Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16740 del 29/07/2011

Cassazione civile sez. I, 29/07/2011, (ud. 11/04/2011, dep. 29/07/2011), n.16740

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CARNEVALE Corrado – Presidente –

Dott. SALME’ Giuseppe – Consigliere –

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

IMPRESA VECCHI & ROMAGNOLI S.N.C., in persona del

legale

rappresentante p.t. R.S., elettivamente domiciliata in

Roma, alla via Sabotino n. 46, presso l’avv. PROPERZI PATRIZIA, dalla

quale, unitamente all’avv. ALBERTO COCCHIERI del foro di Ancona, è

rappresentata e difesa in virtù di procura speciale in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

COMUNI – DI S. MARIA NUOVA, in persona del Sindaco p.t. P.

F. elettivamente domiciliato in Roma, al viale Angelico n. 38,

presso l’avv. DEL VECCHIO SERGIO, dal quale, unitamente all’avv.

ANTONIO MASTRI del foro di Ancona, è rappresentato e difeso in

virtù di procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso le sentenze della Corte di Appello di Ancona n. 109/00,

pubblicata il 1 aprile 2000, e n. 601/04, pubblicata il 23 ottobre

2004;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza dell’11

aprile 2011 dal Consigliere Dott. Guido Mercolino;

udito l’avv. Matteo Mungari per delega del difensore del ricorrente e

l’avv. Andrea Del Vecchio per delega del difensore del

controricorrente;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. GAMBARDELLA Vincenzo, il quale ha concluso per

l’accoglimento per quanto di ragione del ricorso principale e del

ricorso incidentale.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. – Nel procedimento arbitrale promosso dall’Impresa Vecchi &

Romagnoli S.n.c. nei confronti del Comune di S. Maria Nuova ai sensi del contratto di appalto stipulato il 5 agosto 1989. il collegio arbitrale, con lodo parziale emesso il 1 febbraio 1 996. dichiarò la proponibilità delle domande avanzate dall’Impresa e la propria incompetenza in ordine ai quesiti di cui alle lettere c), d), e), f) e g) proposti dall’Impresa, nonchè in ordine alla domanda riconvenzionale avanzata dal Comune.

1.1. – Con il lodo definitivo emesso il 28 febbraio 1997, gli arbitri a) rigettarono le domande di cui ai nn. 1. 4, 7, 8, 9. 10 della narrativa dell’atto introduttivo, b) dichiararono cessata la materia del contendere relativamente alle domande di cui ai nn. 2 e 3, nei limiti rispettivamente degli importi di Lire 1.949.450 e Lire 490.554, rigettandole per il residuo, c) accolsero le domande di cui ai nn. 5. 6 e 14, condannando il Comune al pagamento rispettivamente delle somme di Lire 14.797.202. oltre interessi legali dal 6 agosto 1991. Lire 1.059.300. oltre interessi legali dal 7 giugno 1991, e Lire 503.200, oltre interessi legali dal 7 giugno 1991. d) dichiararono dovuti gli interessi, come per legge, per ritardato pagamento del secondo S.A.L..

2. – Sull’impugnazione del Comune, la Corte d’Appello di Ancona, con sentenza non definitiva del 1 aprile 2000. ha dichiarato la nullità del lodo parziale nella parte riguardante la dichiarazione d’incompetenza, osservando che le pretese avanzate dall’Impresa in riferimento all’illegittimità dell’esecuzione d’ufficio dei lavori e la domanda riconvenzionale proposta dal Comune per il pagamento della penale non erano sottratte alla giurisdizione del giudice ordinario, nonostante la contestazione della legittimità della diffida intimata ai sensi della L. 20 marzo 1865, n. 2248, art. 341, all. F, in quanto tale atto si inseriva in una vicenda negoziale caratterizzata da diritti soggettivi ed obblighi reciproci delle parti.

Quanto alle eccezioni d’improponibilità ed improcedibilità sollevate da Comune, ha confermato l’inapplicabilità del D.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, artt. 44 e 46, a causa dell’ingiustificato ritardo nell’approvazione del collaudo.

