Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16719 del 05/08/2020

Cassazione civile sez. lav., 05/08/2020, (ud. 18/02/2020, dep. 05/08/2020), n.16719

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 6292-2014 proposto da:

C.S., M.G., N.L.;

CH.MA., CH.PA. nella qualità di eredi di

S.L.; D.A., D.M.A., nella qualità di

eredi di T.M., tutti elettivamente domiciliati in ROMA,

LUNGOTEVERE DELLA VITTORIA 10/B, presso lo studio dell’avvocato

ALESSANDRO PRUDENZANO, rappresentati e difesi dall’avvocato FRANCO

D’ACUNTO;

– ricorrenti –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, in persona del

Presidente e legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura

Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli Avvocati SERGIO

PREDEN, LUIGI CALIULO, LIDIA CARCAVALLO, ANTONELLA PATTERI;

– controricorrente –

e contro

INTESA SANPAOLO S.P.A., quale incorporante SANPAOLO IMI S.P.A., in

persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR 19, presso lo studio

dell’avvocato RAFFAELE DE LUCA TAMAJO, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato PAOLO TOSI;

– controricorrente –

e contro

FONDO PENSIONE COMPLEMENTARE PER IL PERSONALE DEL BANCO DI NAPOLI;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1770/2013 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 18/03/2013 R.G.N. 3215/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

18/02/2020 dal Consigliere Dott. DANIELA CALAFIORE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CIMMINO Alessandro, che ha concluso per accoglimento del secondo

motivo del ricorso;

udito l’Avvocato ELISA PUCCETTI per delega verbale Avvocato PAOLO

TOSI;

udito l’Avvocato SERGIO PREDEN.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Le odierne parti ricorrenti, C.S., M.G., N.L., Ch.Ma., Ch.Pa., D.A. e D.M.A., quali eredi o titolari di pensione di reversibilità erogata dapprima dal Banco di Napoli s.p.a. e poi da SANPAOLO IMI s.p.a. anche per conto dell’INPS successivamente al 31.12.1990, hanno chiesto al giudice del lavoro di Napoli di accertare il proprio diritto all’adeguamento della citata pensione nella misura del 60% della pensione diretta percepita dal dante causa, posto che, invece, la medesima pensione era stata determinata nella misura del 50% dell’importo fruito dal dante causa e ciò in affermata violazione del disposto del D.Lgs. n. 357 del 1990, art. 1. Tale norma aveva previsto l’iscrizione all’AGO per invalidità, vecchiaia e superstiti anche per i titolari di trattamenti pensionistici diretti o ai superstiti a carico delle forme esclusive in applicazione della L. n. 465 del 1965, art. 22, che fissava le aliquote da corrispondere ai vari ordini di familiari superstiti, con condanna di INTESA SANPAOLO s.p.a. e del Fondo di Previdenza Complementare per il personale del Banco di Napoli (d’ora in avanti Fondo) al pagamento delle differenze maturate; in subordine, le stesse parti hanno chiesto accertare che il medesimo diritto è stato riconosciuto dalla L. n. 335 del 1995, art. 1, comma 41, che aveva esteso la disciplina del trattamento pensionistico a favore dei superstiti vigente nell’AGO a tutte le forme esclusive o sostitutive di detto regime.

2. Il Tribunale, dopo aver disposto la chiamata in causa dell’INPS, ha rigettato la domanda. La Corte d’appello di Napoli, respingendo il gravame delle pensionate, ha rilevato che l’integrale applicazione delle regole di calcolo della pensione di reversibilità proprie dell’AGO è previsto solo per i dipendenti ancora in servizio alla data del 31.12.1990, mentre per i già pensionati a tale data la disciplina è quella fissata dal D.Lgs. n. 357 del 1990, art. 3, comma 2, che prevede la formazione di una quota posta a carico della gestione speciale all’uopo istituita nella percentuale indicata (85%), calcolata secondo le regole dell’AGO ed altra quota, a carico dell’ente creditizio di provenienza, sulla base del trattamento già maturato secondo la disciplina aziendale.

