Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16738 del 29/07/2011

Cassazione civile sez. I, 29/07/2011, (ud. 05/04/2011, dep. 29/07/2011), n.16738

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PROTO Cesare Antonio – Presidente –

Dott. CULTRERA Maria Rosaria – Consigliere –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

C.P. e M.S., in proprio e nella qualità di

soci della HOLY MEDICAL DI CAVANI PATRIZIA & C. S.N.C.,

elettivamente

domiciliati in Roma, alla via Cicerone n. 28, presso l’avv. GUIDO

ORLANDO, dal quale sono rappresentati e difesi in virtù di procura

speciale a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

FALLIMENTO DELLA HOLY MEDICAL DI CAVANI PATRIZIA & C. S.N.C. E

DEI

SOCI C.P. E M.S., in persona del curatore

p.t. Dott. Ci.Al.;

– intimato –

ITACA S.R.L.;

– intimata –

avverso il decreto della Corte di Appello di Bologna depositato il 16

giugno 2009;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 5

aprile 2011 dal Consigliere Dott. Guido Mercolino;

udito l’avv. Orlando per i ricorrenti;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. RUSSO Libertino Alberto, il quale si è riportato alle

conclusioni scritte.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. – Nel fallimento della Holy Medical di Cavani Patrizia & C. S.n.c. e dei soci C.P. e M.S., la Corte d’Appello di Bologna, con decreto del 16 giugno 2009, ha rigettato il reclamo proposto dai falliti avverso il decreto emesso il 19 gennaio 2009, con cui il Tribunale di Modena aveva omologato la proposta di concordato fallimentare con assunzione avanzata dalla Itaca S.r.l.

Premesso che la L. Fall., art. 124, nella parte in cui estende a soggetti diversi dal debitore la legittimazione ad avanzare la proposta di concordato, non si pone in contrasto con i principi posti dalla Legge Delega 14 maggio 2005, n. 80, in quanto mira a favorire la presentazione di una pluralità di offerte, al fine di accelerare lo svolgimento della procedura, la Corte territoriale ha escluso l’illegittimità della clausola del concordato che limitava la responsabilità dell’assuntore ai soli crediti già ammessi al passivo, osservando che la validità della proposta non è subordinata alla liberazione del debitore, nei confronti del quale il concordato spiega comunque effetti positivi, consentendogli di avvalersi dell’esdebitazione.

Quanto alla valutazione dell’attivo, la Corte, tenuto conto delle oscillazioni del mercato e del carattere prudenziale della stima, nonchè dell’assenza di rilievi da parte dei creditori, ha ritenuto congruo il valore di un compendio immobiliare sito in (OMISSIS) risultante dalla relazione allegata alla proposta; ha escluso la necessità della perizia giurata di cui alla L. Fall., art. 124, comma 3, in relazione alla prevista soddisfazione parziale di un credito ipotecario, ritenendo inapplicabile ratione temporis la disciplina introdotta dal D.Lgs. 12 settembre 2007, n. 169; ha dato inoltre atto, con riferimento alle attività della C., dell’intervenuta correzione di un errore materiale commesso nella loro indicazione, nonchè dell’illustrazione da parte del curatore delle ragioni che rendevano il concordato preferibile alla liquidazione sotto il profilo della certezza del realizzo, dei tempi e della percentuale di soddisfazione dei crediti.

La Corte d’Appello ha infine ritenuto congrua la fideiussione bancaria a prima richiesta di Euro 100.000,00 offerta dall’assuntore, in quanto rilasciata a garanzia della serietà dell’offerta e per il caso d’inadempimento del concordato, es-sendo il trasferimento dei beni subordinato all’adempimento.

2. – Avverso il predetto decreto i falliti propongono ricorso per cassazione, articolato in ventisei motivi. Gl’intimati non hanno svolto attività difensiva.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo d’impugnazione, i ricorrenti denunciano la nullità del decreto impugnato, per violazione degli artt. 132 e 161 c.p.c., e dell’art. 119 disp. att. c.p.c., sostenendo che il provvedimento, in quanto avente carattere decisorio, avrebbe dovuto essere firmato non solo dal presidente del collegio, ma anche dal giudice relatore.

1.1. – Il motivo è infondato.

L’art. 131, undicesimo comma, del R.D. 14 marzo 1942, n. 267, come sostituito dal D.Lgs. n. 169 del 2007, art. 9, prevede infatti che sul reclamo proposto avverso il decreto di omologazione del concordato emesso dal tribunale la corte d’appello provvede con decreto motivato, il quale, ai sensi dell’art. 135 c.p.c., comma 4, dev’essere sottoscritto dal solo presidente del collegio. La mancanza della sottoscrizione del relatore non comporta pertanto la nullità del decreto, non assumendo alcun rilievo, a tal fine, il contenuto decisorio di tale provvedimento, che lo rende assimilabile ad una sentenza, in quanto la sua conformità al tipo legalmente prescritto esclude l’operatività del principio di prevalenza della sostanza sulla forma, applicabile esclusivamente a fronte dell’adozione di una forma diversa da quella prevista, che si traduca nel difetto dei requisiti essenziali del tipo legale correttamente adottabile (cfr.

ex plurimis, Cass., Sez. 1^, 29 gennaio 2010, n. 2134; 30 dicembre 2009, n. 27719; 10 febbraio 2006, n. 2969).

2. – Con il secondo motivo, i ricorrenti deducono la violazione dell’art. 174 c.p.c., e dell’art. 79 disp. att. c.p.c., osservando che all’udienza di discussione il giudice relatore è stato sostituito con altro magistrato, già facente parte del collegio che aveva dichiarato il fallimento della Holy Medical nonchè giudice delegato del medesimo fallimento, senza peraltro che di tale sostituzione fosse data preventiva comunicazione, al fine di consentire alle parti di sollevare tempestivamente l’eccezione di cui all’art. 52 c.p.c..

3. – Con il terzo motivo, i ricorrenti eccepiscono l’illegittimità costituzionale dell’art. 79 disp. att. c.p.c., in riferimento agli artt. 3, 24 e 25 Cost., nella parte in cui non prevede l’obbligo di comunicazione del decreto che dispone la sostituzione del giudice relatore.

4. – Le due censure, da esaminarsi congiuntamente in quanto attinenti alla comune problematica della sostituzione del relatore, sono in parte inammissibili, in parte infondate.

