Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16734 del 29/07/2011

Cassazione civile sez. III, 29/07/2011, (ud. 05/07/2011, dep. 29/07/2011), n.16734

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETTI Giovanni Battista – Presidente –

Dott. D’ALESSANDRO Paolo – Consigliere –

Dott. ARMANO Uliana – Consigliere –

Dott. FRASCA Raffaele – rel. Consigliere –

Dott. LANZILLO Raffaella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

CHAMPAGNE DUVAL LEROY S.A. (OMISSIS), in persona del suo

Presidente Direttore Generale sig.ra C.D., elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA FEDERICO CESI 21, presso lo studio

dell’avvocato GRECO VINCENZO, che la rappresenta e difende unitamente

all’avvocato LANZA PIER LUIGI giusta Procura speciale del Dott.

Notaio CHRISTIAN GAGNON in Vertus (FRANCIA) del 3/07/2009;

– ricorrente –

contro

CUZZIOL S.R.L., in persona del Presidente del Consiglio di

amministrazione e legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA FEDERICO CONFALONIERI 5, presso lo studio

dell’avvocato MANZI LUIGI, che la rappresenta e difende unitamente

all’avvocato PELLEGRINI VINCENZO giusta delega a margine del

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1575/2008 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

SEZIONE 3^ CIVILE, emessa il 28/04/2008, depositata il 26/11/2008

R.G.N. 2199/04;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

05/07/2011 dal Consigliere Dott. RAFFAELE FRASCA;

udito l’Avvocato GRECO VINCENZO;

udito l’Avvocato MANZI LUIGI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PRATIS Pierfelice che ha concluso con l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

p. 1. La Champagne Duval Leroy s.a. ha proposto ricorso per cassazione contro la s.r.l. Cuzziol avverso la sentenza del 26 novembre 2008, con la quale la Corte d’Appello di Venezia ha deciso in via non definitiva sulla controversia in grado di appello relativa all’impugnazione della sentenza resa in primo grado inter partes dal Tribunale di Treviso, Sezione Distaccata di Conegliano.

La controversia fra le parti traeva origine da un ricorso per decreto ingiuntivo ottenuto dalla qui ricorrente in relazione a pretese fondate su un contratto di distribuzione concluso con la Cuzziol.

Avverso il decreto la Cuzziol proponeva opposizione contestando l’avversa pretesa creditoria e svolgendo domanda riconvenzionale intesa ad ottenere, nel presupposto di un recesso ingiustificato della controparte dal contratto e di un suo inadempimento, la sua condanna al pagamento di due distinte somme a titolo risarcitorio e di altra somma per provvigioni maturate e non corrisposte. L’opposta si costituiva e contestava le avverse prospettazioni.

Nel corso dello svolgimento processuale l’opponente sollevava eccezione di nullità della procura speciale, sulla base della quale era stato emesso il decreto ingiuntivo e, quindi, depositata la comparsa di costituzione.

li Tribunale, con sentenza del gennaio del 2004, riteneva fondata l’eccezione de qua e accoglieva l’opposizione, dichiarando nullo il decreto. Opinava, in particolare che la procura, conferita con atto autenticato da notaio separato dal ricorso monitorio, era nulla perchè priva di riferimento all’oggetto per cui era stata conferita.

Ciò, sulla base del principio di cui a Cass. n. 12486 del 2000. Nel contempo riteneva superfluo l’esame della domanda riconvenzionale.

p. 2. La sentenza veniva separatamente appellata in via principale tanto dalla Cuzziol quanto dalla Champagne Duval-Leroy. La prima si doleva della violazione dell’art. 112 c.p.c., per essere stata omessa la pronuncia sulla riconvenzionale, che era domanda autonoma rispetto al giudizio sull’opposizione a decreto ingiuntivo. La seconda si doleva, invece, della ritenuta nullità della procura, sulla base della quale era stato rilasciato il decreto ingiuntivo.

Riuniti gli appelli, la Corte d’Appello di Venezia, con la sentenza qui impugnata, provvedendo in via non definitiva, oltre a disattendere l’eccezione di inammissibilità dell’opposizione a decreto ingiuntivo ribadita dalla Champagne Duval Leroy, ha affermato l’infondatezza dell’appello principale della stessa quanto alla valutazione di nullità della sua procura espressa dal primo giudice (pagine 10-12e 13, prima proposizione, della sentenza), nonchè dell’appello incidentale sempre di detta società, con cui in via riconvenzionale era stata riproposta in appello la domanda già articolata in via monitoria (rilevando la novità e, quindi, inammissibilità in appello della domanda riproposta), ed in fine ha sostanzialmente accolto l’appello della Cuzziol riguardo al mancato esame della riconvenzionale, in quanto ha ritenuto di disporre l’istruzione su di essa (pagina 13^).