Inoltre, anche la domanda subordinata è stata giudicata infondata attesa la inapplicabilità ratione temporis della L. n. 335 del 1995, art. 1, comma 41.

3. Avverso tale sentenza ricorrono per cassazione le ricorrenti sulla base di plurimi motivi ricondotti formalmente a tre.

Resistono con separati controricorsi l’INPS ed INTESA SANPAOLO s.p.a. – Fondo.

Le parti ricorrenti ed INTESA SANPAOLO s.p.a. – Fondo hanno depositato memorie ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo si evidenzia l’errore materiale, che si prospetta come violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, in cui sarebbe incorsa la Corte d’appello là dove non ha riportato, nel novero degli appellati, il Fondo nei cui confronti era stata emessa la sentenza di primo grado.

2. Con il secondo motivo si denuncia, complessivamente, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 357 del 1990, artt. 1, 2, 3 e 4 e dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in ragione della pronuncia di rigetto della domanda emessa dalla Corte territoriale nonostante l’INPS avesse riconosciuto ed operato in senso opposto, applicando sulla quota di propria spettanza la disciplina AGO alla pensione di reversibilità delle ricorrenti e corrispondendo le differenze spettanti.

3. Sotto altro profilo, si lamenta la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e n. 5 sia sul piano della logicità e congruità della motivazione che su quello della falsa interpretazione della legge. Ciò in quanto la sentenza impugnata ha statuito l’infondatezza della pretesa delle parti ricorrenti al contempo affermando che la quota a carico dell’INPS è in effetti pari al 60% di quella diretta; ritenere che la quota di pensione di reversibilità a carico del Banco, calcolata secondo la disciplina previgente, è data dall’eventuale trattamento di miglior favore risultante dall’applicazione della previgente disciplina aziendale – 50% della pensione diretta – significa stravolgere l’impianto normativo che trasferisce i dipendenti ed i pensionati al regime AGO ed il conseguente disposto del D.Lgs. n. 357 del 1990, art. 3, commi 2 e 3. Tale interpretazione, infatti, importerebbe l’affermazione del principio secondo il quale la disposizione di garanzia di miglior favore (D.Lgs. n. 357 del 1990, art. 3, comma 4) si ritorcerebbe a danno del pensionato ove la normativa AGO gli attribuisca un regime migliore di quello assicurato dal regime di provenienza.

4. Con il terzo motivo si lamenta la violazione e falsa applicazione della L. n. 335 del 1995, art. 1, comma 41, e dell’art. 3, comma 19, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1 n. 3, là dove la sentenza impugnata ha negato che l’estensione della disciplina AGO a tutte le forme esclusive o esonerative di tale regime sia applicabile alle parti ricorrenti in ragione del fatto che i trattamenti pensionistici diretti erano maturati prima dell’entrata in vigore di tale legge. Ad avviso delle parti ricorrenti, in particolare, ai sensi dell’art. 1, comma 41, cit. le percentuali di calcolo della pensione di reversibilità sono state estese a tutti i trattamenti sostitutivi ed esonerativi senza alcun limite temporale di maturazione del diritto a pensione e per gli assegni futuri e nello stesso senso si deve interpretare il disposto della L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 19.

5. In via preliminare, va dichiarata l’inammissibilità del primo motivo con il quale si è richiesto di procedere alla correzione della omissione in cui sarebbe incorsa la Corte d’appello per non aver incluso fra le parti appellate anche il Fondo Pensione Complementare per il personale del Banco di Napoli, pur avendo lo stesso Fondo preso parte al primo grado di giudizio.

