Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16737 del 29/07/2011

Cassazione civile sez. I, 29/07/2011, (ud. 23/03/2011, dep. 29/07/2011), n.16737

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PROTO Vincenzo – Presidente –

Dott. FIORETTI Francesco Maria – Consigliere –

Dott. CULTRERA Maria Rosaria – Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – Consigliere –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 25228/2009 proposto da:

BANCO POPOLARE COOPERATIVA SOCIETA’ (c.f. (OMISSIS)), in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DI VAL GARDENA 3, presso l’avvocato DE ANGELIS LUCIO, che

lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato TARZIA GIORGIO,

giusta procura speciale per Notaio MARCO PORCEDDU CILIONE di VERONA –

Rep. 5370 9 del 3.11.09;

– ricorrente –

contro

FALLIMENTO DELLA SARO VALASTRO S.R.L.;

– intimato –

avverso il provvedimento n. 24 97/2009 del TRIBUNALE di CATANIA,

depositato il 13/05/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

23/03/2011 dal Consigliere Dott. ANDREA SCALDAFERRI;

uditi, per il ricorrente, gli Avvocati DE ANGELIS e TARZIA che hanno

chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GOLIA Aurelio, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Nel gennaio 2008 il curatore del fallimento della Saro Valastro s.r.l. notificava al Banco Popolare Società Cooperativa un atto di precetto per il pagamento della somma di Euro 896.370,43 in forza della sentenza n. 3353/07 emessa dal Tribunale di Catania, con la quale era stata accolta la domanda della curatela di revoca di alcune rimesse solutorie effettuate dalla società poi fallita in favore del Banco, con conseguente condanna di quest’ultimo a restituire alla massa le somme ricevute. Il Banco Popolare proponeva opposizione, deducendo -per quanto qui ancora rileva- la mancanza di titolo esecutivo sul rilievo che le sentenze costitutive, quale quella in questione, fanno stato ad ogni effetto tra le parti solo con il passaggio in giudicato, nella specie non verificatosi essendo la sentenza stessa gravata di appello. Si costituiva in giudizio il curatore del fallimento della Saro Valastro, chiedendo il rigetto dell’opposizione. Con sentenza depositata il 13 maggio 2009, il Tribunale di Catania rigettava l’opposizione con riguardo al motivo qui evidenziato (la accoglieva sul motivo subordinato diretto ad una riduzione della somma di cui all’intimazione), ritenendo che il vigente art. 282 c.p.c., si applica anche alle pronunce di natura costitutiva o, quanto meno, ai capi condannatori da esse derivanti.

Avverso tale sentenza, non impugnabile secondo il disposto dell’art. 616 c.p.c., vigente alla data di deposito, il Banco Popolare, con atto notificato il 16 novembre 2009, ha proposto ricorso straordinario a questa Corte, affidato ad unico motivo. L’intimato non ha depositato controricorso. Il ricorrente ha depositato memoria difensiva.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Il Banco Popolare censura, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, la attribuzione di titolo esecutivo alla sentenza del tribunale che ha definito il giudizio di revocatoria, formulando il seguente quesito di diritto: “si chiede se l’attribuzione di una provvisoria esecutività ad una pronuncia di revoca fallimentare di pagamenti e di affermazione dell’obbligo di restituzione del convenuto, ancora sub judice per essere stata la dichiarazione di revoca impugnata in appello, e quindi prima che faccia stato fra le parti ad ogni effetto la pronuncia costitutiva di revoca dalla quale dipenderà l’obbligazione restitutoria, comporti o meno la violazione degli artt. 2908 e 2909 c.c., art. 474 c.p.c., e L. Fall., art. 67, e, di conseguenza, una falsa applicazione della norma dell’art. 282 c.p.c.”. Assume, in sintesi, che l’azione revocatoria fallimentare, qualificabile come esercizio di un diritto potestativo del curatore, da luogo ad una sentenza costitutiva che priva di effetti ex post, ma solo al momento del passaggio in giudicato, un atto o un pagamento compiuto dal fallito; e che la eventuale (nelle c.d. revocatorie acquisitive) condanna alla restituzione sanziona un obbligo che nasce dalla pronuncia costitutiva e ad essa segue come momento logico successivo, sì che neppure con riferimento a tale pronuncia consequenziale può applicarsi l’esecutività provvisoria disposta dall’art. 282 c.p.c..