Nel merito, la Corte ha ritenuto legittima la diffida, in ragione della condotta inadempiente dell’Impresa, la quale, pochi giorni prima del termine fissato per l’ultimazione dei lavori, aveva rifiutato di procedere all’asfaltatura della strada commissionata, accampando pretese per maggiori oneri in relazione ai quali a-vrebbe invece dovuto limitarsi alla formulazione di riserve. In proposito, ha escluso la necessità di una perizia di variante o di specifiche disposizioni del direttore dei lavori, ritenendo irrilevante che la diffida fosse stata intimata dal Comune quasi un anno dopo l’ordine di servizio impartito dal direttore dei lavori, in quanto l’Impresa non aveva completato l’opera e gli ulteriori lavori previsti dalla diffida erano resi necessari dai danni verificatisi nel frattempo.

La Corte ha quindi rigettato le domande proposte dall’Impresa attraverso i quesiti di cui alle lettere c), e), f) e g), riconoscendo invece il diritto del Comune alla penale, ma riducendone l’importo a Lire 9.000.000, in considerazione del ritardo dell’Amministrazione nel procedere all’esecuzione d’ufficio, e compensando parzialmente il relativo credito con quello residuo fatto valere dall’Impresa con il quesito di cui alla lettera d).

La Corte ha poi dichiarato la nullità del lodo definitivo nella parte in cui aveva omesso di pronunciare in ordine alle riserve nn. 14, 16, 17 e 18.

2.1. Con sentenza definitiva del 23 ottobre 2004, la Corte territoriale ha infine condannato il Comune a pagare all’Impresa, in relazione alle riserve nn. 14, 16 e 18, la somma di Euro 1.593,59, oltre interessi legali dalla domanda, prendendo atto della mancata contestazione della relazione di c.t.u. da parte del Comune e della sostanziale conformità della stessa ai criteri indicati nella sentenza non definitiva.

Ha invece rigettato la domanda relativa alla riserva n. 17, avente ad oggetto gli oneri relativi al ripristino del fondo stradale, ritenendo provato che i lavori erano stati eseguiti da altra impresa nel periodo compreso tra le due diffide.

3. – Avverso le predette sentenze l’Impresa propone ricorso per cassazione, articolato in quattro motivi. Il Comune resiste con controricorso, proponendo a sua volta ricorso incidentale, articolato in due motivi.

Entrambe le parti hanno depositato memorie.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Preliminarmente, va disposta, ai sensi dell’art. 335 c.p.c., la riunione del ricorso incidentale a quello principale, in quanto aventi ad oggetto l’impugnazione della medesima sentenza.

2. – Con il primo motivo del ricorso principale. l’Impresa Vecchi &

Romagnoli denuncia la violazione dell’art. 112 c.p.c., nonchè l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo, sostenendo che la Corte d’Appello ha omesso di pronunciare in ordine in ordine all’impugnazione incidentale, con cui essa ricorrente aveva fatto valere la nullità delle statuizioni adottate dal collegio arbitrale relativamente alle riserve respinte o accolte parzialmente.

2.1. – Il motivo è infondato.

Nella sentenza non definitiva, la Corte territoriale, dopo aver rilevato che con l’impugnazione incidentale la Società ricorrente aveva lamentato il rigetto o l’accoglimento parziale delle domande di cui alle riserve nn. 3-12 da essa avanzate e l’omessa pronuncia in ordine alle domande di cui alle riserve nn. 14-18. ha osservato che, latta eccezione per quelle volte a far valere l’errata dichiarazione d’incompetenza del collegio arbitrale, esaminate in altra parte della motivazione, le doglianze sollevate dalle parti (ivi comprese, evidentemente, quelle proposte dalla ricorrente) non distinguevano tra rilievi attinenti al merito, che potevano essere esaminate solo in caso di giudizio rescissorio, e rilievi incidenti sulla fase rescindente. Ha comunque ritenuto che l’unica censura della ricorrente idonea a determinare la nullità del lodo fosse la seconda, che ha accolto parzialmente, osservando che il collegio arbitrale aveva omesso di decidere in ordine alle riserve nn. 14. 16, 17 e 18 ed aveva pronunciato in ordine alla riserva n. 15. mentre la riserva nn. 16-bis era stata tardivamente formulata. Essa, pertanto, non ha affatto omesso di esaminare la prima censura. ma l’ha rigettata, ritenendola non idonea a giustificare la dichiarazione di nullità del lodo, in quanto non riflettente un vizio riconducibile alle fattispecie previste dall’art. 829 c.p.c., ma riguardante il merito della controversia sottoposta all’esame de collegio arbitrale.

