Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16742 del 06/08/2020

Cassazione civile sez. trib., 06/08/2020, (ud. 05/11/2019, dep. 06/08/2020), n.16742

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRUCITTI Roberta – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. GILOTTA Bruno – rel. est. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 22449/2015, promosso da:

AIR FOOD s.r.l., rappresentata e difesa dall’avv. Valentino Benedetti

e presso il suo studio in Roma domiciliata in Largo Messico, 7;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro tempore,

rappresentata dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio

legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

per la cassazione della sentenza n. 554/2015 della Commissione

Tributaria Regionale della Lombardia, emessa il 20 febbraio 2015,

avente ad oggetto l’avviso di accertamento n. (OMISSIS) per I.RE.S.,

I.V.A. I.R.A.P. e altro 2009 della Direzione Provinciale

dell’Agenzia delle Entrate di (OMISSIS).

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

Con l’avviso di accertamento in oggetto, la Direzione Provinciale dell’Agenzia delle Entrate di (OMISSIS) contestò, fra l’altro, alla Air Food s.r.l., del D.P.R. n. 917 del 1986, ex art. 88:1) sopravvenienze attive non dichiarate per Euro 345.154,47, con riferimento al saldo di chiusura al (OMISSIS) del conto n. (OMISSIS) “Fatture da ricevere da fornitori terzi”, avendo riscontrato che l’importo riguardava debiti afferenti agli anni 2001-2008 le cui relative fatture non sono mai state ricevute; 2) sopravvenienze attive non dichiarate per Euro 79.485,73, con riferimento a quanto contabilizzato nel conto n. (OMISSIS) “Note di credito da emettere a clienti”, ove a fronte di un saldo di apertura al (OMISSIS) di Euro 87.131,73, erano state effettivamente emesse dalla società, nel corso del 2009, note credito per un totale pari ad Euro 7.646,00, chiudendo quindi al (OMISSIS) con un saldo di chiusura pari a Euro 79.485,73.

Proposto ricorso davanti alla Commissione Tributaria Provinciale di Milano, l’accertamento fu parzialmente annullato con la riduzione del primo rilievo da Euro 345.154,47 ad Euro 166.751,47, essendo state ravvisata la prova di variazioni in (Ndr: testo originale non comprensibile).

Contro la sentenza hanno proposto appello sia la contribuente che l’Agenzia delle Entrate: la prima ribadendo, con riferimento ad entrambi i rilievi, che si trattava di passività inesistenti sin dall’origine effettuate per accantonamento di costi indeducibili nell’esercizio di formazione, in quanto prive dei requisiti di certa esistenza e di ammontare determinato o oggettivamente determinabile di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 109; e rilevando che non erano contestati gli anni in cui erano stati effettuati gli accantonamenti e che lo stesso Ufficio (con riferimento al rilievo n. 2, ma la deduzione può estendersi al rilievo n. 1) affermava trattarsi di “posizioni di debito che non hanno avuto alcun riscontro documentale”; la seconda dolendosi della riduzione del 30% delle sanzioni fiscali applicate e dell’annullamento degli altri rilievi.

La Commissione Tributaria Regionale ha rigettato entrambi gli appelli.

Ricorre per la cassazione di detta sentenza la Air Food s.r.l. per tre motivi. L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso e ricorso incidentale per tre motivi.

Per la trattazione è stata fissata l’adunanza in camera di consiglio del 5 novembre 2019, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c., e art. 380 bis 1 c.p.c., il primo come modificato ed il secondo introdotto dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, conv. in L. n. 168 del 2016.

La società ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

Con il primo motivo la ricorrente principale denuncia “violazione dell’art. 111 Cost., comma 6, del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, artt. 36 e 61, dell’art. 132 c.p.c., n. 4, e dell’art. 118 disp. att. c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4,” ritenendo la sentenza priva di motivazione, perchè avrebbe rigettato i motivi d’appello siccome mera riproposizione dei motivi d’impugnazione.

Il motivo è infondato.