Con riguardo al rito ordinario di appello, questa Corte ha più volte affermato che il principio di immutabilità del collegio trova applicazione, anche nel caso in cui la trattazione della causa si svolga in più udienze, soltanto una volta che abbia avuto inizio la fase di discussione, in quanto solo da questo momento opera il principio che vieta la deliberazione della sentenza da parte di un collegio composto diversamente da quello che ha assistito alla discussione (cfr. Cass., Sez. 1^, 20 dicembre 2007, n. 26820;

analogamente, in riferimento al rito del lavoro, Cass., Sez. lav., 30 novembre 2009, n. 25229; 13 settembre 2003, n. 13467). Tale principio è stato ritenuto applicabile anche ai procedimenti in camera di consiglio (tra i quali va annoverato quello di cui alla L. Fall., art. 131), in cui, mancando una fase istruttoria, non viene nominato un giudice istruttore, ma solo un relatore, con la conseguenza che non è vietata la sostituzione di uno o più componenti del collegio prima che abbia inizio la discussione, anche quando quest’ultima si svolga in un’udienza diversa da quelle destinate alla raccolta degli elementi da valutare ai fini della decisione (cfr. Cass., Sez. 1^, 29 novembre 2000, n. 15298; 17 gennaio 1998, n. 361).

La circostanza che il provvedimento sia stato adottato in udienza, in presenza delle parti, escludendo la necessità della comunicazione, rende poi irrilevante la questione di legittimità costituzionale sollevata dai ricorrenti, il cui diritto di difesa, in riferimento alla prospettata situazione d’incompatibilità del relatore, era garantito dalla possibilità, espressamente prevista dall’art. 52 cit., comma 2, di proporre istanza di ricusazione nella medesima udienza, prima che avesse inizio la discussione (cfr. con specifico riferimento alla posizione del giudice de-legato, Cass., Sez. 1^, 10 settembre 2003, n. 13212). Com’è noto, il tempestivo esercizio di tale facoltà costituisce un onere per la parte che intenda far valere l’inottemperanza all’obbligo di astensione, il cui inadempimento, fatta eccezione per l’ipotesi in cui il giudice abbia un interesse proprio e diretto nella causa, preclude la possibilità di dedurre la situazione d’incompatibilità in sede d’impugnazione, come motivo di nullità della decisione (cfr. tra le più recenti, Cass., Sez. 3^, 12 novembre 2009, n. 23930; 27 maggio 2009, n. 12263;

Cass., Sez. 1^, 12 gennaio 2007, n. 565).

5. – Con il quarto motivo, i ricorrenti ripropongono la questione di legittimità costituzionale della L. Fall., art. 124, in riferimento all’art. 76 Cost., sostenendo che la predetta disposizione, nella parte in cui estende ai terzi la legittimazione ad avanzare la proposta di concordato, introduce una facoltà non prevista dalla Legge di delega 14 maggio 2005, n. 80, art. 1, comma 6, n. 12, e svincolata dai limiti temporali imposti al fallito.

6. – Con il quinto motivo, i ricorrenti eccepiscono l’illegittimità costituzionale della L. Fall., art. 124, anche in riferimento agli artt. 2 e 3 Cost., e art. 42 Cost., comma 3, osservando che tale disposizione consente il trasferimento dei beni del fallito al terzo in forza di un accordo privato con i creditori che può prevedere anche la limitazione della responsabilità del terzo ai crediti già insinuati al passivo al momento della presentazione della proposta, in tal modo ammettendo un’espropriazione degli altri crediti senza indennizzo.

7. – Con il sesto motivo, i ricorrenti denunciano la violazione e la falsa applicazione della L. Fall., art. 129, e degli artt. 1175, 1375, 1418 e 2740 c.c., rilevando che la Corte d’Appello si è limitata a verificare la legittimità formale del concordato, omettendo di valutare la correttezza dei pareri espressi dagli organi della procedura e la loro vincolatività, nonchè la correttezza delle modalità di esercizio della funzione negoziale, la ragionevolezza economica del concordato e l’osservanza degli obblighi di buona fede, alla stregua dei quali avrebbe dovuto escludere la legittimità della clausola che, limitando la responsabilità dell’assuntore, privilegiava la soddisfazione dei crediti chirografari a scapito di quelli assistiti da cause di prelazione non ancora ammessi al passivo, in tal modo pregiudicando gli stessi interessi dei falliti.

8. – Con il settimo motivo, i ricorrenti lamentano l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, sostenendo che la prevalenza riconosciuta dal decreto impugnato agl’interessi dei creditori avrebbe dovuto imporre anche la valutazione degl’interessi di quelli pretermessi dalla proposta concordataria.

9. – Con l’ottavo motivo, i ricorrenti deducono l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, osservando che la proposta concordataria è stata ritenuta vantaggiosa per i falliti per il solo fatto che gli stessi avrebbero potuto avvalersi dell’esdebitazione, senza tener conto della misura dei crediti esclusi dalla proposta, dei quali i falliti avrebbero dovuto rispondere in proprio, per effetto della clausola limitativa della responsabilità del terzo.

10. – Le predette censure, in quanto riflettenti l’interpretazione della nuova disciplina del concordato fallimentare, nei suoi diversi aspetti, vanno esaminate congiuntamente, anche alla luce della questione di legittimità costituzionale sollevata dal Procuratore generale nelle conclusioni scritte.

La proposta di concordato che costituisce oggetto del presente giudizio è stata presentata il 15 novembre 2007, ed è pertanto soggetta, ai sensi del D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, art. 150, e del D.Lgs. n. 169 del 2007, art. 22, alla disciplina dettata dal D.Lgs. n. 5 cit., il quale, modificando la L. Fall., art. 124, estende ai creditori o ai terzi la legittimazione ad avanzare la proposta, prevedendo che gli stessi possano presentarla anche prima del decreto che rende esecutivo lo stato passivo, purchè i dati contabili e le altre notizie disponibili consentano al creditore di predisporre un elenco provvisorio dei creditori, da sottoporre al giudice delegato, laddove il fallito può avanzare la proposta soltanto dopo il decorso di sei mesi dalla dichiarazione di fallimento, e purchè non siano decorsi due anni dal decreto che rende esecutivo lo stato passivo. In riferimento alla proposta presentata dal terzo, poi, l’art. 124, comma 4, ammette la cessione, oltre che dei beni compresi nell’attivo fallimentare, anche delle azioni di pertinenza della massa, purchè autorizzate dal giudice delegato, consentendo al terzo di limitare gl’impegni assunti con il concordato ai soli creditori ammessi al passivo, anche provvisoriamente, e a quelli che hanno proposto opposizione allo stato passivo o domanda di ammissione tardiva, e prevedendo che in tal caso il fallito continua a rispondere verso gli altri creditori, fermo quanto disposto dall’art. 142 e ss. in caso di esdebitazione.