Tale affermazione appare perfettamente rispondente alle caratteristiche dell’impugnazione per nullità del lodo arbitrale, la quale, indipendentemente dalla natura giuridica che si ritenga di attribuirle, è strutturata in due fasi, la prima rescindente, finalizzata all’accertamento di eventuali nullità del lodo e destinata a concludersi con l’annullamento dello stesso, la seconda rescissoria, che fa seguito all’annullamento e nel corso della quale il giudice ordinario procede alla ricostruzione del fatto sulla base delle prove dedotte; nella prima fase non è consentito alla corte d’appello procedere ad indagini di fatto, dovendo essa limitarsi all’accertamento delle eventuali nullità in cui siano incorsi gli arbitri, pronunciabili soltanto per determinati errori in procedendo, nonchè per inosservanza delle regole di diritto nei limiti previsti dall’art. 829 cit.; solo in sede rescissoria al giudice dell’impugnazione è attribuita la facoltà di riesame del merito delle domande, nei limiti segnati dal peutitm e dalla causa petendi dedotti dinanzi agli arbitri, oltre che dalla dichiarazione di nullità del lodo (cfr. Cass., Sez. 1^, 8 ottobre 2010, n. 20880; 10 agosto 2007, n. 17630; 20 settembre 2000. n. 12430).

La correttezza della decisione adottata dalla Corte territoriale è comprovata peraltro dalla riproduzione del ricorso per cassazione dei motivi dedotti a sostegno dell’impugnazione per nullità, nessuno dei quali riflette vizi riconducigli all’art. 829 c.p.c., trattandosi di critiche rivolte alla ricostruzione dei fatti emergente dal lodo arbitrale, che attengono quindi alla fondatezza delle domande proposte nel relativo procedimento.

3. – K’ parimenti infondato il secondo motivo, con cui la ricorrente deduce l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine a punti decisivi della controversia, sostenendo che, nella parte in cui ha rigettato la domanda di cui alla riserva n. 17, la sentenza definitiva è incorsa in un palese travisamento dei documenti acquisiti agli atti, dai quali non risultava affatto che essa ricorrente avesse confermato quanto dichiarato dal direttore dei lavori in ordine all’assenza dell’Impresa da cantiere.

3.1. – Nella sentenza non definitiva, è stato infatti accertato che, pochi giorni prima della scadenza del termine per l’ultimazione dei lavori, fissato per il 7 agosto 1990, la società ricorrente, alla quale il direttore dei lavori aveva intimato di completarli mediante l’asfaltatura della strada, aveva rifiutato di provvedervi, accampando il diritto ad un maggior corrispettivo, ed aveva addirittura abbandonato il cantiere, inducendo il Comune a promuovere la procedura di cui alla L. n. 2248 del 1865, art. 341, all. F. Con la sentenza non definitiva, la Corte d’Appello ha poi rilevato che la mancata ultimazione dei lavori, segnalata dal direttore dei lavori in data 13 luglio 1991, trovava conferma in una lettera del 12 luglio 1990. con cui la società aveva riconosciuto di non aver provveduto all’asfaltatura, spiegandone le ragioni, e, tenuto conto che dalla documentazione acquisita risultava il successivo intervento di un’altra impresa, ne ha desunto che l’asfaltatura era stata eseguita da quest’ultima, rigettando pertanto la domanda di cui alla riserva n. 17. avente ad oggetto il relativo corrispettivo.

La coerenza logica di tale iter argomentativo non è in alcun modo scalfita dall’affermazione della ricorrente, secondo cui dalla predetta documentazione non emergerebbe in alcun modo l’avvenuto abbandono del cantiere, non essendo stato contestato che l’intervento della nuova impresa abbia avuto luogo in epoca successiva alla segnalazione del direttore dei lavori, alla data della quale è pacifico che l’asfaltatura non era stata ancora eseguita. Nè risulta dedotta l’avvenuta produzione di ulteriori documenti, non considerati dalla Corte territoriale, comprovanti l’avvenuto completamento dei lavori ad opera della ricorrente in data successiva alla medesima segnalazione, avendo l’Impresa contestato esclusivamente le ragioni della mancata ultimazione.