La sentenza d’appello può essere motivata “per relationem”, purchè il giudice del gravame dia conto, sia pur sinteticamente, delle ragioni della conferma in relazione ai motivi di impugnazione ovvero della identità delle questioni prospettate in appello rispetto a quelle già esaminate in primo grado, sicchè dalla lettura della parte motiva di entrambe le sentenze possa ricavarsi un percorso argomentativo esaustivo e coerente, mentre va cassata la decisione con cui la corte territoriale si sia limitata ad aderire alla pronunzia di primo grado in modo acritico senza alcuna valutazione di infondatezza dei motivi di gravame (da ult., Cass., 20883/2019). Nel caso di specie, la Commissione Tributaria Regionale ha rilevato che l’impugnazione della Air Food s.r.l. riproponeva “le medesime argomentazioni difensive in termini diversa valenza contabile e bilancistica da attribuire alle singole riprese fiscali, che in nulla smentiscono le puntuali osservazioni del primo giudice, che pure ha ritenuto fondate e condivisibili, anche in parte, alcune controdeduzioni difensive, ponendole nel giusto e condivisibile rilievo a fronte delle asserzioni dell’Ufficio”. E conclude affermando che “questa Commissione giudica valida ed esaurientemente motivata la decisione di prime cure…”. Sicchè la sentenza impugnata, quantunque sintetica sul punto, mostra di aver esaminato e valutato sia la motivazione della sentenza di primo grado che i motivi dell’appello proposto e consente, attraverso anche la parte motiva della sentenza di primo grado, di individuare il percorso argomentativo adeguato e corretto, sì da renderne possibile ed agevole il controllo (Cass., 14786/’16).

Con il secondo motivo la ricorrente denuncia “Violazione o falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, artt. 88 e 109, e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, (art. 360 c.p.c., n. 3)”, con riferimento alle due sopravvenienze attive rilevate e sostanzialmente confermate nei due gradi del giudizio di merito, ribadendo che già nell’avviso di accertamento si era confermato che l’importo di Euro 345.154,47 riguardava accantonamenti effettuati nel corso degli anni 2001-2008 e che l’importo di Euro 79.485, 73 si riferiva ad accantonamenti effettuati nel 2008 derivanti da posizioni di debito che non avevano avuto alcun riscontro documentale, e quindi inesistenti: ne deduce l’erroneità di imputare i predetti costi, illegittimamente appostati negli esercizio precedenti, in sopravvenienze attive per l’esercizio 2009, in violazione del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, artt. 109 e 88.

Sostiene che a norma dell’art. 109, “perchè i costi siano spesati in un determinato esercizio devono possedere requisiti di certezza e determinabilità; nella specie questi requisiti erano insussistenti e legittima sarebbe stata, quindi, la ripresa a tassazione con riferimento all’esercizio in cui le operazioni inesistenti erano state iscritte in bilancio”.

Sostiene poi l’illegittima applicazione dell’art. 88, “secondo il quale le passività iscritte in bilancio in esercizi precedenti quello di accertamento si tramutano in sopravvenienze attive solo per effetto d’insussistenza sopravvenuta delle passività stesse, a seguito di un accadimento che tali passività elimini. E’ di tutta evidenza che, ove ciò non sia, ma si tratti di debiti inesistenti ed indeducibili dall’origine e di cui non vi è alcuna prova, essi vanno contestati per il principio di competenza con riferimento all’esercizio di iscrizione”.

Il motivo è infondato.

Pur dandosi atto dell’inderogabilità del principio di competenza, che vale sia per gli elementi positivi che per gli elementi negativi del reddito (come chiaramente affermato per i primi da Cass., 11758/’09: “In tema di imposte sui redditi d’impresa, i corrispettivi per i quali non sussistano problemi di certezza e determinabilità sono qualificabili come ricavi, da assoggettarsi ad imposizione in riferimento al periodo di competenza, e non sono quindi recuperabili a tassazione in riferimento all’esercizio in cui sono stati incassati, sul presupposto della qualificazione sopravvenienze attive come sopravvenienze attive, ai sensi del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 88: quella delle sopravvenienze attive costituisce infatti una categoria residuale rispetto all’analitica elencazione dei componenti positivi del reddito d’impresa, che trova applicazione soltanto in presenza di componenti non altrimenti qualificabili, dovendo il prelievo essere effettuato ordinariamente in base al criterio di competenza, e non risultando ammissibile il ricorso al criterio di cassa al solo fine di rimettere il fisco in termini per l’accertamento”), ciononostante non può condividersi l’assunto – nel quale può sintetizzarsi la linea di difesa e il motivo di ricorso della contribuente, già disattesi dai giudici di merito – secondo la quale il protrarsi negli esercizi susseguenti di una originaria rappresentazione contabile errata non abbia rilevanza fiscale al di fuori dell’esercizio di competenza e che possa essere accertata solo per quell’esercizio durante il quale l’erroneità della posta è emersa.