6. Questa Corte di legittimità ha affermato più volte il principio secondo il quale anche nel caso in cui sia stato già proposto ricorso per cassazione avverso una sentenza viziata da errore materiale, l’istanza di correzione non può essere proposta dinanzi alla corte di legittimità, ma unicamente al giudice di merito, a norma dell’art. 287 c.p.c.; tale principio “ancor più deve essere confermato” dopo la pronuncia di parziale illegittimità costituzionale del detto articolo, dettata dalla sentenza della Corte Cost. n. 335 del 2004, limitatamente alle parole “contro le quali non sia stato proposto appello”, sicchè il solo giudice competente alla correzione è quello che ha emesso la sentenza affetta dall’errore (Cass. n. 9968 del 2005; Cass. n. 21492 del 2005).

7. I diversi motivi, raggruppati in quello che è indicato come secondo motivo, essendo connessi, vanno trattati congiuntamente. Viene formulata denuncia cumulativa del vizio di violazione di legge e di motivazione giacchè dalla interpretazione complessiva del regime pensionistico dei dipendenti del Banco di Napoli (escluso dal regime AGO), del contenuto della L. n. 218 del 1990, art. 3 e di quello del D.Lgs. n. 357 del 1990, artt. 5,1,2,3 e 4, che hanno disciplinato la soppressione dello speciale regime ed il passaggio all’AGO, si dovrebbe trarre la conclusione che il legislatore avrebbe inteso creare una gestione speciale presso l’INPS con due regimi distinti: quello dei lavoratori in servizio e quello degli iscritti pensionati, con l’affermazione del principio della garanzia del trattamento di miglior favore come minimo inderogabile e non già come tetto di trattamento pensionistico. Per quanto qui di interesse, dunque, poichè il legislatore non ha disciplinato espressamente il caso delle pensioni di reversibilità nate dopo il 31 dicembre 1990 e generate da pensioni dirette liquidate prima di tale data, non può applicarsi la disciplina dei dipendenti in servizio al 31 dicembre 1990, ma la disciplina deve trarsi dal regime previsto per i pensionati con i necessari adattamenti, con conseguente erogazione della pensione secondo la disciplina dell’AGO ripartita tra INPS (per l’85%) ed il Banco di Napoli (per il 15%).

8. Poichè, però, la Corte territoriale non ha condiviso tale interpretazione e non ha nemmeno dato rilievo alla circostanza che l’INPS ha riconosciuto il diritto delle parti ad ottenere il calcolo della quota a proprio carico nella misura del 60% prevista per l’AGO, la pronuncia impugnata avrebbe anche omesso l’esame di tale fatto decisivo per il giudizio e contemporaneamente motivato in modo incongruo e contraddittorio. Ancora, tale vizio di motivazione si sarebbe realizzato anche per effetto del mancato esame della domanda subordinata volta alla applicazione dell’aliquota AGO alla Gestione speciale e l’aliquota della gestione esclusiva alla quota gravante sul Banco di Napoli.

9. Va dichiarato inammissibile il motivo che intende denunciare un vizio di motivazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, indicando l’omesso esame della condotta processuale tenuta dall’INPS, in quanto tale condotta non integra alcun fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia (Cass. SS.UU. nn. 8053 ed 8054 del 2014; Cass. n. 25216 del 2014; Cass. n. 9253 del 2017; Cass. n. 27415 del 2018).

10. Pure inammissibile è il motivo che, sempre con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, denuncia la violazione dell’art. 112 c.p.c.. Infatti (come statuito da Cass. n. 21257 del 2014 e Cass. n. 23828 del 2015), dopo la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito in L. 7 agosto 2012, n. 134, l’omessa pronunzia continua a sostanziarsi nella totale carenza di considerazione della domanda e dell’eccezione sottoposta all’esame del giudicante, il quale manchi completamente perfino di adottare un qualsiasi provvedimento, quand’anche solo implicito, di accoglimento o di rigetto, invece indispensabile alla soluzione del caso concreto; al contrario, il vizio motivazionale previsto dal n. 5) dell’art. 360 c.p.c. presuppone che un esame della questione oggetto di doglianza vi sia pur sempre stato da parte del giudice di merito, ma che esso sia affetto dalla totale pretermissione di uno specifico fatto storico, oppure che si sia tradotto nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa, invece, qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione.