4. – E’ invece in parte inammissibile, in parte infondato il terzo motivo, con cui la ricorrente lamenta l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine a punti decisivi della controversia, nonchè l’erronea e falsa applicazione della L. n. 2248 del 1865, art. 341, all. F, censurando la sentenza non definitiva nella parte in cui ha ritenuto legittima la diffida intimata dal Comune, senza tener conto della situazione di stallo determinata dalla genericità dell’ordine di servizio impartito dal direttore dei lavori e dalla prolungata inerzia dell’Amministrazione, che escludevano l’inadempimento di essa ricorrente, nè dell’intervenuta scadenza del termine per l’ultimazione dei lavori, che escludeva la sussistenza del pericolo per la tempestiva realizzazione dell’opera, e del ritardo con cui essa ricorrente era stata posta in grado di dar corso ai lavori.

4.1. – La Corte d’Appello ha infatti ritenuto legittimo il ricorso alla procedura di cui all’art. 341 cit. in virtù dell’accertalo rifiuto della società ricorrente di provvedere all’ultimazione dell’opera, intimatale dal direttore dei lavori, ravvisandovi un comportamento inadempiente dell’appaltatrice. non giustificalo dalla pretesa al rimborso dei maggiori costi inerenti alla realizzazione della massicciata, dovendo la stessa essere fatta valere mediante l’iscrizione di apposita riserva da sciogliere nelle opportune sedi, senza interruzione dei lavori. Al riguardo, essa ha altresì escluso l’inadeguatezza dell’ordine di servizio impartito dal direttore dei lavori, la cui correttezza sotto il profilo tecnico era stata confermata nel giudizio arbitrale, nonchè la rilevanza del lungo intervallo di tempo trascorso tra l’abbandono del cantiere e l’avvio della procedura, osservando che la società ricorrente, oltre a non essersene avvalsa per completare i lavori, si era sottratta all’adempimento anche a seguito della diffida intimatale dall’Amministrazione.

A fronte di tale ragionamento, correttamente impostato sotto il profilo logico ed immune da vizi giuridici, la ricorrente ribadisce in questa sede le censure mosse all’ordine di servizio, mediante argomentazioni di carattere tecnico che. in quanto volte a sollecitare una revisione del giudizio espresso dalla Corte territoriale, appaiono estranee all’ambito del giudizio di legittimità, non spettando a questa Corte il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico – formale e della correttezza giuridica, la valutazione compiuta dal giudice di merito, al quale soltanto competono l’individuazione delle fonti del proprio convincimento e. a tale scopo, la valutazione delle prove, il controllo dell’attendibilità e della concludenza delle stesse, e la scelta, tra le risultanze probatorie, di quelle ritenute idonee a dimostrare i l’atti in discussione (cfr. Cass. Sez. lav.. 18 marzo 2011 n. 6288;

23 dicembre 2009. n. 27162; 11 luglio 2007. n. 15489).

4.2. – Quanto all’incidenza dell’avvenuto decorso del termine per l’ultimazione dei lavori, si osserva che la funzione di assicurare il compimento dell’opera entro la data prevista dal contratto, specificamente attribuita dall’art. 341 cit. all’esecuzione d’ufficio, non comporta l’illegittimità della stessa ove sia promossa dopo la scadenza del termine, in tal senso deponendo la facoltà, che l’art. 340, comma 2, della medesima legge riconosce all’Amministrazione, di avvalersi procedimento in esame anche a seguito della rescissione del contratto, la quale può essere disposta in ogni caso di frode o grave negligenza dell’appaltatore, o quando quest’ultimo contravvenga agli obblighi ed alle condizioni stipulate. Il carattere alternativo dell’esecuzione d’ufficio rispetto alla rescissione è del resto confermato dal R.D. 25 maggio 1895, n. 350, art. 27, recante il regolamento per la direzione, la contabilità e a collaudazione dei lavori di competenza del Ministero per i lavori pubblici, il quale riconosce all’Amministrazione committente la facoltà di procedere indifferentemente all’una o all’altra in ogni caso in cui. per negligenza grave oppure per contravvenzione agli obblighi ed alle condizioni stipulate, l’appaltatore comprometta la buona riuscita dell’opera.