Va precisato che – al di fuori e prima della questione concernente la valutazione della vicenda in termini di “sopravvenienza attiva” – dall’attività ispettiva emerse il “conto n. (OMISSIS) – Fatture da ricevere da fornitori terzi” collegato a “stanziamenti” degli anni precedenti dal 2002″ (così la motivazione della sentenza della Commissione Tributaria Provinciale). Parimenti, nel ricorso, la contribuente qualifica l’operazione contabile in termini “accantonamenti”, vale a dire elementi positivi di reddito sottratti alla base imponibile.

confronti di fornitori, sorti al momento della ricezione delle relative prestazioni e non ancora “spesati” in mancanza di fattura, e che dovrebbero essere stati appostati nell’esercizio di competenza. In detta sua funzione, la scritturazione si correlava a costi precedentemente appostati e rappresentava un “accantonamento” finanziario vincolato al pagamento delle fatture, se e in quanto pervenute.

L’accertamento convalidato dalla Commissione Tributaria Regionale partiva dal dato secondo cui quella posta di assestamento fosse (divenuta) inattendibile essendo inverosimile che una massa sempre più consistente di fornitori, dal 2002 al 2009 e fino al 2012 (anno dell’accertamento) non avesse ancora inviato fatture per un importo così elevato. Ha ritenuto che almeno nel corso dell’esercizio del 2009 la contribuente avrebbe dovuto ritenere estinti quei debiti e quindi fare emergere la sopravvenienza attiva. L’inverosimiglianza della scrittura è confermata dalla linea di difesa della contribuente, che – sia pure per giungere a conclusioni diverse – la ha delegittimata alla radice, sostenendo che alla base di essa si collocavano costi indeducibili, a norma del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 109.

Ma che trattavasi di costi indeducibili è asserzione che le sentenze reputano, fondatamente, non provate: tanto che è stata la contribuente a sostenere convincentemente (tanto da ottenere una notevole riduzione, nel giudizio di primo grado, del recupero dell’imponibile) che per una parte considerevole la partite annotate nei conti erano state eliminate; sicchè appare ineccepibile la conclusione dei giudici di merito secondo cui l’Ufficio correttamente abbia ritenuto che nel 2009 la contribuente avrebbe dovuto ritenere estinti quei debiti e portare i relativi “accantonamenti” a sopravvenienza attiva.

Non è poi condivisibile l’assunto secondo cui le sopravvenienze attive prevista dall’art. 88, si verificano solo per il sopraggiungere di fatti nuovi e successivi rispetto a quelli configurati dal contribuente negli esercizi precedenti: la norma del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 88, nel definire le sopravvenienze attive, fa riferimento all’oggettiva divaricazione fra l’importo del ricavi o dei costi previsti in un esercizio per gli esercizi successivi risulti obiettivamente diverso: “In tema di determinazione del reddito di impresa, nell’ampio concetto di sopravvenienze attive, delineato dal D.P.R. n. 917 del 1986, art. 55, comma 1, rientrano tutte quelle situazioni in cui, per qualsiasi ragione, si verifichi in bilancio una connotazione attiva che determini un incremento degli elementi che avevano concorso a formare il reddito in precedenti esercizi” (cass., 28727/’17; cass., 4297/110).

Con il terzo motivo la contribuente denuncia “violazione o falsa applicazione degli artt. 2697 e 2729 c.c., (art. 360 c.p.c., n. 3),” per la parte in cui la sentenza della Commissione Tributaria Regionale afferma che la natura di costi inesistenti iscritti nei bilanci precedenti il 2009 non è provata e non basta l’affermazione in proposito della contribuente.