2. Come la stessa sentenza impugnata da atto, la questione non è certo nuova, essendo stata ampiamente dibattuta, con soluzioni non univoche, in giurisprudenza ed in dottrina. L’orientamento giurisprudenziale che la recente Cass. S.U. n. 4059/2010 ha definito tradizionale e maggioritario, e ribadito con forti correzioni nella fattispecie lì controversa (riguardante la sentenza costitutiva di accoglimento di una domanda ex art. 2932 c.c., relativa ad un contratto preliminare di compravendita), è nel senso che la sentenza costitutiva produce la modificazione della situazione giuridica solo con il passaggio in giudicato. Il punto è però se debba in ogni caso escludersi che, nelle more del giudizio di impugnazione, sia ammissibile l’anticipazione in via provvisoria, ai fini esecutivi, degli effetti discendenti dalle statuizioni costitutive, sia cioè ammissibile il compimento di atti di esecuzione provvisoria della sentenza nei casi nei quali l’adeguamento della realtà materiale al decisum, che tali atti sono destinati a produrre, sia reso necessario dalla pronuncia di condanna che accede all’accertamento costitutivo (nella specie, la condanna alla restituzione delle somme di danaro ricevute dal Banco a seguito degli atti solutori dichiarati inefficaci L. Fall., ex art. 67). Anticipazione che l’art. 282 c.p.c., come modificato dalla L. n. 353 del 1990, prevede – nel contesto del rinnovato sistema di rapporti tra il giudizio di primo e secondo grado che va “letto” alla luce non solo dell’art. 24 Cost., ma anche del novellato art. 111 Cost. – per tutte le sentenze di primo grado, non contenendo alcuna esclusione nell’applicazione di tale regola in relazione a particolari tipi di sentenze. E’ vero che la sentenza costitutiva è in sè insuscettibile di esecuzione in senso stretto, ma si tratta di un limite intrinseco, non di una preclusione di fonte normativa afferente alla provvisoria esecutività di ogni sentenza costitutiva. Una preclusione siffatta invero non si rinviene neppure nel disposto degli artt. 2908 e 2909 c.c.: la prima norma fa riferimento alla tutelabilità in sede giurisdizionale delle azioni costitutive, e la seconda stabilisce per la sentenza costitutiva, come per le altre sentenze in generale, l’ambito di efficacia derivante dal giudicato.

2.1 In tal senso, la richiamata sentenza n. 4059/010 delle Sezioni Unite fornisce puntuali indicazioni nella ricostruzione del sistema.

In essa si afferma chiaramente che la possibilità di anticipare l’esecuzione delle statuizioni condannatorie contenute nella sentenza costitutiva va riconosciuta, in concreto, di volta in volta a seconda del tipo di rapporto tra l’effetto accessivo condannatorio da anticipare e l’effetto costitutivo producibile solo con il giudicato.

L’adeguamento della realtà sostanziale non può cioè ritenersi precluso in generale (cioè in relazione al tipo di sentenza costitutiva) dalla circostanza che l’effetto costitutivo non si è ancora prodotto, dovendosi piuttosto distinguere i casi nei quali le statuizioni condannatorie sono meramente dipendenti da quell’effetto dai casi nei quali invece la statuizione condannatoria è legata all’effetto costitutivo da un vero e proprio nesso sinallagmatico, ponendosi come parte – talvolta “corrispettiva”- del nuovo rapporto oggetto della domanda costitutiva. In questi ultimi casi – tra i quali va compresa la condanna al pagamento del prezzo della compravendita contenuta nella sentenza sostitutiva del contratto definitivo non concluso – il rapporto di stretta sinallagmaticità che lega il pagamento del prezzo al trasferimento del diritto che si realizza solo con il giudicato (rapporto che non consentirebbe al venditore di percepire il prezzo prima del trasferimento della proprietà) impedisce di attribuire la provvisoria esecutività al capo di condanna; negli altri casi, nei quali la anticipazione degli effetti esecutivi si mostra compatibile con la produzione dell’effetto costitutivo in un momento temporale successivo, non è individuabile nell’ordinamento alcuna preclusione alla formazione del titolo esecutivo indipendentemente dalla cosa giudicata sull’esistenza del diritto.