5. – Con il quarto ed ultimo motivo, la ricorrente denuncia infine la violazione della L. 10 dicembre 1981, n. 741, art. 4, censurando la sentenza definitiva nella parte in cui ha disposto la decorrenza degli interessi dalla domanda, anzichè dalla maturazione dei crediti, senza considerare che l’art. 4 cit. esclude a lai fine la necessità di apposite domande o riserve.

5.1. – La censura si riferisce agl’interessi sulle somme riconosciute in accoglimento delle domande di cui alle riserve nn. 14, 16 e 18, prese in esame nella sentenza definitiva, le quali, come riconosce la stessa ricorrente, hanno ad oggetto crediti diversi, aventi natura in parte risarcitoria. in parte corrispettiva, e rispetto ai quali sono pertanto ipotizzabili date diverse di decorrenza dei relativi interessi; la ricorrente ha peraltro omesso di specificare nel ricorso i tatti, non considerati nella sentenza impugnata, che, determinando la maturazione di ciascun credito, avrebbero giustificato il riconoscimento degl’interessi da una data diversa da quella indicata dalla Corte territoriale, limitandosi a fare riferimento per la prima categoria di crediti alla costituzione in mora, e per la seconda alla maturazione dei crediti, con la conseguente inammissibilità del motivo, per difetto di autosufficienza.

6. – Con il primo motivo del ricorso incidentale, il Comune deduce la violazione e la falsa applicazione del D.P.R. n. 1063 del 1962, artt. 44 e 46, nonchè l’erronea motivazione su punti decisivi della controversia, censurando la sentenza non definitiva nella parte in cui ha rigettato l’eccezione di improponibilità ed improcedibilità della domanda di arbitralo, in quanto proposta nonostante la mancata approvazione del collaudo e prima che l’Amministrazione si pronunciasse in via amministrativa, senza che alcun ritardo le fosse addebitabile in proposito.

6.1. – Il motivo non può essere accolto, in quanto la decisione appare conforme al diritto, sebbene debba procedersi alla correzione della motivazione, ai sensi dell’art. 384 c.c., comma 2, non risultando condivisibili le ragioni addotte a sostegno del rigetto dell’eccezione.

La Corte d’Appello ha infatti richiamato il principio, risultante dalla sentenza emessa da questa Corte il 3 dicembre 1993. n. 12014, secondo cui il D.P.R. n. 1063 del 1962, art. 44, che subordina all’approvazione del collaudo l’instaurazione delle controversie relative all’esecuzione del contratto, non trova applicazione nel caso in cui la Pubblica Amministrazione abbia fatto decorrere per il compimento del collaudo un tempo così lungo da rendere l’inerzia equivalente ad un rifiuto, potendo l’appaltatore, in tale ipotesi, far valere direttamente i suoi diritti in sede giudiziale o arbitrale, senza dover previamente costituire in mora l’Amministrazione o assegnarle un termine, e tanto meno attivare il procedimento di cui all’art. 1183 c.c., (cfr. al riguardo anche Cass. Sez. Un.. 28 ottobre 1995, n. 11312; Cass. Sez. 1^, 23 novembre 1992, n. 12513).

Tale principio, la cui applicazione presuppone la dimostrazione da parte dell’appaltatore del colpevole ritardo dell’Amministrazione nell’effettuazione del collaudo, è stato peraltro enunciato in riferimento a fattispecie in cui, per ragioni di tempo o anche di luogo, non era applicabile la L. n. 741 del 1981, art. 5, il quale, nel disporre che la collaudazione dei lavori pubblici dev’essere conclusa entro sei mesi dalla data di ultimazione, prevede che.

trascorsi due mesi dalla scadenza del predetto termine senza che sia stato approvato il certificato di collaudo (o il certiticato di regolare esecuzione, che per i lavori di importo sino a Lire 150.000.000 sostituisce il certificato di collaudo e dev’essere emesso entro tre mesi dall’ultimazione), aggiungendo che, ove il ritardo non dipenda da fatto imputabile all’impresa, quest’ultima può senz’altro promuovere il giudizio ordinano o arbitrale. Nella specie, l’avvenuta stipulazione del contratto di appalto in epoca successiva all’entrata in vigore della disposizione in esame ne comporta invece l’applicabilità, con la conseguenza che, essendo pacifica tra le parti l’avvenuta scadenza dei termini da essa previsti, la società ricorrente doveva considerarsi dispensata dalla prova dell’imputabilità del ritardo all’Amministrazione, incombendo a quest’ultima l’onere di dimostrare che la mancata approvazione del collaudo era stata determinata dalla condotta dell’impresa (cfr.

