Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1674 del 24/01/2020

Cassazione civile sez. VI, 24/01/2020, (ud. 25/09/2019, dep. 24/01/2020), n.1674

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – rel. Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15357-2018 proposto da:

B.F., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA TACITO

23, presso lo studio dell’avvocato CINZIA DE MICHELI, rappresentata

e difesa dagli avvocati FILIPPO BIOLE’, ENZA DEDALI;

– ricorrente –

contro

R.F.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 459/2017 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

depositata il 16/11/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 25/09/2019 dal Consigliere Relatore Dott. CARLA

PONTERIO.

Fatto

RILEVATO

che:

1. con sentenza n. 459 pubblicata il 16 novembre 2017 la Corte d’Appello di Genova, in riforma della pronuncia di primo grado, ha accolto parzialmente la domanda proposta da B.F. nei confronti di R.P. per il pagamento di differenze retributive maturate nel corso del rapporto di lavoro domestico intercorso tra le parti, limitatamente al periodo dall’agosto 2009 al 13 maggio 2010;

2. la Corte territoriale ha rilevato che dalle prove testimoniali era emersa la decorrenza del rapporto di lavoro della B., con le mansioni di collaboratrice domestica, dalla seconda metà del 2007; ha affermato che di tale rapporto doveva considerarsi titolare la convivente del R., signora D.V.M., mentre soltanto dall’agosto 2009, allorquando la convivenza con la D.V. era terminata, il rapporto si era svolto alle dipendenze del R., come dal medesimo ammesso;

3. la prospettazione della lavoratrice, secondo cui avrebbero dovuto trovare applicazione le norme in materia di cessione del contratto o di cessione di azienda, è stata disattesa dai giudici d’appello: mancava del tutto la prova che nella fattispecie vi fosse stata una cessione del contratto ai sensi dell’art. 1406 c.c., (in particolare del fatto che la lavoratrice avesse prestato il proprio consenso alla cessione del contratto) ed era inapplicabile la disciplina in materia di cessione di azienda di cui all’art. 2112 c.c., per mancanza in capo ai datori di lavoro della qualità di imprenditori;

4. avverso la sentenza ha proposto ricorso B.F., articolato in un unico motivo e illustrato da successiva memoria, cui l’intimato non ha opposto difese;

5. la proposta del relatore è stata comunicata alla parte, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che:

6. con l’unico motivo di ricorso la B. ha dedotto, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, violazione e falsa applicazione dell’art. 1460 c.c., (rectius: art. 1406);

7. ha argomentato come fosse impossibile pretendere da un lavoratore “in nero” la formalizzazione del consenso alla cessione del contratto di lavoro, dovendosi tale consenso desumersi dallo svolgimento dei fatti: ella aveva continuato a lavorare nello stesso luogo, con le stesse mansioni, con gli stessi orari e con la medesima retribuzione, circostanza riferita da tutti i testi;

8. la Corte territoriale non aveva neppure considerato il dato della mancata percezione del TFR quando la signora D.V. si era allontanata dall’abitazione; il fatto provava il consenso alla cessione giacchè, diversamente, ella avrebbe agito nei confronti della predetta per il pagamento della quota di TFR;

9. in via preliminare rispetto all’esame della censura ritiene questo Collegio di dover dichiarare l’inammissibilità del ricorso;

10. il ricorso in esame è stato redatto in forma cartacea e notificato per via telematica; la ricorrente, non essendo stato esteso al giudizio di cassazione il processo telematico, ha depositato nella Cancelleria di questa Corte una copia analogica (cartacea) della notifica telematica;

11. la fattispecie è disciplinata dalla L. 21 gennaio 1994, n. 53, art. 9, comma 1 ter, (comma introdotto con il D.L. 24 giugno 2014, n. 90, convertito con modificazioni dalla L. 11 agosto 2014, n. 114, a tenore del quale: “In tutti i casi in cui l’avvocato debba fornire prova della notificazione e non sia possibile fornirla con modalità telematiche, procede ai sensi del comma 1-bis”; a sua volta il comma 1 bis, (introdotto con L. 24 dicembre 2012, n. 228 art. 1, comma 19, n. 2), recita: “Qualora non si possa procedere al deposito con modalità telematiche dell’atto notificato a norma dell’art. 3-bis, l’avvocato estrae copia su supporto analogico del messaggio di posta elettronica certificata, dei suoi allegati e della ricevuta di accettazione e di avvenuta consegna e ne attesta la conformità ai documenti informatici da cui sono tratte ai sensi del D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82, art. 23, comma 1”. Da ultimo il richiamato D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82, art. 23, comma 1, Codice della Amministrazione Digitale (nella formulazione vigente dal 25.1.2011 in forza del D.Lgs. 30 dicembre 2010, n. 235, art. 16 comma 1), dispone: “Le copie su supporto analogico di documento informatico, anche sottoscritto con firma elettronica avanzata, qualificata o digitale, hanno la stessa efficacia probatoria dell’originale da cui sono tratte se la loro conformità all’originale in tutte le sue componenti è attestata da un pubblico ufficiale a ciò autorizzato”. E’ lo stesso avvocato ad avere al riguardo la qualità di pubblico ufficiale, per quanto previsto dalla richiamata L. n. 53 del 1994, art. 6, (nel testo aggiornato dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 19, n. 2), secondo cui l’avvocato o il procuratore legale quando compila le attestazioni di cui all’art. 9, è considerato pubblico ufficiale ad ogni effetto;

12. in base alle disposizioni finora richiamate può dunque affermarsi che la L. n. 53 del 1994, art. 9, comma 1 ter, prevede che la prova documentale della notifica telematica sia vincolata alla attestazione, effettuata dal difensore, della conformità della copia cartacea prodotta all’atto originale; con la conseguenza che ove tale attestazione di conformità manchi non è raggiunta la prova della avvenuta notifica telematica (cfr. Cass., S.U. n. 10266 del 2018; Ord. 6, n. 16496 del 2018; n. 19078 del 2018);

13. nella fattispecie di causa manca la suddetta attestazione di conformità; inoltre, considerato che la parte destinataria della notifica è rimasta intimata, neppure viene in rilievo la questione della applicabilità ai fini della prova della notifica del D.Lgs. n. 82 del 2005, art. 23, comma 2, in base al quale: “Le copie e gli estratti su supporto analogico del documento informatico, conformi alle vigenti regole tecniche, hanno la stessa efficacia probatoria dell’originale se la loro conformità non è espressamente disconosciuta…”;

14. per le considerazioni svolte, deve dichiararsi la inammissibilità del ricorso per mancata prova della relativa notifica;

15. non vi è luogo a provvedere sulle spese atteso che la parte intimata non ha svolto difese;

16. sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 25 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 24 gennaio 2020

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