Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16730 del 09/08/2016


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Cassazione civile sez. trib., 09/08/2016, (ud. 12/04/2016, dep. 09/08/2016), n.16730

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BIELLI Stefano – Presidente –

Dott. CIRILLO Ettore – Consigliere –

Dott. PERRINO Angelina Maria – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 14072-2010 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

STIGRIS SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA V.LE CESARE PAVESE 101, presso lo

studio dell’avvocato SERGIO BELTRANI, rappresentato e difeso

dall’avvocato BRUNO RUSSO DE LUCA giusta delega a margine;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 206/2009 della COMM.TRIB.REG. del LAZIO,

depositata il 10/11/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

12/04/2016 dal Consigliere Dott. LUCIO LUCIOTTI;

udito per il ricorrente l’Avvocato PALATIELLO che si riporta al

ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CUOMO Luigi, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza n. 206 del 10 novembre 2009 la Commissione tributaria regionale del Lazio rigettava l’appello proposto dall’Ufficio avverso la sentenza di primo grado che aveva annullato la cartella esattoriale notificata alla società STRIGRIS s.r.l. a seguito di passaggio in giudicato della sentenza che aveva rigettato il ricorso proposto dalla predetta società avverso un avviso di rettifica emesso dall’Agenzia delle entrate per l’anno di imposta 1985.

Sosteneva il giudice di appello: a) che la cartella di pagamento impugnata era stata notificata oltre il termine di cui al D.P.R. n. 602 del 1973, art. 17, nella specie scadente il 31 dicembre 2005; b) che al caso in esame, riguardante atto impositivo in relazione al quale la contribuente aveva attivato la procedura di condono di cui alla L. n. 413 del 1991, non era applicabile la proroga dei termini prevista dal condono di cui alla L. n. 289 del 2002; c) che non era applicabile il termine prescrizionale dell’actio iudicati in quanto la fase di riscossione dei tributi è regolata da norme speciali prevalenti sulle disposizioni di carattere generale.

2. Ricorre per cassazione l’Agenzia delle entrate che deduce due motivi, cui la società contribuente replica con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo di censura, proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, l’Agenzia delle entrate deduce la violazione e falsa applicazione della L. n. 289 del 2002, art. 16, commi 1, 3 e 6.

Lamenta la ricorrente che il giudice di appello, muovendo dall’erroneo presupposto che la società contribuente non poteva avvalersi del condono di cui alla citata disposizione, aveva errato nel ritenere che la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Roma del 6 maggio 2003, di rigetto dell’impugnazione proposta avverso l’avviso di rettifica, era passata in giudicato il 21 luglio 2004, cioè decorso il termine annuale di cui al combinato disposto dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 38, comma 3, e art. 51 e art. 327 c.p.c., computato anche il periodo di sospensione feriale ai sensi della L. n. 742 del 1969, art. 1. Infatti, avendo la contribuente attivato, ma non perfezionato, la procedura di condono di cui alla L. n. 413 del 1991 per la definizione dell’avviso di rettifica oggetto del giudizio dinanzi alla CTP, la stessa poteva ancora avvalersi del condono di cui alla L. n. 289 del 2002 con conseguente slittamento al 18 luglio 2005 del passaggio in giudicato della sentenza di primo grado, per la sospensione del termine per l’impugnazione sino al 1 giugno 2004, prevista dal comma 6 del citato art. 16.

2. Con il secondo motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, l’Agenzia delle entrate deduce la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 171 e dell’art. 2953 c.c..

Sostiene l’Ufficio che aveva errato il giudice di merito nel ritenere non applicabile alla pretesa erariale fondata su sentenza passata in giudicato, come nel caso di specie, il termine decennale di prescrizione per la notifica della cartella esattoriale.

