Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16708 del 16/07/2010

Cassazione civile sez. lav., 16/07/2010, (ud. 17/06/2010, dep. 16/07/2010), n.16708

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE LUCA Michele – Presidente –

Dott. DI CERBO Vincenzo – Consigliere –

Dott. NOBILE Vittorio – rel. Consigliere –

Dott. MAMMONE Giovanni – Consigliere –

Dott. ZAPPIA Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso

lo studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, che la rappresenta e difende,

giusta delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

F.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA RENO 21,

presso lo studio dell’avvocato RIZZO ROBERTO, che la rappresenta e

difende, giusta delega a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 6808/2005 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 26/10/2005 R.G.N. 6576/03;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

17/06/2010 dal Consigliere Dott. VITTORIO NOBILE;

udito l’Avvocato MICELI MARIO:

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FEDELI Massimo che ha concluso per l’accoglimento per quanto di

ragione.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza in data 20-5-2002 il Giudice del lavoro del Tribunale di Roma, accoglieva parzialmente la domanda proposta da F. A. nei confronti della s.p.a. Poste Italiane dichiarando la nullità della clausola appositiva del termine con riguardo alla proroga fino al (OMISSIS) del primo contratto a termine intercorso tra le parti (dal (OMISSIS)) per “esigenze eccezionali” ex art. 8 c.c.n.l. 1994 come integrato dall’acc. az. 25- 9-97 e succ).

Avverso la detta sentenza la società proponeva appello chiedendo il rigetto di tutte le originarie domande (concernenti anche i successivi contratti dal (OMISSIS) per “necessità di espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie” e dal (OMISSIS) ancora “per esigenze eccezionali” prorogato al (OMISSIS)).

La appellata si costituiva resistendo al gravame della società e proponendo appello incidentale per la parziale riforma della sentenza di primo grado con l’accoglimento integrale della domanda introduttiva e con il riconoscimento della sussistenza di un rapporto a tempo indeterminato già a decorrere dal primo contratto.

La Corte d’Appello di Roma, con sentenza depositata il 26-10-2005, accoglieva l’appello incidentale e, in parziale riforma della sentenza impugnata, che rimaneva ferma nel resto, dichiarava la nullità della clausola di apposizione del termine al contratto relativo al periodo dal (OMISSIS) al (OMISSIS) e per l’effetto dichiarava che si era instaurato tra le parti un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato con decorrenza dal (OMISSIS) “continuativo ed ancora in atto a tutt’oggi”.

In sintesi la Corte territoriale affermava la illegittimità sia del termine apposto al primo contratto sia della proroga dello stesso, osservando che “le ragioni addotte dalla società, meramente riproduttive della clausola contrattuale, seppure in ipotesi provate, non dimostrano la necessaria correlazione, ai fini della legittimità del termine, tra le ragioni medesime e quelle specifiche dell’assunzione proprio di quel lavoratore, in quel luogo, in quel tempo, con quelle specifiche mansioni” ed aggiungendo che “nello stesso ordine di idee si inscrive, la valutazione di ingiustificatezza ed illegittimità della proroga del contratto con scadenza al 30 aprile 1998 al 30 maggio successivo, peraltro ritenuta dal Tribunale”.

In sostanza la Corte di merito rilevava che “l’appellata non ha dato alcuna dimostrazione che la complessa ed estesa ristrutturazione e riorganizzazione aziendale abbia reso necessario, in attesa della definizione del riassetto occupazionale in corso di attuazione, il ricorso alla specifica assunzione ed alla proroga del termine del primo contratto”.

Infine la Corte d’Appello riteneva assorbite “le questioni attinenti agli altri e successivi contratti a termine”.

Per la cassazione di tale sentenza la società ha proposto ricorso con due motivi.

La F. ha resistito con controricorso ed ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Posto che, come si è detto, la sentenza impugnata ha affermato la illegittimità del termine apposto al primo contratto e della proroga dello stesso, osserva il Collegio che la società ricorrente con il primo motivo, denunciando violazione della L. n. 230 del 1962, della L. n. 56 del 1987, art. 23 e degli artt. 1362 e ss. c.c., in sostanza censura la decisione della Corte d’Appello nella parte in cui ha affermato la necessità della dimostrazione di una effettiva “correlazione ai fini della legittimità del termine” tra le ragioni ripetitivamente richiamate e la specifica assunzione a termine de qua.

In particolare la ricorrente deduce che la interpretazione accolta dalla Corte territoriale si sostanzia in “un ingiustificato intervento riduttivo della portata della clausola collettiva”, in contrasto con il principio della “delega in bianco” riconosciuta dalla L. n. 56 del 1987, art. 23, in favore della contrattazione collettiva, e rileva che “l’accertamento del nesso di causalità va, dunque, condotto unicamente nell’ambito della previsione collettiva”, la quale semplicemente “ritiene sufficiente a legittimare le assunzioni a termine il processo riorganizzativo, interessante l’intera azienda” Il motivo, riguardante chiaramente ed esclusivamente la questione della legittimità del termine apposto al primo contratto, è fondato.

Come questa Corte ha costantemente affermato con specifico riferimento alle assunzioni a termine di dipendenti postali previste dall’accordo integrativo 25-9-1997, L. n. 56 del 1987, ex art. 23 (v.

fra le altre Cass. 26-7-2004 n. 14011, Cass. 7-3-2005 n. 4862, Cass. 8-7-2009 n. 15981), l’attribuzione alla contrattazione collettiva del potere di definire nuovi casi di assunzione a termine, rispetto a quelli previsti dalla L. n. 230 del 1962, discende dall’intento del legislatore di considerare l’esame congiunto delle parti sociali sulle necessità del mercato del lavoro idonea garanzia per i lavoratori ed efficace salvaguardia per il loro diritti (con l’unico limite della predeterminazione della percentuale di lavoratori da assumere a termine rispetto a quelli impiegati a tempo indeterminato) e prescinde, pertanto, dalla necessità di individuare ipotesi specifiche di collegamento fra contratti ed esigenze aziendali e di provare la sussistenza del nesso causale fra le mansioni in concreto affidate e le esigenze aziendali poste a fondamento dell’assunzione a termine).