11. Occorre, dunque, esaminare il motivo relativo alla violazione di legge. La questione prospettata impone di dare risposta al quesito relativo alla disciplina applicabile alla pensione di reversibilità generata, successivamente al dicembre 1990, da pensione diretta fruita da dipendente del Banco di Napoli.

12. Da un punto di vista generale va ricordato che, come recentemente ricostruito dalla Corte Costituzionale (Corte Cost. n. 12 del 2018) nell’ambito – e in conseguenza – della cosiddetta privatizzazione degli enti pubblici creditizi, la L. 30 luglio 1990, n. 218, agli artt. 3, comma 3, e 6, delegò il Governo a emanare decreti con valore di legge ordinaria diretti, tra l’altro, a disciplinare, secondo le norme dell’assicurazione generale obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti, il trattamento previdenziale dei dipendenti in servizio e in quiescenza degli enti pubblici creditizi che, alla data di entrata in vigore della stessa legge, erano esclusi o esonerati dall’obbligo di iscrizione all’assicurazione generale obbligatoria, in quanto la relativa materia era disciplinata, rispettivamente, dall’allegato T alla L. 8 agosto 1895, n. 486, art. 39 (Legge sui provvedimenti di finanza e di tesoro) e dalla L. 20 febbraio 1958, n. 55, art. 15 (Estensione del trattamento di riversibilità ed altre provvidenze in favore dei pensionati dell’assicurazione obbligatoria per la invalidità, la vecchiaia ed i superstiti).

13. Il D.Lgs. n. 357 del 1990 – con cui la delega fu esercitata – stabilì la soppressione dei regimi pensionistici esclusivi o esonerativi dei menzionati enti pubblici creditizi (art. 5, comma 1) e la riconduzione dei loro dipendenti (attuali, futuri e in quiescenza), a decorrere dal periodo di paga in corso al 1 gennaio 1991, nell’ambito dell’assicurazione generale obbligatoria, attraverso l’iscrizione degli stessi in una neo istituita gestione speciale dell’INPS (art. 1, commi 1 e 2). Stabilì inoltre la contestuale trasformazione dei fondi o casse degli ex regimi esonerati in fondi integrativi dell’assicurazione generale obbligatoria, con affidamento agli stessi – o, nel caso degli ex regimi esclusivi, direttamente ai datori di lavoro – della funzione di garantire il trattamento previdenziale complessivo di maggior favore già goduto dai dipendenti in servizio o in pensione al 31 dicembre 1990 (rispettivamente, art. 5, comma 2, e art. 4).

14. In particolare, con riguardo ai dipendenti già titolari di trattamento pensionistico in essere all’entrata in vigore della L. n. 218 del 1990 (cioè al 21 agosto 1990), è stato previsto che: a) la gestione speciale assumesse a proprio carico una quota del trattamento, determinata secondo le misure percentuali indicate, per ciascuno dei regimi soppressi, nella tabella allegata al D.Lgs. n. 357 del 1990 (art. 3, comma 2, primo periodo); b) i fondi integrativi o i datori di lavoro assumessero a proprio carico la differenza tra tale quota – incrementata per effetto della disciplina della perequazione automatica dell’assicurazione generale obbligatoria (art. 3, comma 3) – e il trattamento previdenziale complessivo di maggior favore cui i pensionati avrebbero avuto diritto in base ai soppressi regimi esclusivi o esonerativi (artt. 3, comma 4, e 4, comma 2).