10.1. – L’estensione della legittimazione ai creditori ed ai terzi trova fondamento, secondo la relazione illustrativa del decreto legislativo, nell’intento di pervenire ad una riduzione dei tempi della procedura, conformemente ai principi ed ai criteri direttivi fissati dalla Legge Delega n. 80 del 2005, art. 1, comma 6, n. 12, ai fini della modificazione della disciplina del concordato fallimentare.

Tale apprezzabile finalità, ad avviso del Procuratore Generale, non giustifica tuttavia un’innovazione come quella in esame, che, oltre a non trovare specifico riscontro nella norma di delega, non realizza un semplice aggiornamento o emendatio del pregresso modello giuridico, ma conferisce all’istituto del concordato una fisionomia totalmente diversa da quella originaria, e tale da determinare un forte squilibrio tra le parti. L’assenza di limitazioni temporali all’iniziativa dei creditori o dei terzi, posta a confronto con i rigorosi limiti imposti al debitore, si traduce infatti in una grave menomazione per quest’ultimo, che viene privato della possibilità di intraprendere una manovra di salvataggio dell’azienda, magari incolpevolmente attinta dal dissesto, con conseguente violazione del principio di uguaglianza. La possibilità di limitare l’obbligazione concordataria ai soli crediti ammessi o anche a quelli in contestazione, posta in relazione con la facoltà di presentare la proposta sulla base di un elenco provvisorio dei creditori, soltanto approva-to dal giudice delegato e non formato con le garanzie del contraddittorio e della prova, comporta invece un’ingiustificata compressione della tutela dei creditori non ancora ammessi, che resta limitata alla facoltà di proporre opposizione (peraltro solo se abbiano avuto conoscenza aliunde della procedura), nonchè un’evidente disparità di trattamento rispetto agli altri creditori, in quanto li costringe a subire passivamente la cessione di tutti i beni del loro debitore, esponendoli anche all’eventuale esdebitazione di quest’ultimo.

10.2. – I dubbi di legittimità costituzionale in tal modo prospettati appaiono peraltro il frutto di una rappresentazione soltanto parziale della complessa disciplina risultante dalla riforma, i cui molteplici aspetti devono essere adeguatamente tenuti in conto ai fini di una corretta valutazione.

L’apertura ai terzi della legittimazione ad avanzare la proposta di concordato non mira infatti soltanto ad agevolare la soluzione della crisi dell’impresa attraverso strumenti che, nel favorire la riallocazione dei fattori produttivi, consentano al tempo stesso di salvaguardare l’unità dell’azienda, trasferendola nelle mani di chi sia in grado di gestirla utilmente, ma, facendo venir meno la posizione di monopolio riconosciuta al debitore dalla disciplina previgente, risponde anche all’esigenza di facilitare la chiusura del fallimento, nell’interesse dei creditori, in quanto rende possibile la presentazione anche di più proposte concordatarie, in concorrenza tra loro. In tale prospettiva, il dies a quo previsto dall’art. 124 per la presentazione della proposta ad opera del debitore non comporta un’indebita compressione dei diritti di quest’ultimo a favore dei creditori o dei terzi, trovando giustificazione nella disponibilità da parte dello stesso di informazioni più complete ed approfondite in ordine allo stato dell’impresa ed al valore dei beni, e rispondendo alla du-plice finalità di evitare che egli possa avvantaggiarsene per anticipare le altrui iniziative e di indurlo ad avvalersi di altri istituti di composizione negoziale delle insolvenze, idonei a prevenire la stessa dichiarazione di fallimento.

La previsione del dies ad quem mira invece a sollecitare la presentazione di proposte tempestive e convenienti da parte del debitore, evitando che egli approfitti delle lungaggini della procedura per ritardare indefinitamente la presentazione della proposta o per avanzare proposte poco convenienti per i creditori.

10.3. – La disciplina che ne risulta tende indubbiamente ad accentuare gli aspetti negoziali del concordato, conferendo all’istituto (come rileva la stessa rela-zione illustrativa del decreto legislativo) “una forte caratterizzazione privatistica”, ulteriormente evidenziata dal riconoscimento in favore del terzo della possibilità di limitare i propri impegni ai soli crediti ammessi al passivo ed a quelli in contestazione, nonchè dalla ridefinizione dei poteri spettanti al tribunale in sede di omologazione.

La facoltà accordata al terzo non rappresenta peraltro una novità in senso assoluto, avuto riguardo alle ampie aperture registratesi in tal senso anteriormente alla riforma, ed al contributo fornito dalla stessa giurisprudenza di legittimità all’individuazione del relativo fondamento, attraverso l’affermazione che gli effetti del concordato fallimentare non derivano dagli accordi intercorsi tra le parti, ma dalla legge, la quale attribuisce al provvedimento di omologazione l’effetto di sovrapporsi ai predetti accordi, che restano in esso trasfusi ed assorbiti, e sono per-tanto opponibili anche ai creditori non insinuati al passivo, che, ancorchè estranei al giudizio di omologazione, devono sottostare alla falcidia concordataria senza poter opporre i limiti della cosa giudicata, ai sensi della L. Fall., art. 135, con la conseguente esclusione della legittimazione passiva dell’assuntore nei confronti delle pretese da loro avanzate (cfr.

Cass., Sez. 1^, 25 febbraio 2011, n. 4698; 17 marzo 2004, n. 6391).

Il pregiudizio cui restano esposti i creditori non insinuati per effetto della limitazione della responsabilità del terzo non si differenzia d’altronde, nella sostanza, da quello che essi sono destinati a subire nell’ipotesi in cui si pervenga celermente alla liquidazione dell’attivo ed alla chiusura del fallimento, e, nell’ipotesi in cui il fallito continui a rispondere dei propri debiti, si configura come un pregiudizio di mero fatto, potendo essi fare pur sempre affidamento sulla capacità del debitore di ricostruire in futuro un patrimonio aggredibile.