Queste statuizioni si colgono nella motivazione della sentenza impugnata, nonostante che il dispositivo esprima solo la declaratoria di inammissibilità della riconvenzionale proposta in appello dalla Champagne Duval Leroy e la disposizione, con separata ordinanza, dell’istruzione sulla riconvenzionale della Cuzziol, oltre che la riserva della decisione sulle spese.

p. 3. Al ricorso della Champagne Duval Leroy contro la sentenza della Corte lagunare ha resistito con controricorso la Cuzziol.

Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

p. 1. Preliminarmente la Corte ritiene necessario esaminare una questione pregiudiziale relativa all’ammissibilità del ricorso per cassazione.

La sentenza impugnata, infatti, in ragione delle statuizioni che ha reso sul cumulo di domande di cui era investita, si presenta, almeno astrattamente, per un verso riconducibile all’ambito dell’art. 360 c.p.c., comma 3, come sostituito dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 2 e, per altro verso, riconducibile invece all’ambito della norma dell’art. 361 c.p.c..

Infatti:

a) per quanto attiene alla statuizione sull’appello principale della Champagne Duval Leroy sul punto della nullità della procura, ravvisando l’esattezza della decisione positiva del Tribunale, la Corte veneziana ha reso una decisione definitiva sul giudizio da essa introdotto con il ricorso monitorio e la cui trattazione con la cognizione piena aveva avuto corso a seguito dell’opposizione, così confermando la definizione dell’opposizione stessa con pronuncia di accoglimento per ragioni di rito ed in particolare per essere la domanda della creditrice monitoria affetta da vizio relativo alla procura (impediente, quindi, secondo il regime anteriore alla L. n. 69 del 2009, che ha modificato l’art. 182 c.p.c., la trattazione nel merito della domanda);

b) ha parimenti reso una statuizione definitiva sulla domanda riconvenzionale proposta con l’appello incidentale dalla suddetta società;

c) ha reso una statuizione non definitiva sulla domanda riconvenzionale proposta con la citazione in opposizione dalla Cuzziol, in quanto riguardo ad essa ha pronunciato sentenza con cui ha riconosciuto sia pure con valutazione implicita – fondato l’appello riguardo alla mancata pronuncia su di essa del primo giudice e, nel contempo, ha ravvisato l’impossibilità di pronunciare in via definitiva su tale domanda, per essere la stessa bisognosa di istruzione.

p. 1.1. Ora, la statuizione sub e) è riconducibile all’ambito dell’art. 360 c.p.c., comma 3, perchè si è risolta nella decisione su una questione insorta sulla domanda riconvenzionale della Cuzziol – quella del se su di essa si dovesse decidere nonostante la definizione in rito, per la nullità della procura, della domanda proposta con il ricorso monitorio dall’altra parte – senza definizione del giudizio su di essa, atteso che è stato disposto darsi corso all’istruzione.

Viceversa, le statuizioni sub a) e b) hanno avuto carattere di definizione delle domande su cui sono state pronunciate e non invece dell’intero giudizio e, quindi, appaiono riconducibili all’art. 361 c.p.c., non potendosi la sentenza reputarsi definitiva nemmeno sulle domande decise agli effetti dell’esercizio del diritto di impugnazione, come invece sarebbe accaduto se su dette domande fosse stata disposta la separazione, oppure, anche in mancanza di formale separazione, la decisione si fosse estesa, quanto ad esse, alle spese giudiziali. Avverso di esse era, perciò, possibile sia l’impugnazione immediata sia quella differita.

Ciò, alla stregua del principio recentemente ribadito dalle Sezioni Unite della Corte, nel senso che “In tema di impugnazioni, nella ipotesi di cumulo di domande tra gli stessi soggetti, è da considerare non definitiva, agli effetti della riserva di impugnazione differita, la sentenza con la quale il giudice si pronunci su una (o più) di dette domande con prosecuzione del procedimento per le altre, senza disporre la separazione ai sensi dell’art. 279 cod. proc. civ., comma 2, n. 5), e senza provvedere sulle spese in ordine alla domande (o alle domande) così decise, rinviandone la relativa liquidazione all’ulteriore corso del giudizio” (Cass. sez. un. n. 9441 del 2011; adde, con specifico riferimento alla proposizione di riconvenzionali, Cass. n. 6993 del 2011, secondo cui “In tema d’impugnazioni, nell’ipotesi di cumulo oggettivo di cause per connessione propria (artt. 34, 36 cod. proc. civ.) o per effetto di riunione dei processi ai sensi dell’artt. 40 e 274 cod. proc. civ., il giudice può scegliere tra una pronuncia non definitiva su una singola domanda e una sentenza definitiva parziale.