Cass. Sez. Un.. 18 dicembre 2008, n. 29530: Cass., Sez. 1^. 16 novembre 2007, n. 23746).

6.2. – La necessità di una previa pronuncia in via amministrativa era invece esclusa dalla natura della controversia in esame, la quale, avendo ad oggetto la legittimità dell’esecuzione d’ufficio e l’accertamento dei crediti reciprocamente vantati dalle parti in relazione ai rispettivi inadempimenti, esula dall’ambito applicativo della disciplina dettata dal D.P.R. n. 1063 cit., artt. 46 e 47, la quale si riferisce esclusivamente alle controversie di cui al precedente art. 42, ovverosia alle contestazioni insorte tra il direttore dei lavori e l’appaltatore a seguito delle domande o delle riserve formulate dall’impresa in corso d’opera, con iscrizione nei documenti contabili, in calce ai quali il direttore dei lavori è tenuto ad esporre le sue controdeduzioni (cfr. Cass. Sez. 1^, 16 aprile 2002, n. 5468; Cass. Sez. Un. 5 aprile 2005, n. 6992; 27 aprile 2005, n. 8701).

7. – Con il secondo motivo, il ricorrente incidentale lamenta la violazione e la falsa applicazione dei principi di diritto in tema di appalto pubblico e dell’art. 112 c.p.c., nonchè l’erronea ed insufficiente motivazione su punti decisivi della controversia, sostenendo che la Corte d’Appello ha omesso di motivare in ordine all’accoglimento della domanda di cui alla lettera d). riguardante il costo dei lavori in danno dell’impresa, ed alle domande di cui alle riserve n. 16, riguardante il costo della fideiussione, e n. 18. Essa ha inoltre accolto le domande di cui alle riserve nn. 4, 5 e 13, benchè le stesse non fossero state formulate tempestivamente, la c.t.u. relativa a quella n. 4 fosse basata su metodi d’indagine non condivisibili e contraddetta dalla prova testimoniale, e quelle nn. 5 e 13 si riferissero a lavori non autorizzati. Nell’accogliere la domanda di cui alla riserva n. 14, avente ad oggetto gli oneri sostenuti per calcestruzzo impiegato oltre le previsioni contrattuali, la Corte ha erroneamente postulato il riconoscimento implicito dell’utilità da parte dell’Amministrazione, oltre ad aver pronunciato ultra petita. Nella determinazione della penale, infine, essa non ha consideralo che il giudice amministrativo aveva confermato la legittimità della condotta dell’Amministrazione.

7.1. – Le censure sono in parte inammissibili, in parte infondate.

1,a liquidazione dei crediti vantati dal Comune per la penale prevista dal contratto e per il costo dell’esecuzione d’ufficio dei lavori, nonchè il riconoscimento parziale del credito vantato dall’impresa per il costo della fideiussione sono stati infatti giustificali dalla Corte d’Appello come soluzione equitativa rispondente all’esigenza di tener conto del difetto di diligenza dell’Amministrazione, la quale aveva contribuito con la sua condotta al ritardo nell’ultimazione dei lavori, astenendosi dal promuoverne tempestivamente l’esecuzione d’ufficio, nonostante l’abbandono del cantiere da parte dell’impresa.

Nel contestare tale motivazione, il controricorrente si limita a sottolineare la condotta inadempiente dell’appaltatrice ed a ribadire la legittimità dell’esecuzione d’ufficio, non messe in discussione dalla Corte d’Appello, omettendo però d’individuare carenze o lacune nelle argomentazioni svolte dalla stessa, ovvero di dimostrarne l’illogicità, consistente nell’attribuzione di un significato fuori dal senso comune agli elementi di giudizio considerati, o ancora di evidenziarne l’incoerenza, la cui specificazione risulta indispensabile ai fini della deduzione del vizio di motivazione di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, non essendo consentito di censurare attraverso la stessa la complessiva valutazione delle risultanze processuali emergente dalla sentenza impugnata (cfr. Cass. Sez. lav., 23 maggio 2007, n. 12052; 20 aprile 2006. n. 9233; Cass., Sez. 1, 7 marzo 2007. n. 5274).

