Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16710 del 05/08/2020

Cassazione civile sez. lav., 05/08/2020, (ud. 15/01/2020, dep. 05/08/2020), n.16710

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RAIMONDI Guido – Presidente –

Dott. BALESTRIERI Federico – rel. Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3054-2016 proposto da:

TELECOM ITALIA S.P.A., C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

L.G. FARAVELLI 22, presso lo studio dell’avvocato ARTURO MARESCA,

che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati ENZO MORRICO,

FRANCO RAIMONDO BOCCIA, ROBERTO ROMEI;

– ricorrente –

contro

C.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CRESCENZIO

58, presso lo studio dell’avvocato BRUNO COSSU, che lo rappresenta e

difende unitamente agli avvocati ALBERTO PICCININI, SAVINA BOMBOI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 233/2015 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 28/07/2015 R.G.N. 465/2014.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

Con ricorso per decreto ingiuntivo depositato il 7.2.2013, il C. chiedeva al Tribunale di Bologna di ingiungere a Telecom Italia s.p.a. il pagamento di Euro 19.948,40, oltre interessi legali dalla richiesta al saldo, spese e competenze del procedimento monitorio, sulla base della sentenza della Corte di Appello di Bologna depositata in data 22.8.2012 che aveva dichiarato la nullità della cessione del ramo d’azienda (cui lo stesso lavoratore apparteneva) da Telecom Italia s.p.a. ad HP DCS s.r.l., nonchè il ripristino del rapporto di (avaro con Telecom Italia S.p.A..

A sostegno della sua pretesa, il C. deduceva:

– di aver lavorato alle dipendenze della Società IT Telecom (oggi Telecom Italia s.p.a.) sino al 16.4.2003;

di essere stato trasferito da Telecom Italia ad HP-DCS in data 16.4.2003; di essersi opposto al suddetto trasferimento e di averlo impugnato dinanzi al Tribunale di Bologna ed alla Corte di Appello di Bologna; con decisione depositata il 22.8.2012, la Corte d’Appello di Bologna aveva dichiarato l’inefficacia della cessione ed aveva ordinato il ripristino del rapporto di lavoro con Telecom Italia;

che tuttavia Telecom Italia non aveva ottemperato alla sentenza della Corte felsinea.

Conseguentemente, con il ricorso per decreto ingiuntivo, controparte chiedeva, pur non svolgendo la prestazione lavorativa in favore di Telecom, il pagamento delle retribuzioni dal 6 aprile 2012 al 30 settembre 2012, per un importo totale pari ad Euro 19.948,40.

Il Tribunale di Bologna concedeva il richiesto decreto ed il lavoratore ingiungeva a Telecom Italia il pagamento delle mensilità sopra indicate, oltre interessi legali e spese della procedura liquidate.

La Società promuoveva tempestivamente opposizione con ricorso notificato il 22.4.2013, chiedendo la revoca del decreto opposto, cui resisteva controparte.

Il Tribunale di Bologna rigettava l’opposizione.

Telecom Italia proponeva appello, che veniva respinto dalla Corte felsinea, con sentenza n. 129/12.

Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso Telecom Italia s.p.a., affidato a tre motivi, cui resiste il C. con controricorso, poi illustrato con memoria.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

Con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 431 e 282 c.p.c., lamentando che la sentenza d’appello ritenne erroneamente che la sentenza di reintegra non ancora passata i giudicato potesse costituire titolo per l’emissione di d.i..

Il motivo è evidentemente infondato, dovendosi distinguere l’esecutività del titolo (peraltro sussistente ex art. 18, comma 6 Stat.Lav.) dalla prova scritta del credito (art. 633 c.p.c.), ben individuabile in una sentenza di reintegra.

Con secondo motivo è denunciata la violazione dell’art. 112 c.p.c. per avere la sentenza impugnata dichiarato il diritto del C. al risarcimento del danno mentre il lavoratore aveva richiesto unicamente il pagamento delle retribuzioni dal 6.4 al 30.9.12.

Il motivo è sostanzialmente infondato.

Questa Corte deve infatti prendere atto che i più recenti arresti di legittimità hanno affermato che una volta dichiarato illegittimo il trasferimento di azienda, il lavoratore, che pure ha proseguito di fatto a lavorare ed essere retribuito dalla cessionaria, può chiedere alla cedente non il risarcimento del danno (come ritenuto da un prectgente orientamento di legittimità: Cass. 17 luglio 2008 n. 19740; Cass. 9 settembre 2014 n. 18955; Cass. 25 giugno 2018, n. 16694) ma l’effettiva retribuzione dovuta, senza dunque possibilità di detrarre da quest’ultima quanto medio tempore percepito dal cessionario od in connessione col rapporto di lavoro con quest’ultimo (Cass. n. 17784/19, Cass. n. 21158/19, Cass. n. 29092/19, Cass. SU n. 2990/18).

La decisione impugnata risulta dunque sostanzialmente corretta, pur avendo erroneamente qualificato la domanda del C., esplicitamente diretta al pagamento delle retribuzioni, come domanda di risarcimento del danno da parte di Telecom.

Nella specie infatti la pretesa formale e sostanziale del lavoratore riguardava la retribuzione perduta dalla cedente nel periodo oggi in causa, sicchè essa andava accolta.

Deve peraltro rilevarsi che: “in caso di cessione di ramo d’azienda, ove su domanda del lavoratore ceduto venga giudizialmente accertato che non ricorrono i presupposti di cui all’art. 2112 c.c., le retribuzioni in seguito corrisposte dal destinatario della cessione, che abbia utilizzato la prestazione del lavoratore successivamente alla messa a disposizione di questi delle energie lavorative in favore dell’alienante, non producono un effetto estintivo, in tutto o in parte, dell’obbligazione retributiva gravante sul cedente che rifiuti, senza giustificazione, la controprestazione lavorativa” (Cass.n. 29092/19).

Con terzo motivo la Telecom denuncia la violazione dell’art. 230 c.p.c. per non avere la sentenza impugnata ammesso l’interrogatorio formale del C. circa la sua prestazione di attività lavorativa presso società terza (HPD) dal marzo 2012.

Il motivo è assorbito dalle considerazioni che precedono (a prescindere dalla circostanza che la Corte di merito ha accertato che il C. lavorò per la HPD sino al 25.6.07, allorquando venne da essa licenziato per riduzione di personale).

Il ricorso deve essere pertanto rigettato.

Il recentissimo revirement della giurisprudenza di legittimità in materia, consiglia la compensazione tra le parti delle spese del presente giudizio.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e compensa tra le parti le spese del presente giudizio. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo risultante dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella adunanza camerale, il 15 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 5 agosto 2020

 

 

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