E’ pur vero che la posizione dei creditori non insinuati è ora ulteriormente aggravata dalla possibilità, prevista dal testo riformato dell’art. 124, di presentare la proposta anche prima del decreto che rende esecutivo lo stato passivo, nonchè dall’applicabilità della L. Fall., art. 142 e ss., in tema di esdebitazione del fallito. La situazione di incertezza eventualmente derivante dal carattere provvisorio dell’individuazione dei creditori in base alla quale può essere avanzata nella prima ipotesi la proposta concordataria incontra tuttavia un limite nella soggezione del relativo elenco all’approvazione del giudice delegato, ed al conseguente necessario riscontro in ordine alla sufficienza ed all’attendibilità dei dati contabili e delle altre notizie disponibili, in base ai quali lo stesso è stato formato, mentre, ai sensi della L. Fall., art. 144, nel testo introdotto dal D.Lgs. n. 5 del 2006, art. 114, la liberazione del fallito nei confronti dei crediti concorsuali non concorrenti è limitata alla sola eccedenza rispetto a quanto gli stessi avrebbero avuto diritto di percepire nel concorso.

10.4. – Tali considerazioni assumono comunque una portata piuttosto marginale nel presente giudizio, nel quale il pregiudizio risentito dai creditori non insinuati viene in rilievo esclusivamente ai fini della valutazione della posizione del fallito, che è quella che da adito ai dubbi di legittimità costituzionale sollevati dai ricorrenti e dal Procuratore generale, in relazione al rischio che l’approvazione del concordato si traduca per il debitore in una spoliazione dei suoi beni a vantaggio esclusivo del terzo e dei creditori ammessi, lasciandolo esposto alle pretese dei creditori non insinuati ed a quelle residue dei creditori ammessi.

Con riferimento alle pretese dei creditori non insinuati, pare tuttavia opportuno richiamare la L. Fall., art. 142, n. 1, il quale, subordinando l’esdebitazione, tra l’altro, alla condizione che il fallito abbia cooperato con gli organi della procedura, fornendo tutte le informazioni e la documentazione utile all’accertamento del passivo, rende evidente l’interesse del debitore a prestare la propria collaborazione nell’acquisizione dei dati contabili e delle altre notizie utili ai fini della predisposizione dell’elenco provvisorio di cui all’art. 124, comma 1, configurandosi il diniego dell’esdebitazione come una sanzione per l’inadempimento di tale dovere di cooperazione.

10.5. – La possibilità che l’approvazione del concordato si traduca in un ingiustificato pregiudizio per il fallito, comportando il trasferimento al terzo dell’attivo fallimentare sulla base di un’inadeguata valutazione dalla quale discenda un’esigua percentuale di soddisfazione dei crediti o anche solo un sacrificio sproporzionato rispetto alle finalità della procedura, evoca invece la problematica relativa all’individuazione dei poteri spettanti al tribunale in sede di omologazione.

Questa Corte ha già osservato che la nuova disciplina delle procedure concorsuali ha radicalmente ridisegnato i compiti dei soggetti coinvolti nelle stesse, ed in particolare nel fallimento e nel concordato preventivo e fallimentare, riportando il giudice alla sua funzione di garante della regolarità della procedura e custode dell’osservanza dei principi fondanti dell’ordinamento, nonchè di organo delegato alla soluzione dei conflitti che dalla procedura derivano, e lasciando invece agli altri organi in maggiore o minore misura rappresentativi o direttamente ai creditori riuniti in adunanza la decisione circa il merito delle scelte che attengono alle modalità con cui pervenire alla liquidazione del patrimonio del debitore e quindi al soddisfacimento dei creditori (cfr. Cass., Sez. 1^, 10 febbraio 2011, n. 3274).

In riferimento al concordato fallimentare, l’orientamento del legislatore emerge in particolare dalla devoluzione del giudizio di convenienza della proposta ai creditori, ai quali la L. Fall., artt. 127 e 128, demandano l’approvazione del concordato sulla base del parere formulato dal curatore e dal comitato dei creditori con riguardo ai presumibili risultati della liquidazione, restando pertanto soppressa la preventiva valutazione già affidata dall’art. 125 al giudice delegato, al quale spetta ora soltanto un controllo sulla ritualità della proposta. Il nuovo ruolo del giudice è evidenziato anche dalla ridefinizione dell’ambito del procedimento di omologazione, che ha ad oggetto la verifica della regolarità formale della procedura e dell’esito della votazione, salvo che il concordato preveda la suddivisione dei creditori in classi ed alcune di esse risultino dissenzienti, dovendosi in tal caso verificare se i creditori appartenenti alle predette classi possano risultare soddisfatti in misura non inferiore rispetto alle alternative concretamente praticabili; al di fuori di quest’ultima ipotesi, resta pertanto esclusa ogni valutazione sul contenuto della proposta, prevista invece dal testo originario della L. Fall., art. 130, che demandava al tribunale non solo un controllo in ordine alla ritualità del procedimento ed all’osservanza degli adempimenti prescritti dalla legge, ma anche l’esame del merito della proposta, e quindi la valutazione della sua convenienza ed opportunità.

Nel caso in cui la proposta concordataria venga avanzata da un terzo, tale esclusione può tuttavia comportare un ingiustificato sacrificio per le ragioni del debitore, il quale, non essendo parte dell’accordo intervenuto tra il proponente ed i creditori, può vedersi sottrarre i suoi beni sulla base di una valutazione che, pur idonea a soddisfare i crediti in misura ritenuta conveniente dalla maggioranza dei creditori, risulti insufficiente rispetto al valore reale dell’attivo fallimentare.

Questa Corte ha già affermato che tale eventualità si pone in contrasto con i principi ispiratori del sistema della responsabilità patrimoniale e con le norme che disciplinano il processo di esecuzione forzata, individuale o collettiva, in virtù dei quali la sottrazione al debitore del potere di amministrare i propri beni e di disporne trova giustificazione soltanto nei limiti risultanti dalla finalità, cui essa è preordinata, di soddisfacimento delle pretese dei creditori, dovendosi realizzare un giusto equilibrio tra gl’interessi di questi ultimi e quello del debitore al rispetto dei propri beni (cfr. Cass., Sez. 1^, 22 marzo 2010, n. 6904). Il mantenimento di questo equilibrio è imposto anche dall’art. 1 del Protocollo n. 1 della Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo, il quale, nell’interpretazione fornitane dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, esige l’osservanza di un ragionevole rapporto di proporzionalità tra i mezzi impiegati e lo scopo perseguito, dovendosi garantire che l’ingerenza nella sfera dell’individuo non ecceda la misura ritenuta necessaria alla realizzazione dell’interesse generale (cfr. sent. 12 giugno 2007, Gallucci c. Italia).