Anche questo motivo è infondato. Le partite contabili che l’Ufficio ha disatteso ricavandone sopravvenienze attive presupponevano comunque l’appostazione di costi negli esercizi precedenti, che solo la contribuente avrebbe potuto e dovuto provare.

L’Agenzia delle Entrate ricorre in via incidentale per tre motivi, denunciando “violazione degli artt. 112,113,114,132 c.p.c., comma 2, n. 4, e art. 156 c.p.c., art. 118 disp. att. c.p.c., del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 1, 18, art. 36, comma 2, n. 4, artt. 53, 54 e 61, del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 7, u.c., della L. n. 212 del 2000, art. 10, comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4”; “violazione degli artt. 3,23,53,97 e 111 Cost., artt. 113 e 114 c.p.c., del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 1, comma 2, del D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 1, del D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 32, del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 7, u.c. e art. 17, comma 2, della L. n. 212 del 2000, art. 10, comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3,” e “violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, artt. 156 e 342 c.p.c., art. 118 disp. att. c.p.c., del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, n. 4, artt. 53 e 61, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4”.

I primi due motivi – strettamente connessi e da esaminarsi congiuntamente concernono il capo della sentenza impugnata che, facendo propria la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale anche nella parte riguardante la riduzione al 30% delle sanzioni inflitte su altri specifici rilievi, avrebbe poi contraddittoriamente riferito la riduzione all’entità globale delle sanzioni inflitte, senza che sul punto fosse intervenuta doglianza della contribuente e solo per motivi di equità.

Entrambi i motivi sono infondati perchè partono da una lettura errata della motivazione della sentenza di primo grado.

Questa, riguardo ai rilievi 4-7-8-10 ammessi dalla contribuente, aveva ridotto le relative sanzioni al 30%, in ragione del contegno ostativo e dannoso attribuito all’ufficio in sede di accertamento adesivo proposto dal contribuente. La Commissione Tributaria Regionale, nel negare il vizio di ultrapetizione denunciato dall’Ufficio appellante, ha dapprima ripercorso, facendolo proprio, l’operato del primo giudice che aveva analizzato uno per uno i rilievi ammessi dalla contribuente; ne ha sintetizzato il risultato, riassunto in una riduzione “globale” al 30%, evidentemente riferita alle sole sanzioni di cui ai rilievi sopradetti; e ha giustificato per “un principio” di equità” direttamente collegato al comportamento ostativo attribuito all’Ufficio (che avrebbe potuto essere meglio qualificato come sanzionatorio o retributivo) una riduzione delle sanzioni ritenuta implicitamente compresa nella domanda intesa a contestare la pretesa tributaria.

Così ricostruita la vicenda processuale, è necessario richiamare il principio secondo cui l’interpretazione della domanda spetta al giudice del merito, per cui, ove questi abbia espressamente ritenuto che una certa domanda era stata avanzata ed era compresa nel “thema decidendum”, tale statuizione, ancorchè erronea, non può essere direttamente censurata per ultrapetizione, atteso che, avendo comunque il giudice svolto una motivazione sul punto, comprendendo una certa questione ricompresa tra quelle da decidere, il difetto di ultrapetizione non è logicamente verificabile prima di avere accertato che quella medesima motivazione sia erronea. In tal caso, il dedotto errore del giudice non si configura come “error in procedendo”, ma attiene al momento logico relativo all’accertamento in concreto della volontà della parte (Cass., 20718/’18; Cass., 3702/2006). E trarne per conseguenza e in conclusione l’infondatezza di entrambi i motivi in esame.

Per il terzo motivo, va richiamato quanto sopra detto in ordine allo speculare motivo della contribuente e applicato il principio di diritto confermato da ultimo da Cass., 20883/2019, sopra citata, in tema di motivazione della sentenza per relationem.

