Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16721 del 09/08/2016


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Cassazione civile sez. trib., 09/08/2016, (ud. 04/04/2016, dep. 09/08/2016), n.16721

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BIELLI Stefano – Presidente –

Dott. CIRILLO Ettore – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – rel. Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 17883-2009 proposto da:

ARCHIADE SRL IN LIQUIDAZIONE in persona del Liquidatore,

elettivamente domiciliato in ROMA P.ZZA EUCLIDE 47, presso lo studio

dell’avvocato CARLO FERRUCCIO LA PORTA, che lo rappresenta e difende

giusta delega a margine;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 143/2008 della COMM.TRIB.REG. del LAZIO,

depositata il 12/11/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

04/04/2016 dal Consigliere Dott. MARCO MARULLI;

udito per il controricorrente l’Avvocato CAMASSA che ha chiesto il

rigetto;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SANLORENZO RITA che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza in data 12.11.2008, la CTR Lazio respingeva l’appello proposto dalla s.r.l. Archiade avverso la decisione di primo grado che aveva giudicato legittimi gli avvisi di accertamento con cui l’ufficio di Roma (OMISSIS) dell’Agenzia delle Entrate, recependo le risultanze di una pregressa verifica operata dalla Dogana di Ciampino Aeroporto in merito a talune operazioni compiute dalla società in favore di due operatori comunitari, aveva proceduto al recupero dell’IVA sul rilievo che il codice identificavo dei predetti operatori indicato in fattura non era più attivo.

La CTR, respingendo il gravame, richiamati gli obblighi di legge che disciplinano la materia delle cessioni all’esportazione in esenzione di imposta, ha osservato che nella specie il cedente aveva omesso di chiedere al competente ufficio IVA “la conferma della validità del numero identificativo del cliente estero”, di modo che, discendendo da ciò l’inesistenza di un requisito essenziale ai fini della non imponibilità dell’operazione, si rendono applicabili le “medesime sanzioni previste per le infrazioni all’IVA interna”. Avverso la detta sentenza ricorre ora la parte con un mezzo affidato a due motivi, ai quali replica l’Agenzia delle Entrate con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

2.1. Con il primo motivo di ricorso la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.L. n. 331 del 1993, art. 34, art. 41, comma 1, e art. 50, commi 1 e 2, in quanto la CTR, nel ritenere che la mancata verifica e conferma del numero identificativo della partita IVA del cliente estero impone l’applicazione dell’imposta, avrebbe omesso di considerare che non sussiste alcuna norma relativa a tale verifica e conferma, perchè, in particolare, l’art. 50 del citato D.L., ai fini del controllo del numero identificativo rilasciato al cessionario del Paese europeo, rinvia per le modalità attuative ad un successivo decreto ministeriale, “successivamente mai promulgato”.

2.2. Il motivo è fondato ed il suo accoglimento determina altresì l’assorbimento del secondo motivo di ricorso inteso a denunciare la violazione e falsa applicazione del D.L. n. 331 del 1993, art. 41, comma 1 e art. 50, commi 1 e 2, con riferimento all’irrogazione della sanzione, avvenuta senza tenere conto dell’immediata eliminazione delle omissioni contestate; della conseguente “buona fede” del contribuente; dell’avvenuto pagamento dell’IVA da parte degli acquirenti comunitari che esistevano e che avevano ricevuto le forniture; della mancanza di un danno erariale (fatto che dimostrerebbe il carattere meramente formale dell’omissione addebitata).

2.3. Quanto al motivo accolto in tema di IVA, le cessioni intracomunitarie sono effettuate, ex D.L. n. 331 del 1993, art. 50, commi 1 e 2, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 427 del 1993, in regime di non imponibilità – così consentendo il pagamento dell’imposta nel solo Stato dell’Unione Europea nell’ambito del quale il bene è destinato al consumo – anche nel caso in cui negli elenchi riepilogativi che gli operatori intracomunitari sono tenuti a compilare ai sensi del cit. D.L., art. 50, comma 6, venga riportata una partita IVA del corrispondente comunitario cessata, atteso che una siffatta indicazione, così come l’ipotesi della sua omissione, non è sanzionata dalla legge e che, diversamente opinando, l’operazione verrebbe sottoposta ad una doppia imposizione (nel paese di origine dei beni ed in quello di destinazione degli stessi) (21183/14).

Ai fini della non imponibilità delle cessioni intracomunitarie, non assumono invero rilievo nè l’omessa attribuzione al cessionario del codice identificativo nè l’omessa annotazione nell’elenco riepilogativo Istat (Intrastat), atteso che la mancanza di tali adempimenti non fa venir meno la natura intracomunitaria dell’operazione, laddove sia dimostrato che la stessa abbia avuto effettivamente luogo e che il destinatario di essa sia un operatore comunitario, (23763/15). E ciò perchè la non imponibilità dell’operazione non può dipendere da un elemento formale, quale è l’indicazione in fattura di un esatto numero identificativo, quando sussista e non sia contestata la qualità comunitaria del cessionario (19368/15).

2.4. Nel caso di specie, la sentenza della CTR evidenzia “l’inesistenza… dell’atto di conferma” o meglio, della richiesta da parte del contribuente all’ufficio competente della conferma della correttezza dei dati identificativi dell’acquirente del bene. La decisione definisce detta conferma dell’amministrazione finanziaria “requisito essenziale della previsione normativa, di per sè sufficiente ad escludere l’ingresso dell’istituto nella non imponibilità”. In questo modo, la sentenza della CTR si pone in contrasto con l’indirizzo giurisprudenziale illustrato, secondo cui la disciplina della non imponibilità non è esclusa nè nel caso in cui venga riportata una partita IVA del corrispondente comunitario cessata, nè nell’ipotesi di omessa annotazione nell’elenco riepilogativo Istat (lntrastat). Il regime della non imponibilità deve essere escluso solo in presenza di violazioni sostanziali, cioè nei casi in cui la prestazione non sia stata effettuata o il destinatario di essa non sia un operatore comunitario o non sia più operativo, anche se con altro numero.

Questi profili non sono stati affrontati nella sentenza della CTR che, al contrario, ha reputato sufficiente la mera violazione formale per escludere l’applicazione della disciplina della imponibilità.

3. Ne consegue che il motivo di ricorso deve essere accolto, con conseguente cassazione della sentenza e rinvio ad altra sezione della Commissione tributaria regionale del Lazio, affinchè riesamini la fattispecie, valutando la ricorrenza dei presupposti sostanziali della normativa di settore sulla base degli elementi ritualmente prodotti nel corso del procedimento.

PQM

La Corte Suprema di Cassazione;

Accoglie il primo motivo ricorso, dichiara assorbito il secondo, cassa l’impugnata sentenza e rinvia avanti alla CTR Lazio che, in altra composizione, provvederà pure alla liquidazione delle spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Quinta Civile, il 4 aprile 2016.

Depositato in Cancelleria il 9 agosto 2016

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