2.2 Alla luce di tali principii, che il collegio condivide, va osservato che, nella fattispecie in esame, il nesso tra la statuizione condannatoria e l’accertamento costitutivo si presenta come di mera dipendenza: la condanna alla restituzione delle somme ricevute con gli atti solutori dichiarati inefficaci – non diversamente, ad esempio, da quella alla restituzione del bene locato conseguente alla risoluzione del contratto di locazione – dipende dall’accertamento circa la sussistenza, o non, del titolo in base al quale tali somme sono state acquisite, ma non è in un rapporto di stretta sinallagmaticità tra i due capi, quale quello sopra descritto. Ne deriva di necessità la conclusione che la anticipazione degli effetti esecutivi di tale capo condannatorio – cioè l’adeguamento della realtà materiale al decisum – non è nella specie incompatibile con la produzione dell’effetto costitutivo al momento successivo del passaggio in giudicato.

2.3 Nè – contrariamente a quanto argomentato dal ricorrente nella memoria difensiva- tale anticipazione, ai fini esecutivi, degli effetti della sentenza di accoglimento dell’azione revocatoria appare inconciliabile con la disciplina del fallimento, che al contrario consente un efficace contemperamento, pur nei limiti della concorsualità, delle rispettive esigenze di tutela sia del credito restitutorio della massa verso l’accipiens, sia del credito di quest’ultimo verso il fallito, estinto dall’atto dichiarato inefficace nei confronti della massa. Sotto il primo profilo, le somme che l’accipiens restituisca alla curatela in ottemperanza, spontanea o coatta, alla sentenza di primo grado non ancora passata in giudicato non sono distribuibili (dovendo essere trattenute e depositate nei modi stabiliti dal g.d.), atteso il disposto della L. Fall., art. 113, u.c., introdotto dal D.Lgs. n. 5 del 2006, che ha reso cogente una regola di condotta invero già praticata dagli uffici fallimentari. Sotto il secondo profilo, sia la L. Fall., art. 71, (abrogato dal D.Lgs. n. 5 del 2006) sia la L. Fall., art. 70, commi 2 e 3, (nel testo introdotto dal D.L. n. 35 del 2005, convertito in L. n. 80 del 2005), nel prevedere, una volta che l’accipiens abbia restituito alla massa le somme ricevute, l’ammissione al passivo del suo credito inefficacemente estinto dall’atto revocato (o comunque del credito d’importo corrispondente a quanto restituito), non contengono alcun riferimento alla condizione che tale restituzione sia avvenuta in forza di sentenza definitiva, il che costituisce ulteriore conferma della insussistenza, nel sistema normativo, di una preclusione all’anticipata esecuzione della condanna restitutoria rispetto alla irretrattabilità, inerente al giudicato, della statuizione costitutiva. Nè può condividersi l’assunto del ricorrente secondo cui la ammissione con riserva (da sciogliersi all’esito del giudizio di impugnazione della sentenza di revoca) di tale credito al passivo non sarebbe consentita perchè non prevista dalla L. Fall., art. 96, nè dalla legge. Al contrario, l’accantonamento, imposto dal già richiamata L. Fall., art. 113, u.c., della somma che l’accipiens abbia restituito in forza della provvisoria esecutività della sentenza di primo grado implica specularmente, per identità di ratio, l’ammissione al passivo con riserva del credito condizionale dell’accipiens la cui estinzione è stata dalla stessa sentenza ritenuta inefficace nei confronti della massa: si tratta invero dei due effetti della sentenza che definisce il giudizio di revocatoria, i quali, come si è detto, sono indubbiamente tra di loro interdipendenti (pur non essendo in rapporto di sinallagmaticità), e quindi debbono considerarsi sottoposti, ai fini del concorso, alla medesima condizione costituita dal passaggio in giudicato di detta sentenza.

3. Il rigetto del ricorso si impone dunque, senza provvedere sulle spese non avendo l’intimato svolto attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Prima Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 23 marzo 2011.

Depositato in Cancelleria il 29 luglio 2011

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