Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16723 del 04/07/2013


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 16723 Anno 2013
Presidente: CICALA MARIO
Relatore: CARACCIOLO GIUSEPPE

ORDINANZA
sul ricorso 3651-2011 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE 06363391001 in persona del
Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che la rappresenta e difende, ope legis;
– ricorrente contro
COMPUTER SERVICE DISTRIBUTION SRL IN
LIQUIDAZIONE;

intimata

avverso la sentenza n. 155/13/2009 della Commissione Tributaria
Regionale di GENOVA del 30.4.09, depositata il 18/12/2009;

Data pubblicazione: 04/07/2013

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
23/05/2013 dal Consigliere Relatore Dott. GIUSEPPE
CARACCIOLO.
E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. ENNIO

ATTILIO SEPE.

Ric. 2011 n. 03651 sez. MT – ud. 23-05-2013
-2-

La Corte,
ritenuto che, ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ., è stata depositata in
cancelleria la seguente relazione:
Il relatore cons. Giuseppe Caracciolo,
letti gli atti depositati

La CTR di Genova ha respinto l’appello dell’Agenzia -appello proposto contro la
sentenza della CTP di Imperia n.146-05-2006 che aveva integralmente accolto il
ricorso della Computer Service Distribution srl avverso avviso di accertamento ai
fini IVA-IRPEF-IRAP per l’anno 2001, emesso a seguito di PVC nel quale erano
stati contestati indebita detrazione per fatture relative ad operazioni oggettivamente o
soggettivamente inesistenti; omessa dichiarazione di ricavi quali desunti da
versamenti bancari che non avevano trovato giustificazione. L’ultima contestazione
emergeva sulla scorta delle acclarate movimentazioni bancarie sui conti correnti
intestati ai componenti il nucleo familiare degli amministratori della società e che non
avevano trovato corrispondenza nelle registrazioni contabili.
La predetta CTR ha motivato la decisione nel senso che sarebbe spettato all’Ufficio
provare che l’intestazione a terzi dei conti correnti bancari era fittizia e che i
movimenti effettuati fossero riconducibili ad operazioni imputabili alla società.
D’altronde, l’esiguità dell’importo dei movimenti contestati, rispetto al volume
d’affari dichiarato dalla società, non lasciava supporre che vi fosse intenzione di
occultare una quota così esigua di operazioni. Quanto alle fatture per operazioni
inesistenti, all’Ufficio sarebbe spettato assolvere all’onere di dimostrare la falsità
delle operazioni commerciali sottostanti, mentre le fatture apparivano assoggettate ad
imposta e regolarmente pagate alla “cedente Lex Computer”.
L’Agenzia ha interposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.
La parte intimata non si è difesa.
Il ricorso — ai sensi dell’art.380 bis cpc assegnato allo scrivente relatore- può essere
definito ai sensi dell’art.375 cpc.

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Osserva

Infatti, con il primo motivo di censura (sostanzialmente improntato alla violazione
degli art.32 del DPR n.600/1973 e 51 del DPR n.633/1972, in combinato disposto con
l’art.2697 cod civ), la ricorrente si duole del fatto che il giudice del merito abbia
violato il disposto delle anzimenzionate norme, nella parte in cui disegnano una
presunzione (relativa e vincibile con la contraria prova da assolversi da parte del

congiunti.
Il motivo appare fondato e da accogliersi.
Invero, il ribadito indirizzo di questa Corte a proposito della questione oggetto del
motivo di ricorso appare perfettamente coerente con le ragioni invocate dall’Agenzia.
“In tema di infedeltà della dichiarazione IVA, derivante dall’omessa annotazione di
operazioni imponibili ed omessa fatturazione, l’art. 54, secondo comma, del d.P.R. 26
ottobre 1972, n. 633 consente di procedere all’accertamento anche mediante il
controllo di dati e notizie raccolti nei modi indicati dal precedente art. 51, incluse,
quindi, le indagini bancarie, previste dal n. 7 di tale norma, le quali possono
riguardare anche conti e depositi intestati a terzi, inclusi i familiari del socio (nella
specie la moglie), quando l’ufficio abbia motivo di ritenere, in base agli elementi
indiziari raccolti, che gli stessi siano stati utilizzati per occultare operazioni
commerciali, ovvero per imbastire una vera e propria gestione extra-contabile, a
scopo di evasione fiscale. In questi casi, la presunzione di operazioni commerciali
non registrate, discendente dalla riscontrata movimentazione di somme su conti
formalmente intestati a terzi, non è qualificabile come (inammissibile) presunzione di
doppio grado, poiché è l’art. 51, secondo comma, n. 2), del d.P.R. n. 633 cit., a
prevedere che i singoli dati ed elementi risultanti dall’indagine bancaria debbono
essere posti a base delle rettifiche e degli accertamenti, se il contribuente non
dimostra che ne ha tenuto conto nelle dichiarazioni o che non si riferiscono ad
operazioni imponibili” (per tutte Cass. Sez. 5, Sentenza n. 374 del 12/01/2009).
Consegue da ciò che il giudice del merito ha errato a supporre che fosse onere
dell’Amministrazione offrire in giudizio ulteriori elementi di prova a convalida della

