Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16732 del 09/08/2016


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Cassazione civile sez. trib., 09/08/2016, (ud. 13/04/2016, dep. 09/08/2016), n.16732

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI IASI Camilla – Presidente –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 2272-2010 proposto da:

PARTENO GROUP SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIALE CAMILLO SABATINI 150, presso

lo studio dell’avvocato ANTONIO CEPPARULO, rappresentato e difeso

dall’avvocato ANDREA AMATUCCI giusta delega a margine;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– resistente con atto di costituzione –

avverso la sentenza n. 153/2008 della COMM.TRIB.REG. di NAPOLI,

depositata il 09/12/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/04/2016 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE CRICENTI;

udito per il ricorrente l’Avvocato LATELLA delega avvocato AMATUCCI

che ha chiesto l’accoglimento;

udito per il resistente l’avvocato ZERMAN che ha chiesto il rigetto;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE

AUGUSTINIS Umberto, che ha concluso per l’inammissibilità in

subordine rigetto del ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

L’Agenzia delle Entrate, sulla base di un processo verbale della Guardia di Finanza. ha proceduto a rettificare il reddito imponibile ai fini Irap, Irpeg ed IVA a carico della società ricorrente.

Con l’avviso di accertamento sono stati contestati ricavi non dichiarati e costi dedotti, ma in realtà non deducibili.

La società ha ottenuto in primo grado una decisione favorevole, poi riformata in appello.

Ricorre per cassazione il contribuente ritenendo illegittimo il ricorso al metodo induttivo e fuorvianti le conclusioni cui ha portato. L’Agenzia infatti avrebbe fatto affidamento su manoscritti in possesso dell’impresa e contenenti semplicemente bilanci di previsione, come tali del tutto privi di significato utile ai fini dell’esatta ricostruzione del reddito. Eccepisce anche il difetto di motivazione della sentenza impugnata.

L’Agenzia non deposita controricorso, mentre la ricorrente deposita ulteriore memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

La decisione impugnata ha ritenuto, da un lato, legittimo il ricorso all’accertamento induttivo, favorito dal ritrovamento di documentazione extracontabile, che indicava redditi occulti, e, per altro verso, lo ha ritenuto anche fondato, ritenendo che gli elementi raccolti dagli operanti fossero sufficienti a far presumere i maggiori ricavi poi contestati.

Avverso tale decisione, vengono prospettati i seguenti motivi di ricorso.

1.- Con il primo motivo si denuncia vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5.

Ritiene la ricorrente che il giudice di appello non ha chiarito perchè la documentazione extracontabile rinvenuta in sede di verifica fosse sufficiente a dimostrare operazioni inesistenti, ma fatturate, e dunque ricavi non contabilizzati.

E’ innanzitutto da rilevare che il vizio denunciato, nel testo applicabile ratione temporis. concerne l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio. Il ricorrente non individua tale fatto (da intendersi in senso giuridico non come una questione), nè tanto meno ne evidenzia la necessità e, a fortiori, neppure conclude il motivo con l’illustrazione richiesta dalla seconda parte dell’art. 366 bis c.p.c., norma applicabile, ratione temporis.

In tal senso è la giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale: “in tema di ricorso per cassazione, con cui si deduca il vizio di motivazione della sentenza impugnata in merito ad un fatto controverso, l’onere di indicare chiaramente tale fatto, ovvero le ragioni per le quali la motivazione è insufficiente, imposto dall’art. 366-bis c.p.c., deve essere adempiuto non già e non solo illustrando il relativo motivo di ricorso, ma anche formulando, al termine di esso, una indicazione riassuntiva e sintetica, che costituisca un “quid pluris” rispetto alla illustrazione del motivo. così da consentire al giudice di valutare immediatamente la ammissibilità del ricorso stesso. Tale sintesi non si identifica con il requisito di specificità del motivo ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, ma assume l’autonoma funzione volta alla immediata rilevabilità del nesso eziologico tra la lacuna o incongruenza logica denunciata ed il fatto ritenuto determinante, ove correttamente valutato, ai fini della decisione favorevole al ricorrente”. (Sez. 5, n. 5858 del 2013; Sez. 5, n. 28242 del 2013). Manca infatti del tutto il momento di sintesi, da cui desumere, per l’appunto, l’esistenza di una correlazione tra l’omissione denunciata e il fatto ritenuto determinante, ma anche utile a comprendere se l’omissione ha riguardato un fatto controverso e decisivo, anzichè una questione giuridica o un’argomentazione, essendo regola che solo l’omissione sul primo determina vizio della sentenza (Sez. 5, n. 21152 del 2014).