E’ stato d’altronde chiarito che l’utilizzazione del concordato non è sottratta al divieto di abuso del diritto, la cui applicazione, ormai ampiamente diffusa in riferimento sia agl’istituti di diritto sostanziale che a quelli di diritto processuale, trova fondamento nel principio generale secondo cui l’ordinamento tutela il ricorso agli strumenti che esso stesso predispone nei limiti in cui essi vengano impiegati per il fine per cui sono stati istituiti, senza procurare a chi li utilizza un vantaggio ulteriore rispetto alla tutela del diritto presidiato dallo strumento e a chi li subisce un danno maggiore rispetto a quello strettamente necessario per la realizzazione del diritto dell’agente. E’ in quest’ottica che vanno lette le decisioni con cui è stata esclusa l’ammissibilità di una proposta concordataria che comporti l’espropriazione del debitore in favore del proponente in misura superiore a quella necessaria per il soddisfacimento dei creditori ed il pagamento delle spese (cfr.

Cass., Sez. 1^, 22 marzo 2010, n. 6904, cit.) ed è stata riconosciuta la prevalenza dell’iniziativa assunta dal fallito rispetto a quelle di altri soggetti, ove le rispettive proposte concordatarie risultino ugualmente convenienti per i creditori (cfr.

Cass., Sez. 1^, 12 febbraio 2010, n. 3327, cit.), negandosi invece, alla luce delle norme che consentono l’individuazione di più classi di creditori, la configurabilità dell’abuso in presenza di una proposta che preveda un trattamento non paritario degli stessi, salve le cause di prelazione (cfr. Cass., Sez. 1^, 10 febbraio 2011, n. 3274, cit.).

La limitazione dei poteri del giudice, in sede di omologazione del concordato, al controllo di legalità della procedura, con la conseguente esclusione di ogni valutazione in ordine al merito della proposta, non impedisce pertanto al tribunale di verificare l’eventuale abuso dell’istituto in esame, per la cui configurabilità non è peraltro sufficiente che la proposta appaia poco conveniente al debitore, anche in relazione alle previste modalità di soddisfazione dei creditori, o che la stima dei beni sia ritenuta da lui inadeguata, occorrendo invece che le modalità di utilizzazione del concordato rivelino l’intento di piegare tale strumento a finalità diverse da quelle per cui è predisposto, e che consistono nell’agevolare la soluzione anticipata della crisi d’impresa mediante una soluzione che tuteli i diritti di tutti i creditori con le modalità approvate dalla maggioranza, senza arrecare al fallito un pregiudizio non necessario.

10.6. – E’ alla stregua di tali principi che devono essere esaminate le censure sollevate dai ricorrenti in ordine alla valutazione compiuta dalla Corte d’Appello ai fini dell’omologazione del concordato, e segnatamente in ordine alla preferenza accordata dalla proposta alla posizione dei creditori chirografari rispetto a quelli muniti di diritto di prelazione non ancora ammessi al passivo, nonchè alla mancata valutazione degl’interessi dei debitori e dei creditori pretermessi.

In ordine alla posizione di questi ultimi, infatti, la Corte territoriale ha correttamente richiamato la L. Fall., art. 135, ai sensi del quale l’omologazione del concordato impone la soddisfazione dei crediti anteriori all’apertura del fallimento, anche se non insinuati al passivo, nella medesima misura prevista dalla proposta concordataria (cfr. Cass., Sez. 1^, 10 aprile 1995, n. 4139; 4 maggio 1994, n. 4324). Condivisibile appare anche, con riguardo all’interesse dei falliti, il mero riferimento alla possibilità di ottenere l’esdebitazione, non essendo la Corte tenuta a valutare la convenienza della proposta concordataria, il cui apprezzamento, come si è detto, è demandato in via esclusiva ai creditori, con il solo limite rappresentato dal potere del giudice di verificare l’eventuale utilizzazione abusiva dello strumento concordatario, che nella specie non risulta essere mai stata prospettata dai ricorrenti.

Inammissibile è invece la censura riflettente l’alterazione dell’ordine delle cause legittime di prelazione, in conseguenza della mancata considerazione dei crediti muniti di diritto di prelazione non ancora ammessi al passivo al momento della presentazione della proposta concordataria, trattandosi di una questione che implica un accertamento di fatto non esaminata nel decreto impugnato, e non es- sendo stata allegata l’avvenuta deduzione della stessa dinanzi al giudice di merito (cfr. ex plurimis, Cass., Sez. lav., 28 luglio 2008, n. 20518; Cass., Sez. 3^, 12 luglio 2005, n. 14590).

11. – Con il nono motivo, i ricorrenti denunciano l’insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine all’esame ed alla valutazione dei fatti e delle risultanze istruttorie, sostenendo che, ai fini della stima del complesso immobiliare sito in (OMISSIS), la Corte d’Appello ha ritenuto congruo il valore risultante dalla perizia allegata alla proposta di concordato, anzichè quello più elevato determinato dal c.t.u. nominato dal Tribunale, nonostante quest’ultimo avesse precisato di essersi attenuto a criteri prudenziali e di aver tenuto conto dell’incidenza della crisi del mercato immobiliare.

12. – Con il decimo motivo, i ricorrenti lamentano la violazione e la falsa applicazione della L. Fall., art. 129, comma 1, osservando che, a fronte del più elevato valore emerso dalla c.t.u., la Corte d’Appello non avrebbe potuto sostituirsi al comitato dei creditori ed al curatore nella valutazione del complesso immobiliare, ma si sarebbe dovuta limitare a ritenere viziato il loro parere ed a negare l’omologazione del concordato.

13. – Con l’undicesimo motivo, i ricorrenti deducono la falsa applicazione della L. Fall., art. 124, comma 3, e art. 107, sostenendo che la Corte d’Appello ha errato nel ritenere che la stima dei beni dovesse essere effettuata in base ad un criterio diverso da quello del valore di mercato.

14. – Con il sedicesimo motivo, i ricorrenti lamentano l’omessa ed insufficiente motivazione del decreto impugnato per mancata valutazione di risultanze processuali o per la mancata ammissione di mezzi di prova, osservando che la Corte d’Appello ha ritenuto attendibile la perizia allegata alla proposta concordataria, ignorando gli elementi risultanti dalla documentazione prodotta, dai quali si evinceva che il valore del complesso immobiliare sito in (OMISSIS) era sufficiente a coprire l’intero passivo del fallimento.

15. – Con il diciassettesimo motivo, i ricorrenti denunciano l’omessa ed insufficiente motivazione del decreto impugnato per mancata valutazione di risultanze processuali o per la mancata ammissione di mezzi di prova, sostenendo che l’inadeguatezza delle valutazioni effettuate avrebbe dovuto indurre la Corte d’Appello a disporre una nuova c.t.u..