La Corte di merito, quindi, in violazione di tale principio, erroneamente ha ritenuto la nullità del termine apposto al primo contratto ((OMISSIS)), sulla base della considerazione che la società non aveva offerto alcuna dimostrazione che la complessa ed estesa ristrutturazione e riorganizzazione aziendale avesse reso necessario il ricorso alla specifica assunzione della F..

Alla base della motivazione della decisione è l’assunto secondo cui non sarebbe consentito autorizzare un datore di lavoro ad avvalersi liberamente del tipo contrattuale del lavoro a termine, senza l’individuazione di ipotesi specifiche di collegamento tra contratti ed esigenze aziendali cui sono strumentali; la sentenza, quindi, si muove pur sempre nella prospettiva che il legislatore non abbia conferito una delega in bianco ai soggetti collettivi, imponendo al potere di autonomia i limiti ricavabili dal sistema di cui alla L. n. 230 del 1962, art. 1 (in contrasto, quindi, con quanto ripetutamente affermato da questa Corte e ribadito dalle Sezioni Unite con la sentenza 2-3-2006 n. 4588).

Così accolto il primo motivo (ed in sostanza rilevata la legittimità del termine apposto al primo contratto) osserva il Collegio che la ricorrente non ha rivolto alcuna censura avverso la statuizione, pure contenuta nella impugnata sentenza, riguardante la illegittimità della proroga al (OMISSIS) del contratto stesso, sulla quale (seppure non ignorata nella premessa in fatto) nel ricorso non è stata svolta alcuna doglianza o argomentazione.

Ne consegue che sul punto deve ritenersi che sia intervenuto il giudicato, di guisa che questa Corte non può conoscere in alcun modo della questione, restando ferma la statuizione relativa della Corte territoriale.

Con il secondo motivo, poi, la ricorrente, denunciando violazione degli artt. 1217 e 1233 c.c., in sostanza lamenta che la Corte d’Appello “non ha svolto alcun tipo di verifica” in ordine alla messa in mora del datore di lavoro da parte del lavoratore e non ha tenuto conto della possibilità che il lavoratore abbia anche espletato attività lavorativa retribuita da terzi una volta cessato il rapporto di lavoro con la società resistente, disattendendo, peraltro, le richieste della società di ordine di esibizione dei modelli 101 e 740 del lavoratore.

Il motivo è inammissibile.

La prima censura risulta del tutto generica e priva di autosufficienza in quanto si incentra nella doglianza circa la mancanza di una verifica da parte della Corte territoriale sul punto, ma non indica se e in che modo il punto stesso (per nulla trattato nell’impugnata sentenza) fosse stato oggetto di specifico motivo di appello da parte della società (cfr. Cass. 15-2-2003 n. 2331, Cass. 10-7-2001 n. 9336).

Peraltro la ricorrente neppure riporta il contenuto della comunicazione (dell’istanza per il tentativo obbligatorio di conciliazione, cfr. Cass. Cass. 28-7-2005 n. 15900, Cass. 30-8-2006 n. 18710) che secondo il suo assunto non avrebbe integrato la messa in mora.

Parimenti, poi, del tutto generica e priva di autosufficienza è la censura relativa all’aliunde perceptum.

Anche al riguardo la ricorrente non specifica come e in quali termini abbia allegato davanti ai giudici di merito un aliunde perceptum (in relazione al quale è pur sempre necessaria una rituale acquisizione della allegazione e della prova, pur non necessariamente proveniente dal datore di lavoro in quanto oggetto di eccezione in senso lato – cfr. Cass. 16-5-2005 n. 10155, Cass. 20-6-2006 n. 14131, Cass. 10-8- 2007 n. 17606, Cass. S.U. 3-2-1998 n. 1099-).

Nè è censurabile il mancato accoglimento della richiesta di esibizione (dei modelli 101 e 740) avanzata, del tutto genericamente, dalla società in quanto “l’esibizione di documenti non può essere chiesta a fini meramente esplorativi, allorquando neppure la parte istante deduca elementi sulla effettiva esistenza del documento e sul suo contenuto per verificarne la rilevanza in giudizio” (v. fra le altre Cass. 20-12-2007 n. 26943).

Così accolto il primo motivo, riguardante la legittimità del termine apposto al primo contratto, e respinto il secondo, concernente le conseguenze della illegittimità della proroga del detto contratto (illegittimità non censurata dalla ricorrente), non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, confermandosi, per le ragioni sopra esposte, le statuizioni della sentenza di primo grado.

Infine la soccombenza parziale costituisce giusto motivo per compensare per 1/3 le spese dell’intero giudizio, condannandosi la società al pagamento in favore della F. dei residui due terzi.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo, rigetta il secondo, cassa la impugnata sentenza, in relazione al motivo accolto, e, decidendo nel merito, conferma le statuizioni della sentenza di primo grado;

compensa per 1/3 le spese dell’intero giudizio e condanna la società al pagamento in favore della F. dei 2/3 delle spese stesse, liquidate per l’intero, per il primo e secondo grado, nell’ammontare determinato dai rispettivi giudici del merito e per il giudizio di cassazione in Euro 10,00 oltre Euro 2.000,00 per onorari, oltre spese generali, IVA e CPA. Così deciso in Roma, il 17 giugno 2010.

Depositato in Cancelleria il 16 luglio 2010

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