Invero, riguardo alle regioni dell’annullamento dei singoli rilievi annullati dalla Commissione Tributaria Provinciale, quello n. 3 (riferito alla detrazione di premi di produzione) era stato motivato in sede amministrativa sulla base della genericità delle fatture e della mancanza di documenti di supporto; la Commissione in primo grado lo ha annullato ritenendolo adeguatamente giustificato dalle specifiche note di accredito emesse, presenti in contabilità e coerente con la prassi aziendale d riconoscere sconti o abbuoni anche per altre ragioni specifiche, non sempre riconducibili agli accordi contrattuali. L’Agenzia, nell’appello, ha ribadito la genericità delle fatture e la mancanza di supporto contrattuale; coerentemente la Commissione Tributaria Regionale ha ritenuto trattarsi di argomenti già trattati dalla Commissione Tributaria Provinciale.

Lo stesso riguardo al rilievo 5, concernente spese per materiale di pulizia che in base al contratto di appalto avrebbe dovuto essere fornito dall’appaltatore: la Commissione Tributaria Provinciale ha annullato rilievo richiamando la prassi secondo cui è sovente necessario intervenire in certi casi per supplire alle carenze dell’appaltatore e rilevando che comunque non era stato provato che quell’importo non fosse poi stato decurtato la prezzo corrisposto all’appaltatore. Nell’appello l’Agenzia aveva ancora ribadito la mancanza di supporto documentale, anche riguardo alla prassi ritenuta dalla Commissione Tributaria Provinciale, senza così cogliere il punto specifico della motivazione.

Analogamente riguardo al rilievo n. 6, concernente il pagamento di una cd entrance free ad una società, che la l’Ufficio aveva contestato per mancanza di adeguato supporto documentale e che la Commissione Tributaria Provinciale aveva giustificato ritenendo anche in questo caso la prassi di corrispondere una somma una tantum per l’ingresso in determinati mercati, prassi in questo caso confortata dallo svilupparsi effettivo di ulteriori rapporti commerciali con la destinataria del pagamento. Anche in questo caso nell’appello l’Ufficio aveva ribadito l’assenza di documentazione materiale.

Riguardo al rilievo n. 9 (servizi amministrativi di terzi), la Commissione Tributaria Provinciale ha affermato non essere in discussione l’effettività del costo, bensì “la natura rispetto alla descrizione” e ha ritenuto “che il concetto di servizi amministrativi sia idoneo a rappresentare il corrispettivo per prestazioni contabili e la domiciliazione della sede legale e gli adempimenti annessi”, ritenendo sostanzialmente irrilevante il fatto che con la società destinataria del pagamento fosse documentabile solo un contratto d’affitto. Nell’appello l’Ufficio aveva dedotto che così operando la Commissione Tributaria Provinciale aveva ammesso la deducibilità del costo senza prova della sua inerenza, così insistendo sulla necessità di una “prova scritta” non solo non prevista civilisticamente dal contratto le cui prestazioni era state fatturate, ma non richiesta neppure per la dimostrazione dell’inerenza del costo, ritenuta dalla Commissione Tributaria Provinciale sulla base del dato, incontroverso, che si trattava della società che forniva il servizio di domiciliazione legale.

Riguardo infine al rilievo 11, la Commissione Tributaria Provinciale aveva ritenuto documentata sin dall’origine la natura di tale posta e la sua inerenza e rimarcato che, successivamente, la contribuente aveva prodotto anche la documentazione a supporto della sua quantificazione. Nell’appello l’Ufficio aveva insistito per la mancanza di una documentazione idonea, senza così nulla aggiungere a quanto già delibato dal giudice.

In conclusione, entrambi i ricorsi, principale e incidentale, vanno rigettati.

La reciproca soccombenza induce alla totale compensazione delle spese del giudizio.

Nei casi di impugnazione respinta integralmente o dichiarata inammissibile o improcedibile, l’obbligo di versare, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, non può trovare applicazione nei confronti delle Amministrazioni dello Stato che, mediante il meccanismo della prenotazione a debito, sono esentate dal pagamento delle imposte e tasse che gravano sul processo (Cass., 1778/2016; Cass., 5955/2014).

PQM

Rigetta il ricorso principale e quello incidentale, compensando interamente fra le parti le spese del giudizio.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 – quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del cit. art. 13, comma 1 – bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 5 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 6 agosto 2020

 

 

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