16. – Le predette censure vanno esaminate congiuntamente, attenendo alla valutazione di uno dei cespiti costituenti l’attivo fallimentare.

Com’è noto, le valutazioni espresse dal c.t.u. non hanno efficacia vincolante per il giudice, il quale, tuttavia, potendo legittimamente discostarsene soltanto attraverso una valutazione critica ancorata alle risultanze processuali, nonchè congruamente e logicamente motivata, è tenuto ad esporre le ragioni per cui ritiene di non poter condividere gli argomenti sui quali si è basato il consulente, ovvero ad indicare gli elementi probatori, i criteri di valutazione e gli argomenti logico-giuridici in virtù dei quali è pervenuto alla decisione contrastante con il parere del c.t.u. (cfr. Cass., Sez. 1^, 3 marzo 2011, n. 5148; Cass., Sez. lav., 16 giugno 2000, n. 8200;Cass., Sez. 3^, 6 aprile 1998, n. 3551).

Tale onere di motivazione nella specie risulta adempiuto mediante il richiamo delle risultanze della relazione allegata alla proposta concordataria, dalla quale emergeva un valore del compendio immobiliare sito in (OMISSIS) pari ad Euro 392.000,00, la cui inferiorità rispetto a quello di Euro 490.000,00 stimato dal c.t.u.

nominato nel giudizio di omologazione è stata giustificata dalla Corte d’Appello non già mediante l’adesione a criteri diversi da quello del valore di mercato dei cespiti acquisiti all’attivo fallimentare, bensì con la sottolineatura del carattere meramente ipotetico ed eventuale della stima, destinata a risentire delle oscillazioni del mercato, e con la conseguente necessità di attenersi a criteri prudenziali, idonei a fornire ai creditori una valutazione conforme all’effettivo valore di realizzo del bene all’atto della vendita.

Le conclusioni cui è pervenuta la Corte territoriale appaiono perfettamente in linea con la valutazione demandata al giudice in sede di omologazione del concordato, non avendo quest’ultima ad oggetto, come si è detto, l’accertamento della convenienza della proposta, ma il controllo in ordine alla legittimità della procedura, sotto il profilo dell’osservanza degli adempimenti prescritti e della correttezza dell’informazione fornita ai creditori attraverso la relazione giurata ed i pareri richiesti dall’art. 125, nonchè la verifica delle condizioni approvate, nei limiti imposti dalla finalità di assicurare un ragionevole equilibrio tra la soddisfazione del-le pretese dei creditori e la salvaguardia dei diritti del debitore. Tale equilibrio non può ritenersi compromesso dalla mera inferiorità della stima compiuta dall’esperto rispetto a quella effettuata dal c.t.u., avendo la Corte opportunamente tenuto conto delle effettive possibilità di realizzo del valore del compendio immobiliare in caso di vendita forzata, in ossequio al disposto dell’art. 124, comma 3, ai sensi del quale il valore di mercato dei cespiti o dei crediti acquisiti all’attivo costituisce null’altro che un riferimento ai fini della determinazione di quanto sarebbe possibile ricavare dalla vendita, utile a consentire ai creditori, in sede di approvazione del concordato, ed al giudice, in sede di omologazione, una valutazione in ordine alle possibilità di soddisfazione dei crediti.

16.1. – La correttezza logico-giuridica della motivazione, recante l’enunciazione dei motivi di dissenso dalle conclusioni rassegnate dal c.t.u. nominato in primo grado, esclude anche la censurabilità della scelta di non disporre la rinnova-zione delle indagini, trattandosi di un adempimento rimesso al giudice di merito, il quale non è tenuto a procedervi, ove intenda discostarsi dalla valutazione del consulente, purchè spieghi le ragioni per cui ritiene, nell’ambito del suo prudente apprezzamento, che le stesse non siano sorrette da adeguato approfondimento o non condivisibili per altre convincenti motivi (cfr. Cass., Sez. lav., 6 luglio 2007, n. 15263;

Cass., Sez. 1^, 3 aprile 2007, n. 8355; Cass., Sez. 2^, 6 maggio 2002, n. 6479).

I ricorrenti contestano il valore attribuito al compendio immobiliare, richiamando la stima del c.t.u. e la documentazione prodotta in giudizio, dalla quale risulterebbero valori di mercato diversi da quelli presi in considerazione dall’esperto che ha redatto la relazione, ma riconoscono che nella valutazione dei beni quest’ultimo si è attenuto al metodo sintetico-comparativo, adottato anche dal c.t.u., ed omettono di riportare nel ricorso i passi salienti della relazione censurata, impedendo di cogliere la portata delle critiche mosse al decreto impugnato e di valutare la decisività delle risultanze di cui fanno valere l’omessa valutazione. In tal modo, essi dimostrano di voler sollecitare, attraverso la denuncia della violazione di legge e del vizio di motivazione, una rivisitazione dell’apprezzamento compiuto nel decreto impugnato, non consentita in questa sede, non spettando al Giudice di legittimità il potere di riesaminare e valutare autonomamente il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione compiuti dal giudice del merito, cui è riservato l’accertamento dei fatti (cfr. ex plurimis, Cass., Sez. lav., 2 luglio 2008, n. 18119; 11 luglio 2007, n. 15489; Cass., Sez. 3^, 19 novembre 2007, n. 23929).

17. – Con il dodicesimo motivo, i ricorrenti denunciano la violazione o la falsa applicazione della L. Fall., art. 124, comma 3, e art. 125, comma 2, rilevando che, sebbene prevedesse la soddisfazione non integrale di un creditore ipotecario, la Italfondiario S.p.a., la proposta concordataria non era accompagnata dalla relazione giurata di uno dei soggetti indicati dall’art. 124 cit., nel testo introdotto dal D.Lgs. n. 169 del 2007, o in quello anteriore alla riforma, ma da una perizia redatta da un architetto nominato dallo stesso curatore.

18. – Con il tredicesimo motivo, i ricorrenti lamentano la violazione o la falsa applicazione della L. Fall., art. 124, comma 3, e art. 125, comma 2, censurando il decreto impugnato nella parte in cui ha escluso la necessità della relazione giurata, la quale non è stata introdotta dal D.Lgs. n. 169 cit., ma dal D.Lgs. n. 5 del 2006.

19. – Con il quattordicesimo motivo, i ricorrenti denunciano l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo, rilevando che la Corte d’Appello ha omesso di verificare la sussistenza della relazione a giurata, ai fini del controllo in ordine al corretto esercizio dei poteri di cui all’art. 124, comma 2, lett. a) e b), necessario ove siano previste condizioni differenziate per singole classi di creditori.

