Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16709 del 14/06/2021

Cassazione civile sez. trib., 14/06/2021, (ud. 26/02/2021, dep. 14/06/2021), n.16709

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – Consigliere –

Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –

Dott. MANCINI Laura – rel. Consigliere –

Dott. SAIEVA Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 28862/2014 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, (C.F. (OMISSIS)), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in Roma, in via dei Portoghesi

12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e

difende ope legis;

– ricorrente –

contro

A.F., (C.F. (OMISSIS)), AGRO PROJECT S.R.L. IN

LIQUIDAZIONE, (C.F. (OMISSIS)), in persona del legale rappresentante

pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avv. Giuseppe Natola ed

elettivamente domiciliati in Roma, via Claudio Monteverdi 16, presso

lo studio di quest’ultimo;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 919/14 della Commissione tributaria regionale

della Puglia, depositata il.22 aprile 2014.

Udita la relazione svolta nell’adunanza camerale del 26 febbraio 2021

dal Consigliere Dott.ssa Laura Mancini.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. Con sentenza depositata l’8 giugno 2012 la Commissione tributaria provinciale di Bari accolse i ricorsi proposti dalla Agro Project s.r.l. e da A.F., quale socio per la quota del 95% e legale rappresentante di detta società, avverso gli avvisi di accertamento con i quali l’Agenzia delle entrate, sulla base degli studi di settore, aveva accertato, a fini IRES, IRPEF, addizionale regionale, IRAP ed IVA, un reddito di impresa della società di Euro 52.455,00, a fronte di quello dichiarato di Euro 12.455,00, e un reddito da capitale del socio di Euro 15.200,00, a fronte di quello dichiarato pari a zero.

2. La Commissione tributaria regionale della Puglia confermò la decisione di prime cure osservando che l’Amministrazione finanziaria aveva fondato l’accertamento sul solo scostamento esistente tra i ricavi dichiarati e quelli risultanti dall’applicazione degli studi di settore, senza considerare le contestazioni svolte dai contribuenti in merito all’inidoneità del cluster utilizzato ad identificare l’azienda.

3. Avverso tale pronuncia l’Agenzia delle entrate propone ricorso affidato a tre motivi cui resistono la Agro Project s.r.l. in liquidazione e A.F. con controricorso illustrato da memoria ex art. 380-bis.1 c.p.c.. Il Procuratore Generale ha depositato requisitoria scritta in forma di memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, l’Agenzia delle entrate lamenta la violazione e falsa applicazione della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 42, del D.L. 30 agosto 1993, n. 331, art. 39, comma 1, lett. d), e artt. 62-bis e 62-sexies, nonchè dell’art. 2697 c.c..

Si deduce che, contrariamente a quanto ritenuto dai giudici d’appello, l’Ufficio ha desunto l’inesattezza dei ricavi dichiarati dalla Agro Project s.r.l. proprio attraverso l’esame della sua contabilità che, ancorchè formalmente regolare, ha palesato un’incongruità dei ricavi e un’incoerenza degli indici economici reiterata per più anni di imposta, precedenti e successivi all’annualità in verifica (2004), posto che il reddito di impresa dichiarato dalla stessa contribuente è risultato di gran lunga inferiore rispetto alle spese per lavoro dipendente.

Per tale ragione, a fronte di uno scostamento tra la dichiarazione e le risultanze dell’applicazione degli studi settore, l’Ufficio ha attivato il contraddittorio ed ha formulato al ribasso la pretesa tributaria tenendo conto della non coincidenza tra l’attività svolta dalla società Agro project s.r.l. e il cluster di settore in cui la stessa era stata inserita.

La ricorrente deduce, inoltre, che l’atto impositivo risulta fornito di valida motivazione ai sensi della L. 212 del 2000, art. 7, e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), e art. 42, in quanto giustifica la pretesa impositiva evidenziando lo scostamento della dichiarazione della contribuente dalle risultanze degli studi di settore.

1.1. Con il secondo motivo si denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 2.

Ad avviso dell’Amministrazione finanziaria, la sentenza impugnata ha violato le disposizioni concernenti l’esatto ambito di cognizione attribuito alla giurisdizione tributaria, il quale è esteso al merito della pretesa fiscale e non può limitarsi alla determinazione degli effetti caducatori dell’atto impositivo senza procedere, al contempo, alla determinazione dell’imposta dovuta.

1.2. Con il terzo motivo si lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Assume, in particolare, la ricorrente che la sentenza impugnata ha omesso di esaminare gli elementi di fatto, tutti riconducibili al D.P.R. n. 600 del 1973, ridetto art. 39, comma 1, lett. d), valorizzati nell’avviso di accertamento e, in particolare, lo scostamento dei ricavi dichiarati dalle risultanze degli studi di settore e l’incongruenza reiterata per più anni di imposta, precedenti e successivi a quello in verifica.

2. Il primo motivo è fondato.

Come più volte evidenziato da questa Corte, anche a Sezioni unite, la procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è ex lege determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli standard, quali meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività, ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare con il contribuente.