Quest’ultima opzione deve essere resa manifesta da un esplicito provvedimento di separazione o dalla statuizione sulle spese in ordine alla controversia decisa”).

p. 1.2. Ebbene, i tre motivi sui quali si fonda il ricorso si correlano il primo alla statuizione sub e) e gli altri due a quella sub a).

Infatti, con il primo motivo si deduce “motivazione contraddittoria su un punto decisivo della controversia. Violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5” e si censura la decisione impugnata quanto all’accoglimento dell’appello della Cuzziol sull’omesso esame della sua riconvenzionale. Mentre, con gli altri due motivi – deducenti rispettivamente “violazione e falsa applicazione degli artt. 83, 156 e 365 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3” e “violazione e falsa applicazione degli artt. 1324, 1362, 1363, 1364, 1367 e 1368 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3” – si censura la decisione stessa quanto al rigetto dell’appello della Champagne Duval Leroy riguardo alla definizione in rito della domanda introdotta con il rito monitorio.

p. 1.3. Ritiene il Collegio che in un caso come quello in esame, nel quale l’esercizio del diritto di impugnazione in cassazione risulta avvenuto in parte in una situazione riconducibile all’art. 360 c.p.c., comma 3, ed in parte all’art. 361 c.p.c. la circostanza che il processo sulle domande cumulate non sia stato oggetto di provvedimenti di separazione e, quindi, sia ancora processo cumulativo unico debba comportare necessariamente, anche indipendentemente dal tipo di connessione esistente fra le domande cumulate e particolarmente dalla caratterizzazione di esso nel senso di una connessione che imponga la decisione congiunta sulle domande (come in presenza di un nesso di connessione per pregiudizialità di una rispetto all’altra o di un nesso di incompatibilità fra l’una e l’altra o di un nesso di subordinazione per condizionamento o di un nesso di alternatività), che il regime della ricorribilità in cassazione sia il medesimo e, particolarmente quello alternativo dell’art. 361 c.p.c..

La ragione è che il principio che ha ispirato la novità introdotta dal legislatore con il nuovo terzo comma dell’art. 360 c.p.c., cioè quello di evitare l’accesso al giudice di legittimità per decisioni su questioni e non definitive del giudizio, rimandandolo al sopraggiungere della decisione definitiva senza bisogno di riserva, viene meno allorquando la decisione, essendo stata resa su domande cumulate, sia definitiva di alcuna di esse e decisiva soltanto di questioni su altre. La ragione della scelta del regime dell’art. 361 c.p.c. è di carattere logico e, quindi, necessitato allorquando i nessi fra la domanda definita e l’altra su cui sono state decise questioni impongano la decisione congiunta sulle domande, come nel caso dei nessi indicati poco sopra. E’ non solo di opportunità (nel senso che il legislatore potrebbe aver fatto altra scelta), ma comunque anche imposta dal tenore della norma dell’art. 361 c.p.c. negli altri casi: invero, per sostenere che in questi altri casi (si pensi all’ipotesi di un mero cumulo oggettivo di cause non connesse altrimenti che soggettivamente, cioè per riguardare le stesse parti:

art. 104 c.p.c.) il regime dovrebbe essere distinto, cioè quello dell’art. 360, terzo comma, per la decisione su questione relativa ad una domanda e quello dell’art. 361 per la decisione definitiva su altra o altre domande, sarebbe stato necessario che il legislatore, nel disciplinare la norma dell’art. 361 c.p.c. (tra l’altro rimodulato quanto al citato D.Lgs. n. 40 del 2006, comma 1), poichè essa appare nella sua previsione tale da comprendere anche la fattispecie dell’art. 360 c.p.c., comma 3, avesse fatto espressa riserva della sua applicazione, così lasciando intendere la preferenza per il concorso di regimi impugnatori. In mancanza di tale riserva, quando si verifica la fattispecie della decisione su una domanda alla stregua dell’art. 361 c.p.c. senza definizione dell’intero giudizio e, peraltro, ad essa si accompagni anche la decisione soltanto di questioni relative ad altra o ad altre domande, è da intendere che il legislatore abbia voluto qui correlare il regime impugnatorio esclusivamente ala regola dettata dalla norma, in deroga al dell’art. 360, comma 3.