20. – Con il quindicesimo motivo, i ricorrenti deducono la falsa applicazione della L. Fall., art. 124, comma 3, e art. 125, comma 2, censurando il decreto impugnato nella parte in cui ha escluso l’applicabilità dell’art. 124, nel testo modificato dal D.Lgs. n. 169 del 2007, benchè la proposta di concordato fosse stata integrata successivamente all’entrata in vigore della riforma.

21. – Con il ventesimo motivo, i ricorrenti denunciano l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, censurando il decreto impugnato nella parte in cui non ha ritenuto viziato il parere del curatore e del comitato dei creditori, nonostante la falcidia imposta al creditore ipotecario, conferendo rilievo alla mancata opposizione di quest’ultimo alla stima degl’immobili.

22. – I predetti motivi, da esaminarsi congiuntamente in quanto attinenti alla valutazione di un cespite acquisito all’attivo fallimentare, ai fini della soddisfazione di un credito munito di diritto di prelazione, sono inammissibili.

La relazione giurata prevista dalla L. Fall., art. 124, comma 2, nel testo introdotto dal D.Lgs. n. 5 del 2006 e confermato, per quanto interessa in questa sede, dal D.Lgs. n. 169 del 2007, ha infatti la funzione di consentire la valutazione delle effettive possibilità di realizzo del valore dei cespiti acquisiti all’attivo del fallimento in caso di vendita forzata, ai fini di una consapevole espressione del voto da parte dei creditori in sede di approvazione del concordato, nonchè del controllo riservato al giudice in ordine alla corretta formazione delle classi ed al rispetto dell’ordine delle cause di prelazione.

La Corte d’Appello, pur escludendo la necessità di detta relazione, sull’erroneo presupposto che la stessa non fosse prescritta dal D.Lgs. n. 5 cit., applicabile ratione temporis alla procedura in esame, ha rilevato che il creditore ipotecario falcidiato non aveva mosso alcuna censura alla proposta di concordato, ma aveva aderito ai pareri espressi dagli organi della procedura ed alla valutazione del Tri-bunale, il quale aveva accertato la correttezza dei criteri di formazione delle classi e la giustificabilità del trattamento differenziato dei creditori, anche in relazione al valore dell’attivo, osservando che il soddisfacimento parziale del creditore ipote-cario era correlato al valore effettivo del bene sul quale egli vantava il proprio diritto di prelazione.

La mancata proposizione, da parte dei ricorrenti, di qualsiasi censura di ordine sostanziale in ordine alla formazione delle classi previste dalla proposta concordataria esclude il loro interesse a far valere il vizio della relazione, il cui contrasto con la prescrizione dell’art. 124, comma 3, avrebbe potuto essere preso in considerazione soltanto nell’ambito della valutazione, demandata al giudice dall’art. 129, comma 7, in ordine alla praticabilità di alternative idonee ad assicurare una percentuale più elevata di soddisfazione dei crediti. Tale valutazione era peraltro subordinata all’avvenuta approvazione della proposta con il dissenso di una o più classi di creditori ed all’opposizione dei creditori dissenzienti all’omologazione del concordato, condizione, questa, nella specie non verificatasi, essendo stato il concordato approvato all’unanimità e non essendo stata proposta alcuna opposizione, al di fuori di quella dei ricorrenti.

23. – Con il diciottesimo motivo, i ricorrenti deducono l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, osservando che la Corte d’Appello ha ritenuto attendibile la stima di un fondo di proprietà della C., destinato alla soddisfazione di un creditore ipotecario e valutato nella perizia allegata alla proposta come suolo agricolo, senza tener conto della documentazione prodotta, da cui risultavano le effettive potenzialità dell’immobile, inserito in un piano regolatore che ne consentiva il mutamento di destinazione.

24. – Con il diciannovesimo motivo, i ricorrenti lamentano la falsa applicazione della L. Fall., art. 124, comma 3, e art. 125, comma 2, censurando il decreto impugnato nella parte in cui ha ritenuto congrua una valutazione eccessivamente prudenziale degli immobili, suscettibile di pregiudicare i creditori aventi diritto a prelazione a vantaggio dell’assuntore del concordato.

25. – Con il ventunesimo motivo, i ricorrenti deducono l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, sostenendo che la Corte d’Appello ha erroneamente escluso che il parere del comitato dei creditori fosse viziato, nonostante fosse emersa l’incompletezza e la mancanza di chiarezza del parere reso dal curatore, che non indicava tutte le attività della C. e non confrontava la proposta di concordato con le prospettive di soddisfazione dei creditori presumibilmente conseguenti alla liquidazione.

26. – Con il ventiduesimo motivo, i ricorrenti lamentano l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, sostenendo che la Corte d’Appello ha erroneamente ritenuto corretta, ai fini della valutazione della proposta concordataria, l’informazione fornita ai creditori in ordine alla convenienza della stessa, in quanto il curatore non aveva addotto elementi a sostegno dell’affermata lunghezza dei tempi e dell’incertezza degli esiti della liquidazione, omettendo altresì di tener conto degli interessi di tutte le categorie di creditori.

27. – Le predette censure vanno esaminate congiuntamente, riguardando la valutazione delle attività di pertinenza della C. acquisite al fallimento.

In proposito, la Corte d’Appello ha dato atto che il curatore aveva provveduto a correggere un errore materiale occorso nella redazione del suo parere, escludendo tuttavia che lo stesso impedisse un’adeguata valutazione dell’entità dell’attivo, il cui effettivo ammontare era correttamente indicato in Euro 55.209,00 in altra parte del medesimo atto. Premesso che tale importo avrebbe consentito di soddisfare i creditori chirografari in misura inferiore alla percentuale prevista dalla proposta concordataria, ha ritenuto che la valutazione di convenienza di quest’ultima, condivisa dal parere del comitato dei creditori ed anche da questi ultimi in sede di approvazione, fosse confortata dalle osservazioni del curatore in ordine all’incertezza dei tempi e dei risultati della liquidazione, posti a confronto con le prospettive di soddisfacimento dei crediti risultanti dal concordato.