15. Ciò posto, è opportuno ricordare che la ratio della delega legislativa consisteva nella finalità di sollevare gli enti pubblici creditizi dalle funzioni previdenziali già loro commesse dalla L. n. 486 del 1895, art. 39, all. T, e dalla L. n. 55 del 1958, in vista della loro trasformazione in società per azioni operanti nel settore creditizio, senza contemporaneamente addossare ai lavoratori, ai pensionati o all’INPS le conseguenze negative degli squilibri di gestione pur esistenti: ne è conferma, da un lato, la previsione a favore di tutti gli iscritti alla gestione speciale di un trattamento economico complessivo, tra pensione della gestione speciale e pensione integrativa, pari a quello cui essi avrebbero avuto diritto sulla base del pregresso regime esclusivo o esonerativo (L. n. 218 del 1990, art. 3, comma 3, lett. c)) e, dall’altro lato, la garanzia che gli istituti di credito avrebbero dovuto apprestare all’equilibrio finanziario della gestione speciale per i primi vent’anni del suo funzionamento, “ciascuno nella misura in cui abbia eventualmente contribuito negli anni al verificarsi del disavanzo” (L. n. 218 del 1990, art. 3 cit., lett. a)). Ed è precisamente nell’ottica di rispettare tale delicato bilanciamento tra opposti interessi che va interpretata la normativa delegata di cui al D.Lgs. n. 357 del 1990, art. 4 e 5: la trasformazione dei fondi esonerativi e sostitutivi in fondi integrativi assolve infatti allo scopo di salvaguardare i lavoratori e i pensionati da eventuali effetti pregiudizievoli dovuti all’assoggettamento al nuovo regime dell’assicurazione generale obbligatoria, garantendo loro l’intervento dei fondi integrativi (o degli stessi datori di lavoro, nel caso dei fondi ex esclusivi) a copertura delle eventuali differenze rispetto al trattamento che sarebbe loro spettato in virtù del precedente regime.

16. In altri termini, una volta individuato il trattamento spettante in relazione al precedente regime esonerativo o esclusivo come soglia al di sotto della quale non può collocarsi il trattamento concretamente percepito dal lavoratore o dal pensionato al quale il D.Lgs. n. 357 del 1990, art. 4, comma 1, assicura “il diritto al trattamento previdenziale complessivo di miglior favore previsto dalle forme di assicurazione obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia ed i superstiti esclusive od esonerative di rispettiva iscrizione, che agli effetti del richiamato diritto continuano ad operare”, l’intervento dei fondi o delle casse è previsto per integrare l’eventuale “differenza tra il trattamento complessivo di cui al comma 1, tempo per tempo determinato, e la pensione o la quota di pensione a carico della gestione speciale ai sensi rispettivamente dell’art. 2 e dell’art. 3, incrementate per effetto della disciplina di perequazione automatica” (D.Lgs. n. 357 del 1990, art. 4, comma 2).

17. E’ in tale preciso significato che va letta l’affermazione di Cass. n. 10148 del 2017 (ripresa poi da Cass. n. 12364 del 2017, cit. da parte ricorrente nella memoria dep. ex art. 378 c.p.c.) secondo cui la quota di pensione a carico della gestione speciale INPS, una volta determinata al 1.1.1991, segue le regole dell’assicurazione generale obbligatoria per ciò che concerne il regime giuridico e gli adeguamenti, mentre la quota c.d. aziendale continua a seguire il regime (già esonerativo o esclusivo) più favorevole, fermo restando che le differenze che ne derivano ricadono a carico del datore di lavoro ovvero dei fondi e delle casse integrativi: nel complesso meccanismo delineato dal legislatore delegato, infatti, la quota c.d. aziendale è funzionale esclusivamente alla garanzia del mantenimento del trattamento di miglior favore calcolato secondo la disciplina propria dell’originario regime esonerativo o esclusivo, che – come si esprime l’art. 4, comma 2, cit. – solo a tal fine continua ad operare.