Norma questa che, dunque, va letta in rapporto di specialità rispetto a quella dell’art. 361 c.p.c., nel senso che nei processi cumulativi è applicabile solo quando alla decisione su questioni su una o più domande senza definizione di esse, non si accompagni la decisione su altra o altre domande ai sensi dell’art. 361 c.p.c..

Quando, invece, questa decisione vi sia, anche le statuizioni che sarebbero riconducibili all’ambito dell’art. 360 c.p.c., comma 3, diventano soggette al regime dell’art. 361 c.p.c, di modo che occorre fare riserva di impugnazione se non si vuole impugnare immediatamente.

p. 1.4. Alla stregua delle osservazioni svolte, il ricorso è ammissibile ai sensi dell’art. 361 come impugnazione immediata con riferimento a tutti e tre i motivi, giusta il seguente principio di diritto: “Nel caso di giudizio nel quale si trovino cumulate più domande fra le stesse parti, anche connesse soltanto soggettivamente, la sentenza che, riguardo a taluna o a talune domande, abbia deciso soltanto su questioni senza definire il giudizio su di essa o su di esse e, contemporaneamente, riguardo a taluna o a talune altre, abbia definito il giudizio su di essa o su di esse, è soggetta esclusivamente al regime di impugnazione in cassazione previsto dall’art. 361 c.p.c., restando esclusa l’applicabilità dell’art. 360 c.p.c., comma 3, per la decisione soltanto su questioni.

Ne consegue che la sentenza è alternativamente impugnabile immediatamente ovvero suscettibile di riserva di impugnazione da ciascuna delle parti interessate con riferimento a tutte le statuizioni e, quindi, anche a quelle che altrimenti sarebbero state soggette al regime dell’art. 360 c.p.c., comma 3”.

p. 2. Venendo all’esame dei tre motivi di ricorso, essi si palesano inammissibili per inosservanza del requisito dell’art. 366 bis c.p.c., siccome correttamente eccepito dalla resistente.

In riferimento al primo motivo l’illustrazione si conclude con i seguenti due quesiti di diritto ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c.:

“Dica la Corte se la domanda notificata ad un difensore che non è munito di valida procura possa produrre effetti nei confronti della parte che non rappresenta. Dica la Corte se la parte che ha eccepisce la nullità della procura possa pretendere che la notifica effettuata al falsus procurator possa intendersi effettuata alla parte che non rappresenta validamente”.

L’illustrazione del secondo motivo si conclude con il seguente quesito di diritto: “Dica la Corte se la mancata specifica indicazione dell’oggetto della procura è sanata quando l’atto ha raggiunto il suo scopo, in quanto il vizio non è stato eccepito nè con l’atto di opposizione a decreto ingiuntivo nè tempestivamente nel relativo giudizio, e si è accettato il contraddittorio sulla materia del contendere svolgendo autonome domande”.

L’illustrazione del terzo motivo a sua volta si conclude con questo quesito: “Dica la Corte se la procura, ove non sia specificamente indicato l’oggetto, sia valida se la volontà del mandante sia desumibile anche da dati extratestuali percepibili e percepiti dal destinatario, e se trattandosi di vizio sanabile, è sanato in quanto l’atto raggiunge il suo scopo, quando l’opponente nel giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo accetta il contraddittorio senza eccepire la nullità, almeno tempestivamente, notificando una domanda riconvenzionale ai procuratori qualificandoli rappresentanti di controparte”.

p. 2.1.1 quesiti riportati suggeriscono le seguenti osservazioni:

a) in riferimento al primo motivo, dedotto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, l’adempimento del requisito di cui all’art. 366 bis c.p.c avrebbe richiesto la formulazione della cd. “chiara indicazione” (su cui, ex multis, Cass. sez. un. n. 20603 del 2007) e non di un quesito di diritto, mentre se il motivo, di contro alla sua intestazione illustrasse un vizio di violazione di norma di diritto sostanziale o processuale (nn. 3 e 4 dell’art. 360 c.p.c.), i due quesiti si dovrebbero reputare inidonei per la loro assoluta astrattezza, sia sotto il profilo della mancanza di riferimento alla decisione impugnata, sia sotto il profilo della mancanza di individuazione della concreta fattispecie;

b) eguale astrattezza presenta il quesito che conclude il secondo motivo;

c) la stessa cosa dicasi per il quesito relativo al terzo motivo: non si dice di che tipo di procura si tratti, in che cosa sia consistita la mancata specificazione dell’oggetto e quali siano le ragioni per le quali avrebbe potuto essere applicato il principio del raggiungimento dello scopo, oltre ad essere omesso ogni riferimento alla sentenza impugnata.