Valgono al riguardo le considerazioni già svolte in riferimento ai limiti dell’apprezzamento demandato al giudice in sede di omologazione del concordato ed alla rilevanza della mancata opposizione dei creditori muniti di diritti di prelazione, che impongono, nell’esame delle doglianze proposte dai ricorrenti, di avere riguardo esclusivamente al controllo compiuto dalla Corte territoriale in ordine alla legalità della procedura ed al rispetto di una giusta proporzione tra lo strumento impiegato e le finalità perseguite. In quest’ottica, non appaiono censurabili il recepimento da parte della Corte d’Appello della stima del fondo di proprietà della C. risultante dalla relazione dell’esperto e la conseguente scelta di non disporre una c.t.u., non potendo ritenersi decisive le critiche mosse dai ricorrenti in ordine alla vocazione agricola attribuita all’immobile, in presenza di una conforme classificazione urbanistica e della possibilità di un cambio di destinazione prospettata dagli stessi ricorrenti come meramente eventuale. Neppure possono trovare ingresso le critiche riflettenti l’inadeguata considerazione degl’interessi dei creditori, la cui valutazione era da ritenersi preclusa dalla mancata proposizione di opposizioni all’omologazione del concordato, restando affidato al giudice soltanto il riscontro in ordine alla correttezza dell’informazione fornita attraverso la relazione dell’esperto ed i pareri del curatore e del comitato dei creditori.

27.1. – Quanto al difetto di chiarezza del primo parere, i ricorrenti, pur riconoscendo l’avvenuta correzione dell’errore materiale commesso dal curatore, deducono di aver lamentato la mancata considerazione da parte di quest’ultimo di ulteriori attività e l’insufficiente specificazione dei criteri seguiti per l’individuazione delle percentuali di soddisfazione dei crediti, ma non risultano in grado neppure di precisare interamente l’ammontare dei crediti non considerati ed omettono di riportare nel ricorso il testo del parere, impedendo in tal modo di cogliere la portata delle critiche mosse all’operato del curatore. La rilevanza del vizio da cui sarebbe affetto il parere reso dal comitato dei creditori, in conseguenza dell’eventuale incompletezza di quello del curatore, dev’essere comunque esclusa, alla stregua del principio, già affermato da questa Corte e che va in questa sede ribadito, secondo cui, poichè l’assemblea dei creditori è il solo soggetto cui è definitivamente rimessa la valutazione della convenienza della proposta concordataria, come si evince dall’art. 129, una volta che sia intervenuta l’approvazione del concordato ai sensi dell’art. 128, ogni irregolarità del predetto parere (tra le quali deve annoverarsi la mancanza di una succinta motivazione, che non comporta la inesistenza del parere, ma soltanto una nullità relativa dello stesso) deve ritenersi sanata, avuto riguardo alla nuova configurazione dell’istituto del concordato fallimentare (cfr. Cass., Sez. 1^, 26 novembre 2010, n. 24026, cit.).

28. – In applicazione di quest’ultimo principio, deve altresì escludersi la fondatezza del ventitreesimo motivo d’impugnazione, con cui i ricorrenti denunciano l’omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, osservando che la Corte d’Appello ha omesso di esprimersi in ordine al lamentato difetto di motivazione del parere reso dal comitato dei creditori, nel quale si dava atto esclusivamente del risultato della votazione, in tal modo impedendosi qualsiasi controllo in ordine alla serietà ed alla ponderatezza della decisione adottata.

29. – Con il venticinquesimo motivo, i ricorrenti lamentano la violazione degli artt. 1362 e 1363 c.c., e della L. Fall., art. 136, sostenendo che la Corte d’Appello ha erroneamente interpretato la proposta concordataria, avendo ritenuto che il trasferimento dei beni fosse subordinato all’adempimento del concordato, benchè non risultasse da una clausola esplicita o dal tenore inequivocabile dell’atto una siffatta volontà dell’assuntore, ed insufficiente a tal fine apparisse il richiamo dell’art. 136 cit..

30. – La censura va esaminata congiuntamente a quella di cui al ventiseiesimo motivo, con cui i ricorrenti denunciano la violazione e la falsa applicazione della L. Fall., artt. 129 e 136, sostenendo che, in mancanza di una manifestazione di volontà dell’assuntore in tal senso, la Corte d’Appello non avrebbe potuto modificare o integrare la proposta concordataria mediante la subordinazione dell’effetto traslativo all’adempimento del concordato.

31. – I motivi sono inammissibili.

Nel decreto impugnato si afferma infatti che la subordinazione del trasferi-mento dei beni del fallito nel patrimonio del proponente all’adempimento degli obblighi da quest’ultimo assunti con il concordato era già prevista dal decreto emesso dal Tribunale, e tale rilievo è confermato dalla lettura del provvedimento, nel cui dispositivo si stabiliva testualmente che il trasferimento delle attività mobiliari ed immobiliari acquisite al fallimento avrebbe fatto seguito all’adempimento del concordato. Non risultando che il decreto emesso in primo grado sia stato impugnato in parte qua, la relativa statuizione deve ritenersi definitiva, con la conseguente preclusione della possibilità di rimetterla in discussione in questa sede sulla base di censure attinenti all’interpretazione della volontà delle parti, erroneamente attribuita dai ricorrenti alla Corte territoriale, ma in realtà ascrivibile al Tribunale.

32. – E’ conseguentemente inammissibile il ventiquattresimo motivo, con cui i ricorrenti deducono la violazione degli artt. 1362 e 1363 c.c., censurando il decreto impugnato nella parte in cui ha attribuito alla fideiussione offerta dall’assuntore il valore di una penale, in contrasto con il tenore letterale e complessivo delle relative clausole, pervenendo in tal modo ad una valutazione di adeguatezza della garanzia, che risultava invece insufficiente rispetto all’ammontare dei crediti da soddisfare.

32.1. – L’incontestabilità della subordinazione dell’efficacia traslativa del decreto di omologazione all’adempimento degli obblighi assunti dal terzo, assicurando al debitore la conservazione della proprietà dei beni fino all’esito dell’esecuzione del concordato, esclude infatti il suo interesse a contestare la sufficienza della garanzia offerta dal proponente, ritenuta adeguata dalla Corte d’Appello proprio sul presupposto che, essendo il trasferimento condizionato all’adempimento, la fideiussione fosse stata rilasciata non già in riferimento a quest’ultimo, ma a conferma della serietà della proposta ed al fine di consentire, in caso d’inadempimento, l’incameramento del relativo importo senza pregiudizio per la procedura.

33. – Il ricorso va pertanto rigettato, senza che occorra provvedere al regolamento delle spese processuali, avuto riguardo al mancato svolgimento di attività difensiva da parte degli intimati.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Prima Civile, il 5 aprile 2011.

Depositato in Cancelleria il 29 luglio 2011

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