7.2. – Non può invece trovare ingresso in questa sede la questione relativa alla tardiva formulazione delle riserve, non risultando che la stessa sia stata sollevata nel giudizio di merito, e dovendosi escludere che la decadenza fosse rilevabile d’ufficio ad opera della Corte d’Appello. L’onere di tempestiva iscrizione delle riserve nel registro di contabilità, quale adempimento imposto dalle specifiche prescrizioni che disciplinano la materia, opera infatti nel senso che, in caso d’inosservanza, l’esercizio del diritto a maggiori compensi e precluso solo se l’Amministrazione committente abbia eccepito l’omissione o la tardi vita dell’iscrizione, in quanto, avuto riguardo al carattere disponibile dei diritti patrimoniali cui si riferisce l’art. 54 del regio decreto n. 350 del 1895. la mancata proposizione di tale eccezione può considerarsi equivalente ad una rinuncia a far valere la decadenza (cfr. Cass. Sez. 1^, 7 febbraio 2006. n. 2600: 14 marzo 2003. n. 3824; 3 novembre 2000. n. 14631).

7.3. – Inammissibile, in quanto implica un accertamento di fatto non consentito in questa sede, è anche la questione riguardante la mancata autorizzazione dei lavori ai quali si riferiscono alcune delle riserve, non risultando che la stessa sia stata prospettata nel giudizio di merito (cfr. Cass. Sez. 1. 23 gennaio 2007, n. 1474;

Cass. Sez. lav. 15 marzo 2006, n. 5620; Cass. Sez. 3^, 12 luglio 2005, n. 14599).

7.4. – Quanto alla liquidazione dei crediti relativi ai lavori effettuati dall’Impresa, la Corte d’Appello si è limitata a richiamare la relazione del c.t.u. dichiarando di condividerne le argomentazioni, non specificamente contestate dal Comune. Tale motivazione deve ritenersi sufficiente, non essendo il giudice di merito tenuto ad esporre in modo puntuale le ragioni della propria adesione alle conclusioni del c.t.u., in mancanza di specifiche contestazioni, ma potendo limitarsi ad un mero richiamo delle stesse, il quale pone a carico della parte, in sede d’impugnazione della sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, l’onere di riportare i passi salienti della relazione di consulenza e di indicare specificamente le critiche mosse alla stessa nel giudizio di merito e non esaminate dal giudice, onde consentire a questa Corte di verificarne la rilevanza ai fini della decisione (cfr. Cass. Sez. 1^, 4 maggio 2009. n. 10222; Cass. Sez. 3^, 6 settembre 2007. n. 18688).

Tale onere nella specie non può ritenersi adempiuto, in quanto la ricorrente non ha provveduto a riportare nel ricorso le parti rilevanti della relazione, ma si è limitata a contestare genericamente i metodi d’indagine seguiti dal c.t.u. ed a contrapporvi le deposizioni rese dai testimoni, in tal modo prospettando un sindacato di merito non consentito in sede di legittimità.

7.5. – Inammissibile è infine la denuncia di ultrapetizione formulata con riferimento alla pronuncia sulla riserva n. 14, non avendo la ricorrente censurato la sentenza non definitiva, nella parte in cui ha escluso la sussistenza di tale vizio in riferimento al lodo arbitrale, negando che gli arbitri avessero ravvisato nella specie un’ipotesi di indebito arricchimento, e non risultando dalla motivazione della sentenza definitiva che la pretesa avanzata con la riserva in questione sia stata accolta al predetto titolo.

8. – I ricorsi vanno pertanto rigettati, e la soccombenza reciproca giustifica la dichiarazione d’integrale compensazione delle spese processuali tra le parti.

P.Q.M.

La Corte, riunito il ricorso incidentale al ricorso principale, rigetta entrambi i ricorsi e dichiara interamente compensate tra le parti le spese processuali.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Prima Civile, il 11 aprile 2011.

Depositato in Cancelleria il 29 luglio 2011

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