Ora, l’art. 366 bis c.p.c., quando esigeva (si parla al passato, essendo stato esso abrogato, ma non rilevando l’abrogazione in relazione al ricorso in esame. L. n. 69 del 2009, art. 58, comma 5) che il quesito di diritto dovesse concludere il motivo imponeva che la sua formulazione non si presentasse come la prospettazione di un interrogativo giuridico del tutto sganciato dalla vicenda oggetto del procedimento, bensì evidenziasse la sua pertinenza ad essa. Invero, se il quesito doveva concludere l’illustrazione del motivo ed il motivo si risolve in una critica alla decisione impugnata e, quindi, al modo in cui la vicenda dedotta in giudizio è stata decisa sul punto oggetto dell’impugnazione e criticato dal motivo, appariva evidente che il quesito, per concludere l’illustrazione del motivo, dovesse necessariamente contenere un riferimento riassuntivo ad esso e, quindi, al suo oggetto, cioè al punto della decisione impugnata da cui il motivo dissentiva, sì che ne risultasse evidenziato – ancorchè succintamente – perchè l’interrogativo giuridico astratto era giustificato in relazione alla controversia per come decisa dalla sentenza impugnata. Un quesito che non avesse presentato questo contenuto era, pertanto, un non-quesito (si veda, in termini, fra le tante, Cass. sez. un. n. 26020 del 2008; nonchè n. 6420 del 2008) e come tale dev’essere ritenuto inidoneo ad assolvere al requisito dell’art. 366 bis c.p.c..

I quesiti sopra riportati, alla stregua di tali principi (o di quelli similari evocati nel controricorso), sono appunto inidonei in questo senso ed anzi appaiono anche carenti di elementi per individuare anche solo in astratto interrogativi giuridici: per esempio, perchè non si dice di che tipo di procura si trattasse.

Solo leggendo l’illustrazione dei motivi i lettore è messo in grado di percepire quali siano gli interrogativi su cui la Corte dovrebbe decidere (ed anzi il primo motivo, come s’era adombrato, appare prospettare questione di diritto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4).

Ma in tal modo, come aveva già affermato Cass. (ord.) n. 16002 del 2007 si pretenderebbe di desumere il vero quesito di diritto dall’illustrazione del motivo, il che è contrario alla logica della norma dell’art. 366 bis c.p.c., che era di consentire alla Corte di percepire con immediatezza le quaestiones iuris poste da ciascun motivo.

Con riferimento al primo motivo la ricorrente, nella sua memoria, richiama Cass. n. 21291 del 2009 adducendo ch’essa avrebbe affermato che “la mancanza dell’esplicita formulazione del quesito di diritto (a conclusione dell’illustrazione del motivo di ricorso per cassazione prospettante violazione di legge) non determina l’inammissibilità della censura, allorchè l’articolazione del medesimo quesito sia desumibile, in via interpretativa, dal contenuto della proposta censura”. Senonchè, tale decisione, nemmeno massimata dall’Ufficio del Massimario e del Ruolo di questa Corte, non contiene affatto una simile affermazione, evidentemente estrapolata da qualche interprete.

Onde nulla vi sarebbe da replicare.

Per mera completezza, si rileva comunque che la motivazione di detta decisione così si esprime: “Giova chiarire che il quesito di diritto necessario ex art. 366 bis c.p.c., può ritenersi posto con sufficiente chiarezza nell’ultima parte di pag. 17 e nelle prime tre righe di pag. 18, ove si legge un riferimento concreto al fatto che “l’unica indagine commissionata al Giudice di rinvio era quella concernente l’annullabilità parziale del contratto “rimanendo assolutamente estraneo il tema del rilascio delle singole unità”. Si legge poi che “quindi” la pronuncia resa avrebbe violato i principi che reggono il giudizio di rinvio, enunciati adeguatamente. E’ pertanto evidente che il motivo è da ritenere ammissibile solo per questa parte, risultando mancante il quesito – e dunque inammissibile il ricorso – con riguardo ad altre simili lagnanze, rispetto alle quali è stata omessa la formulazione del quesito.”.