18. Così ricostruito il quadro normativo di riferimento, balza evidente l’infondatezza del motivo di censura.

19. Nel sistema delineato dal legislatore delegato, infatti, è del tutto indifferente, ai fini dell’intervento integrativo del fondo, la modalità con cui si perviene a individuare la quota di pensione a carico della gestione speciale istituita presso l’INPS, a seconda che si tratti di lavoratori ancora dipendenti o già pensionati alla data del 31.12.1990: ciò che conta, secondo la previsione del D.Lgs. n. 357 del 1990, art. 4, comma 1, è che sia fatto salvo, per tutti gli iscritti alla gestione speciale, il diritto al trattamento previdenziale complessivo di miglior favore previsto dalle forme di assicurazione obbligatoria esclusive o esonerative di rispettiva iscrizione, che agli effetti del diritto in questione continuano ancora ad operare. E se quanto appena detto priva di ogni rilievo la censura rivolta all’impugnata sentenza per aver ritenuto che i trattamenti pensionistici di reversibilità conseguiti dopo il 31.12.1990 andassero assoggettati al regime proprio dell’art. 2 (e non del D.Lgs. n. 357 del 1990, art. 3), non è affatto plausibile la pretesa dei ricorrenti di assoggettare la quota di pensione a carico del Fondo al regime proprio dell’assicurazione generale obbligatoria, dal momento che l’intervento del Fondo è subordinato alla circostanza che la quota di pensione a carico della gestione speciale INPS, comunque sia stata determinata, non attinga “tempo per tempo” al livello del trattamento previdenziale complessivo di miglior favore già previsto dalla forma di assicurazione obbligatoria esclusiva o esonerativa di originaria iscrizione e non può dunque che seguire le regole proprie di essa.

20. Parimenti infondato è il terzo motivo: è sufficiente al riguardo rilevare, da un lato, che la previsione della L. n. 335 del 1995, art. 1, comma 41, secondo il quale “la disciplina del trattamento pensionistico a favore dei superstiti di assicurato e pensionato vigente nell’ambito del regime dell’assicurazione generale obbligatoria è estesa a tutte le forme esclusive o sostitutive di detto regime”, non è logicamente applicabile ai fondi istituiti in applicazione del D.Lgs. n. 357 del 1990, trattandosi di fondi che al momento dell’entrata in vigore della L. n. 335 del 1995 non erano più esclusivi o sostitutivi, bensì come anzidetto – meramente integrativi dell’assicurazione generale obbligatoria, e che, dall’altro lato, il disposto della L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 19, che prevede l’applicazione “(del)le disposizioni di cui alla presente legge in materia di previdenza obbligatoria riferite ai lavoratori dipendenti e pensionati dell’assicurazione generale obbligatoria” anche “alla gestione speciale e ai regimi aziendali integrativi di cui al D.Lgs. 20 novembre 1990, n. 357, già rientranti nel campo di applicazione delle disposizioni di cui al D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 503, art. 9, per i lavoratori e pensionati, quale che sia il momento del pensionamento” (e con “riflessi sul trattamento complessivo di cui all’art. 4 del citato D.Lgs. n. 357 del 1990, salvo che non venga diversamente disposto in sede di contrattazione collettiva”), è affatto irrilevante ai fini auspicati dai ricorrenti, dal momento che le uniche disposizioni della L. n. 335 del 1995 che concernono la pensione di reversibilità si preoccupano di definirne i limiti di cumulo con altri redditi del beneficiario e non riguardano l’individuazione dell’aliquota di riduzione (salvo l’innalzamento al 70% limitatamente “alle pensioni ai superstiti aventi decorrenza dalla data di entrata in vigore della presente legge” in presenza dei presupposti di cui alla L. n. 335 del 1995, art. 1, comma 41, che qui però non rileva), che resta fissata nella misura del 60% ai sensi della L. n. 903 del 1965, art. 22.

21. In definitiva, il ricorso va rigettato.

22. Le spese seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida, in favore di ciascun contro ricorrente, in Euro 10.000,00 per compensi, oltre ad Euro 200,00 per esborsi, spese forfetarie nella misura del 15% e spese accessorie di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, ove dovuto.

Così deciso in Roma, il 18 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 5 agosto 2020

 

 

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