In tale sede, quest’ultimo ha l’onere di provare, senza limitazione alcuna di mezzi e di contenuto, la sussistenza di condizioni che giustificano l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui possono essere applicati gli standard o la specifica realtà dell’attività economica nel periodo di tempo in esame, mentre la motivazione dell’atto di accertamento non può esaurirsi nel rilievo dello scostamento, ma deve essere integrata con la dimostrazione dell’applicabilità in concreto dello standard prescelto e con le ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate dal contribuente.

L’esito del contraddittorio, tuttavia, non condiziona l’impugnabilità dell’accertamento, potendo il giudice tributario liberamente valutare tanto l’applicabilità degli standard al caso concreto, da dimostrarsi dall’ente impositore, quanto la controprova offerta dal contribuente (Cass., Sez. U., 18/12/2009, n. 26635; Cass., Sez. 5, 20/9/2017, n. 21754; Cass. Sez. 5, 30/10/2018, n. 27617).

Una volta, dunque, che l’Amministrazione abbia dimostrato la sussistenza di gravi incongruenze tra i dati emergenti dagli studi di settore e il reddito dichiarato dal contribuente, quest’ultimo, al fine di superare la presunzione di reddito determinata dalla procedura standardizzata, è gravato dell’onere di dimostrare, attraverso informazioni ricavabili da fonti di prova acquisite al processo con qualsiasi mezzo, la sussistenza di circostanze di fatto tali da far discostare la sua attività dal modello normale al quale i parametri fanno riferimento e giustificare un reddito inferiore a quello che sarebbe stato normale in virtù di detta procedura (Cass. Sez. 5, ord. 15/1/2019, n. 769).

2.1. Di conseguenza, il fatto che l’accertamento tragga spunto da uno studio di settore non esclude che esso possa fondarsi anche su altri elementi giustificativi (v. Cass., Sez. 5, ord. 5/12/2019, n. 31814; Cass. Sez. 5, ord. 19/3/2019, n. 15344).

In particolare, un accertamento tributario può ritenersi basato sullo studio di settore soltanto quando trovi in esso il suo fondamento prevalente (Cass. Sez. 5, ord. 5/12/2019, n. 31814, cit.), situazione, questa, non ricorrente quando, come nella specie, all’esito dell’accertamento mediante studi di settore siano emerse incongruenze nella contabilità di impresa che abbiano indotto l’ente accertatore ad approfondire l’analisi, riscoprendo altri, e prevalenti, indici rivelatori dell’esistenza di una operatività economica non dichiarata (cfr. Cass. Sez. 5, 6/6/2019, n. 15344, cit.).

Ne deriva che la corrispondenza del reddito dichiarato agli studi di settore non impedisce all’Amministrazione finanziaria di procedere all’accertamento di maggiori redditi (Cass. Sez. 5, 14/12/2012, n. 23096; Cass. Sez. 5, 24/9/2014, n. 20060) e che, una volta contestata dall’Erario l’antieconomicità di un’operazione posta in essere dal contribuente che sia imprenditore commerciale, perchè basata su una contabilità complessivamente inattendibile, in quanto contrastante con i criteri di ragionevolezza, diviene onere dello stesso contribuente dimostrare la liceità fiscale della suddetta operazione e il giudice tributario non può, al riguardo, limitarsi a constatare la regolarità della documentazione. Infatti, è consentito al fisco dubitare della veridicità delle operazioni dichiarate e desumere minori costi, utilizzando presunzioni semplici e obiettivi parametri di riferimento, con conseguente spostamento dell’onere della prova a carico del contribuente, che deve dimostrare la regolarità delle operazioni effettuate a fronte della contestata antieconomicità (Cass. Sez. 5, 14/6/2013, n. 14941; Cass. Sez. 5, ord. 25/10/2017, n. 25257).

2.2. Nel caso di specie, l’Amministrazione finanziaria ha fondato l’accertamento presuntivo su elementi indiziari a proprio giudizio idonei a rendere evidente l’inattendibilità dei ricavi registrati dalla società contribuente.

Non si è, quindi, al cospetto della fattispecie di cui al D.L. n. 331 del 1993, art. 62-sexies, ma di un accertamento induttivo connotato da autonomia rispetto all’accertamento standardizzato, così che, non essendo configurabile una presunzione legale discendente dalla congruità e coerenza della dichiarazione rispetto agli studi di settore, una volta che venga ravvisata l’inattendibilità dei dati dichiarati, l’onere della prova contraria si sposta sul contribuente.

3. Alla luce delle considerazioni che precedono, la sentenza gravata essere cassata in relazione al motivo accolto, con assorbimento degli altri, e la causa deve essere rinviata alla Commissione tributaria regionale della Puglia in diversa composizione anche per la regolazione delle spese di lite.

PQM

La Corte, accoglie il primo motivo, assorbiti i restanti; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Puglia, in diversa composizione, anche per la regolazione delle spese.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 26 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 14 giugno 2021

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