3. Il motivo, che per ragioni di ordine logico va esaminato preliminarmente, è fondato e va accolto.

4. Dato pacifico tra le parti è l’intervenuto passaggio in giudicato della sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Roma del 6 maggio 2003, che aveva rigettato il ricorso proposto dalla società contribuente avverso un avviso di rettifica ai fini IVA relativo all’anno di imposta 1985, i giudici di appello non si sono attenuti al principio giurisprudenziale affermato dalle sezioni unite di questa Corte (n. 25790 del 2009, che ha comportato il superamento del diverso orientamento espresso da Cass. n. 12333 del 2009) e reiteratamente ribadito dalle sezioni semplici (cfr., tra le tante, Cass. n. 21623 del 2015; n. 842 del 2014; n. 11941 del 2012; n. 5837 del 2011), secondo il quale, nel caso in cui un atto impositivo venga impugnato in sede giurisdizionale il credito accertato nella sentenza che definisce l’impugnazione dell’atto impositivo, sia esso erariale o restitutorio del contribuente (cfr. Cass. n. 1967 del 2005; n. 21623 citata), soggiace al termine di prescrizione decennale di cui all’art. 2953 c.c., anche nel caso in cui l’accertamento riguardi sanzioni per violazioni tributarie (cfr. Cass. Sez. Un. citate). Hanno osservato le sezioni unite di questa corte nella citata sentenza – che, seppur pronunciata in materia di irrogazione delle sanzioni, contiene un principio chiaramente estensibile, per identità di ratio, a tutti i casi di riscossione a mezzo di cartella di pagamento conseguente ad atto impositivo confermato con sentenza passata in giudicato – che il provvedimento del giudice che definisce la lite sull’accertamento, anche quando si limiti a riconoscere la legittimità dell’atto impositivo contestato, conferisce a questo il crisma della verifica giurisdizionale e gli effetti del giudicato non possono essere assimilati a quelli della mera acquiescenza amministrativa che si esaurisce nell’ambito del rapporto bilaterale (amministrativo) d’imposta. In buona sostanza, “in presenza del giudicato, non sono applicabili i termini di decadenza e/o di prescrizione che scandiscono i tempi dell’azione amministrativa/tributaria, ma soltanto il termine di prescrizione generale previsto dall’art. 2953 c.c.” (Cass. sez. un. citate) perchè il titolo della pretesa tributaria cessa di essere l’atto (che, essendo stato tempestivamente impugnato, non è mai divenuto definitivo) e diventa la sentenza che, pronunciando sul rapporto, ne ha confermato la legittimità. Da ciò discende l’inapplicabilità alla riscossione dei crediti erariali accertati con sentenza passata in giudicato del termine di decadenza di cui all’art. 17 (ora trasfuso nell’art. 25) del D.P.R. n. 602 del 1973, giacchè tale termine concerne la messa in esecuzione dell’atto amministrativo e presidia la esigenza di certezza dei rapporti giuridici e l’interesse del contribuente alla predeterminazione del tempo di soggezione all’iniziativa unilaterale dell’ufficio (cfr. Cass. n. n. 21623 del 2015).

5. Alla stregua di tali principi, la sentenza gravata risulta affetta dal denunciato vizio di legittimità, il che comporta l’accoglimento del relativo motivo di ricorso, l’assorbimento del primo, la cassazione della predetta sentenza e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la decisione della causa nel merito, a norma dell’art. 384 c.p.c., comma 2, con rigetto dell’originario ricorso della contribuente.

6. Le spese dei giudizi di merito vanno compensate in considerazione del precedente discorde di cui si è detto, mentre le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vanno liquidate in dispositivo ai sensi del D.M. Giustizia n. 55 del 2014.

PQM

La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, assorbito il primo, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta l’originario ricorso della società contribuente che condanna al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in Euro 4.000,00, oltre spese prenotate a debito, compensando quelle dei gradi di merito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sezione quinta civile, il 12 aprile 2016.

Depositato in Cancelleria il 9 agosto 2016

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