E’ palese che la citata decisione ha dato rilievo ad un quesito che appariva nella specie riconoscibile (ed anche concreto, perchè faceva riferimento alla sentenza impugnata alludendo al vincolo del giudizio di rinvio). Si tratta, dunque, di decisione che non ha fatto nient’altro che riconoscere un quesito reputandolo – a quel che pare – graficamente evidenziato e, quindi, formalmente percepibile. Non si tratta di decisione che ha proceduto alla estrapolazione di un quesito per opera di estrapolazione da parte del giudice dall’illustrazione del motivo, come postula parte ricorrente (ed è contrario alla consolidata giurisprudenza della Corte).

p. 2.2. I tre motivi sono, dunque, tutti inammissibili e, quindi, è inammissibile il ricorso nella sua interezza.

p. 3. Va rilevato che con la sua memoria parte ricorrente ha depositato la sentenza con cui frattanto la Corte d’Appello di Venezia ha definito il giudizio, facendo rilevare che con essa quella Corte ha ritenuto che la nullità della procura sulla base della quale era stato richiesto il decreto ingiuntivo avrebbe determinato l’esclusione della rituale introduzione dell’opposizione avverso di esso e, quindi, l’inammissibilità della riconvenzionale della Cuzziol, come aveva ritenuto il primo giudice. La resistente nella memoria preannuncia di voler impugnare in cassazione detta sentenza, emessa il 10 maggio 2011 e nel contempo rimette a questa Corte di valutare se la sopravvenienza determini il venir meno dell’interesse della ricorrente quanto al primo motivo di ricorso, che afferiva alla decisione della sentenza qui impugnata in senso opposto.

p. 3.1. Il Collegio rileva che la produzione della sentenza definitiva è stata irrituale, in quanto, pur essendo ammissibile ai sensi dell’art. 372 c.p.c., trattandosi di documento formatosi dopo la proposizione del ricorso, non è avvenuta nel rispetto delle regole fissate da tale norma, cioè mediante notifica alla ricorrente dell’elenco indicante il relativo deposito.

La ricorrente non ha, tuttavia, eccepito in sede di udienza, pur essendovi comparsa, tale irritualità, la quale, pertanto, resta irrilevante.

Peraltro, il profilo di inammissibilità del primo motivo sarebbe prioritario su quello afferente all’interesse, che, per il vero, sarebbe infondato. E’ da ritenere, infatti, che, di fronte alla detta produzione, la Corte deve rilevare che la decisione de qua è stata assunta del tutto irritualmente dalla Corte veneziana, che non aveva potestas iudicandi sulla questione della indifferenza della riconvenzionale al problema della irritualità della procura posta a base del ricorso monitorio dalla qui ricorrente.

Infatti, “Nel caso di pronuncia di sentenza non definitiva, il giudice si spoglia della “potestas iudicandi” relativa alle questioni decise, delle quali gli resta precluso il riesame -sia in ordine alle questioni definite che in ordine a quelle da esse dipendenti – salvo che detta sentenza non venga riformata con pronuncia passata in giudicato, a seguito di impugnazione immediata; ne consegue che tale giudice non può risolvere le medesime questioni in senso diverso con la sentenza definitiva e, ove lo faccia, il giudice del gravame, anche di legittimità, può rilevare d’ufficio la violazione del giudicato interno originante dalla sentenza non definitiva, a nulla rilevando che la violazione non abbia costituito oggetto di specifica impugnazione.” (Cass. n. 18898 del 2009).

Nel caso di specie questa Corte, deve appunto rilevare che la potestas iudicandi in essa esercitata sotto l’indicato profilo lo è stata irritualmente. Il che avrebbe escluso il venir meno dell’interesse all’esame del primo motivo, se esso fosse stato ammissibile.

La declaratoria di inammissibilità di tale motivo cui qui si è pervenuti, comporterà l’acquisizione da parte della sentenza non definitiva della forza della cosa giudicata, che dovrà, però, essere fatta valere con l’impugnazione avverso la sentenza definitiva, in mancanza della quale si formerà un nuovo giudicato successivo che prevarrà su quello anteriore.

p. 4. Le spese del giudizio di cassazione seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente alla rifusione alla resistente delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro cinquemiladuecento, di cui duecento per esborsi, oltre spese generali ed accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 5 luglio 2011.

Depositato in Cancelleria il 29 luglio 2011

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