013) che fornisca elementi per ritenere la sussistenza di un reddito non dichiarato, senza che tale strumento debba (neppure prima delle modifiche apportate nel 2004) essere subordinato ad una particolare semplicità della segnalazione pervenuta (Cass. n. 20496 del 2013).

E si è ulteriormente precisato (Cass. n. 2633 del 2016, in motivazione) che innesco dell’accertamento parziale non è dunque il notevole grado di certezza degli elementi segnalati, ma “esclusivamente il dato formale estrinseco che la comunicazione degli elementi a fondamento della pretesa provengano da organi od enti distinti ed esterni dall’Amministrazione finanziaria procedente, indipendentemente dalla maggiore o minore complessità delle indagini che hanno portato all’acquisizione di tali elementi”.

Pertanto, a norma del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 41 bis i competenti uffici dell’Agenzia delle entrate, senza pregiudizio dell’ulteriore attività accertatrice nei termini stabiliti dall’art. 43, possono procedere con l’accertamento parziale che non è, dunque, circoscritto all’accertamento del reddito d’impresa o solo a talune delle categorie di redditi di cui all’art. 6 del tuir; nè, del resto, è richiesto all’ufficio di fornire la “prova certa” del maggior reddito, prova che può invece essere raggiunta anche con le presunzioni di cui alla fonte legale: qualora “risultino elementi”, con l’accertamento parziale “possono limitarsi ad accertare, in base agli elementi predetti, il reddito o il maggior reddito imponibili”, fatta sempre salva la possibilità per il contribuente di fornire specifica prova contraria, da sottoporre al vaglio del giudice di merito nella fase contenziosa (cfr. Cass. n. 20496 del 2013, n. 27323 del 2014; i principi così affermati sono, ancora, ribaditi in Cass. n. 21984 del 2015).

Si rivelano perciò infondati i primi due motivi del ricorso.

Del pari infondati sono il quarto ed il quinto motivo, in quanto il giudice di appello ha ritenuto “analitico e rigoroso il calcolo effettuato dalla Guardia di finanza” e ne ha spiegato le ragioni:

“l’errore compiuto dai primi giudici era stato quello di rapportare la maggiore produzione di calcestruzzo venduto senza fattura alle rimanenze finali, delimitandole alla capienza massima dei silos. Ma nella fattispecie non è determinante conoscere la quantità delle rimanenze finali, ma stabilire, sulla base degli acquisti di materie prime, la quantità di calcestruzzo a disposizione, prodotta e venduta senza fatture, e pertanto i maggiori ricavi da assoggettare a tassazione. Poichè i calcoli effettuati dalla G. di f. sono rigorosi e ineccepibili e la riconduzione delle materie prime in prodotto finito è stato determinato in virtù di dichiarazione di parte resa in contraddittorio, non può mettersi in dubbio la ricostruzione dei ricavi, e dei redditi, della società”.

Il terzo motivo è infondato, in quanto muove da un’inesatta lettura della norma, l’art. 1 del regolamento approvato col D.P.R. 16 settembre 1996, n. 570, la quale si limita, per la sola ipotesi di accertamento in base a parametri (“ai soli fini dell’applicazione della L. 28 dicembre 1995, n. 549, art. 3, comma 181, lett. b)”) – non ricorrente nella specie -, a stabilire quando le irregolarità delle scritture obbligatorie degli esercenti attività d’impresa debbano considerarsi gravi e rendono inattendibile la contabilità ordinaria.

In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.

Non vi è luogo a provvedere sulle spese, considerato il mancato svolgimento di attività difensiva da parte dell’intimata.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 15 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 7 luglio 2017

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