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contribuente) circa la riferibilità delle operazioni sui conti correnti intestati a prossimi

efficacia indiziaria delle indagini bancarie di cui si è detto ed ha perciò fatto erronea
applicazione della disciplina di cui la odierna ricorrente lamenta la violazione.
Con il secondo motivo di censura (sostanzialmente improntato alla violazione degli
art.19 e 21 del DPR n.633/1972, in combinato disposto con l’art.2697 cod civ), la
ricorrente si duole del fatto che il giudice del merito abbia violato il disposto delle

operazioni commerciali sottostanti, per quanto la prova della detraibilità dell’IVA fa
carico al soggetto passivo così come gli fa carico ogni volta in cui necessiti la prova
dell’esistenza di componenti negative di reddito; né sarebbe potuta bastare a questo
fine la sola esibizione dei mezzi di avvenuto pagamento che normalmente vengono
utilizzati pure fittiziamente e che perciò rappresentano un mero elemento indiziario.
Anche a questo proposito il ribadito indirizzo di questa Corte appare perfettamente
coerente con le ragioni invocate dall’Agenzia.
Da un canto, infatti:”In tema di IVA, qualora l’Amministrazione contesti al
contribuente l’indebita detrazione di fatture, in quanto relative ad operazioni
inesistenti, e fornisca attendibili riscontri indiziari sulla inesistenza delle operazioni
fatturate, è onere del contribuente dimostrare la fonte legittima della detrazione o del
costo altrimenti indeducibili, non essendo sufficiente, a tal fine, la dimostrazione
della regolarità formale delle scritture o le evidenze contabili dei pagamenti, in
quanto si tratta di dati e circostanze facilmente falsificabili (Sez. 5, Sentenza n.
12802 del 10/06/2011).
D’altro canto, poi:”In tema di IVA, nell’ipotesi di operazioni soggettivamente
inesistenti, il diritto alla detrazione dell’imposta versata in rivalsa al soggetto, diverso
dal cedente/prestatore, che ha, tuttavia, emesso la fattura, non sorge
immancabilmente, per il solo fatto dell’avvenuta corresponsione di imposta ivi
formalmente indicata, ma richiede altresì, a dimostrazione dell’effettiva inerenza
dell’operazione all’attività istituzionale dell’impresa, che il committente/cessionario, il
quale invochi la detrazione, fornisca, sul proprio stato soggettivo in ordine all’altruità
della fatturazione, riscontri precisi, non esaurientisi nella prova dell’avvenuta

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anzimenzionate norme assumendo che compete all’ufficio dimostrare la falsità delle

consegna della merce e del pagamento della stessa nonché dell’IVA riportata sulla
fattura emessa dal terzo, trattandosi di circostanze non decisive, rispetto al “thema
probandum”, in rapporto alle peculiarità del meccanismo dell’IVA e dei relativi,
possibili, abusi” (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 1950 del 30/01/2007).
Consegue pure da ciò che la censura debba essere accolta e che la controversia vada

a pronunciarsi sulle questioni oggetto dell’atto di appello proposto dalla parte
pubblica, alla luce dei corretti principio di diritto da applicarsi, e regolerà anche le
spese del presente grado di giudizio.
Pertanto, si ritiene che il ricorso possa essere deciso in camera di consiglio per
manifesta fondatezza.
Roma, 30 dicembre 2012

che la relazione è stata comunicata al pubblico ministero e notificata agli avvocati
delle parti;
che non sono state depositate conclusioni scritte, né memorie;
che il Collegio, a seguito della discussione in camera di consiglio, condivide i
motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione e, pertanto, il ricorso va accolto;
che le spese di lite possono essere regolate dal giudice del rinvio.
P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso. Cassa la decisione impugnata e rinvia alla CTR
Liguria che, in diversa composizione, provvederà anche sulle spese di lite del
presente grado.
Così deciso in Roma 23 maggio 2013.

rimessa al medesimo giudice di secondo grado che —in diversa composizione- tornerà

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