2.- Secondo e terzo motivo possono esaminarsi congiuntamente.

La società ricorrente ritiene infatti erroneamente interpretate le norme che consentono l’accertamento induttivo (D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1) e quelle sul conseguente onere della prova (art. 2697 c.c.).

Secondo la ricorrente, l’Agenzia avrebbe fatto ricorso ad elementi del tutto insufficienti ai fini della ricostruzione del reddito, deducendo i maggiori ricavi da un documento manoscritto rinvenuto in impresa, che altro non era se non un bilancio di previsione di entrate ed uscite, e, a fronte di tale insufficiente quadro indiziano. la decisione impugnata avrebbe preteso una prova contraria da parte del contribuente, violando la regola sul riparto probatorio.

I motivi sono infondati.

Va premesso che il ricorso non contiene alcuna indicazione utile a capire quale fosse il contenuto del brogliaccio ritrovato nella sede della società, e utilizzato per dar vita all’accertamento induttivo. Il ricorrente ne contesta la rilevanza, in ragione del suo contenuto (mero bilancio di previsione, anzichè documentazione di movimenti effettivi). e dunque avrebbe dovuto riportarne il contenuto utile a sostegno del proprio assunto.

Comunque sia, al di là di tale rilievo, va osservato che in tema di accertamento delle imposte sui redditi, il D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, lett. c), consente di procedere alla rettifica del reddito anche sulla base di presunzioni semplici, desumibili anche da documentazione extracontabile ed in particolare da “contabilità in nero”, costituita da appunti personali ed informazioni dell’imprenditore, dovendo ricomprendersi tra le scritture contabili disciplinate dagli artt. 2709 c.c. e ss. tutti i documenti che registrino, in termini quantitativi o monetari, i singoli atti d’impresa, ovvero rappresentino la situazione patrimoniale dell’imprenditore ed il risultato economico dell’attività svolta (Sez. 5, n. 20094 del 2014; Sez. 5. n.24051 del 2011). Legittimo è dunque un procedimento induttivo che risalga al reddito partendo da un appunto personale dell’imprenditore, di carattere extracontabile.

E d’altro canto spettava alla ricorrente dimostrare (innanzitutto con ricorso autosufficiente) che quell’appunto non aveva alcuna attinenza con la situazione patrimoniale dell’imprenditore.

3.- Infine, la ricorrente denuncia violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 56, sostenendo che l’appellante Agenzia non aveva riproposto tutte le questioni del primo grado, mentre la decisione impugnata, nonostante ciò, le ha decise comunque.

La norma, tuttavia, nel prevedere che le questioni e le eccezioni non accolte in primo grado, e non specificamente riproposte in appello, si intendono rinunciate, fa riferimento, come il corrispondente art. 346 c.p.c., all’appellato e non all’appellante, principale o incidentale che sia, in quanto l’onere dell’espressa riproposizione riguarda, nonostante l’impiego della generica espressione “non accolte”, non le domande o le eccezioni respinte in primo grado, bensì solo quelle su cui il giudice non abbia espressamente pronunciato (ad esempio, perchè ritenute assorbite), non essendo ipotizzabile, in relazione alle domande o eccezioni espressamente respinte, la terza via -riproposizione/rinuncia – rappresentata dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 56 e art. 346 c.p.c., rispetto all’unica alternativa possibile dell’impugnazione – principale o incidentale – o dell’acquiescenza, totale o parziale. con relativa formazione di giudicato interno (Cass. 7702 del 2013).

Invero, la questione dei ricavi non contabilizzati, che secondo la ricorrente avrebbe dovuto essere riproposta in appello, era stata rigettata in primo grado, e l’appello, che ha nel giudizio tributario effetto devolutivo, ha avuto ad oggetto l’intera questione della conferma dell’atto impositivo. Non era dunque onere della parte soccombente riproporre espressamente la censura rispetto ai ricavi, in quanto il relativo punto di domanda era stato rigettato e dunque validamente riproposto in appello con la richiesta di conferma dell’atto impositivo.

Il ricorso va pertanto rigettato e le spese seguono la soccombenza.

PQM

La Corte respinge il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio nella misura di 8000,00 Euro, oltre quelle prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 13 aprile 2016.

Depositato in Cancelleria il 9 agosto 2016

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