Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16705 del 05/08/2020

Cassazione civile sez. I, 05/08/2020, (ud. 16/07/2020, dep. 05/08/2020), n.16705

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi C.G. – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 14134/2016 proposto da:

P.D., rappresentato e difeso dall’Avv. Massimo Morgia e

dall’Avv. Rossella Sidoti, anche disgiuntamente, giusta procura

speciale in calce al ricorso per cassazione, elettivamente

domiciliato a Roma, via Germanico, n. 170, presso lo studio

dell’Avv. Alberto Sagna;

– ricorrente –

contro

C.A., rappresentata e difesa dall’Avv. Silvestra Raimondo,

giusta procura speciale in calce al controricorso, elettivamente

domiciliata in Roma, via del Corso, 300, presso lo studio dell’Avv.

Diego D’Ayala Valva;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte di Appello di CATANIA n. 414/2016,

pubblicata il 11 marzo 2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

16/07/2020 dal consigliere Lunella Caradonna.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Catania ha respinto il gravame presentato da P.D. avverso la sentenza del Tribunale di Catania del 10 gennaio 2014, che aveva pronunciato la cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario contratto in data 15 ottobre 1992 e aveva stabilito un assegno divorzile in favore della C. di Euro 500,00 mensili, oltre gli aggiornamenti ISTAT, con compensazione delle spese del giudizio.

2. Avverso la sentenza del Tribunale di Catania aveva proposto appello incidentale C.A. chiedendo che l’assegno in suo favore venisse aumentato ad Euro 1.500,00 mensili, censurando il capo relativo alla compensazione delle spese operata in primo grado e chiedendo, oltre alle spese del doppio grado del giudizio, anche la condanna dell’appellante per lite temeraria perchè avrebbe ritardato l’istruttoria in primo grado e proposto appello al solo fine di ottenere, prima del divorzio, la pronuncia di nullità del matrimonio davanti al Tribunale ecclesiastico.

3. La Corte territoriale ha rigettato l’appello principale e, in accoglimento dell’appello incidentale, ha determinato l’assegno divorzile nella misura di Euro 750,00 mensili, con decorrenza dal passaggio in giudicato del capo di sentenza relativo al divorzio, confermando nel resto il provvedimento impugnato, con compensazione delle spese del primo e del secondo grado del giudizio in ragione di un terzo e condannando il P. a corrispondere la restante frazione alla C..

4. P.D. ricorre in cassazione con quattro motivi.

5. C.A. ha presentato controricorso.

6. Entrambe le parti hanno presentato memorie difensive.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine alla sussistenza dei presupposti per l’attribuzione dell’assegno di divorzio in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, avendo la Corte di appello disposto la corresponsione dell’assegno, ritenendo comunque sussistente la disparità economica tra le parti e invertendo l’onere probatorio sulla prova dell’esistenza di una concreta capacità lavorativa dell’ex coniuge richiedente, dovendo piuttosto rilevare la concreta capacità lavorativa della richiedente anche ad una attività full time, che, in mancanza di una comprovata impossibilità oggettiva, doveva ritenersi pienamente provata.

2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine alla disponibilità di mezzi economici adeguati a garantire un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, avendo la Corte di appello statuito l’obbligo di corresponsione dell’assegno anche se la C. non era stata in grado di fornire alcuna prova sul tenore di vita goduto dai coniugi in costanza di matrimonio; che il diritto all’assegno divorzile era stato fondato sull’erroneo convincimento di una disparità, in realtà insussistente e non tenendo conto del tenore di vita analogo (e non uguale) a quello goduto in costanza di matrimonio.

3. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., degli artt. 115 e 116 c.p.c., della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine alla prova e ai criteri per la quantificazione dell’assegno divorzile in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, avendo la Corte di appello con una enunciazione meramente formale, che ha richiamato la durata del matrimonio e la disparità reddituale e patrimoniale, fissato l’assegno divorzile in Euro 750,00 mensili, oltre adeguamenti ISTAT, senza nulla dire sul tenore di vita goduto in costanza di matrimonio e sul contributo personale ed economico dato dalla C. alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio di ciascuno dei coniugi e di quello comune.

3.1 I tre motivi, trattati congiuntamente in quanto connessi, sono infondati.

3.2 La Corte territoriale, condividendo le motivazioni del Tribunale, ha affermato che il giudice chiamato a decidere sull’attribuzione dell’assegno di divorzio, deve verificare l’esistenza del diritto in astratto in relazione all’inadeguatezza, all’atto della decisione, dei mezzi o all’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, raffrontati ad un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio, o che poteva legittimamente fondarsi su aspettative maturate nel corso del matrimonio e, ai fini della determinazione dell’ammontare, anche della collaborazione prestata nell’interesse della famiglia in relazione alla durata del matrimonio (pag. 4).

Nello specifico, poi, ha precisato che le capacità lavorative ed i mezzi complessivi della C., tenuto conto dell’età e delle sue stabilizzate competenze professionali, non erano tali da consentire di mantenere lo stesso tenore di vita goduto nel corso del matrimonio, in considerazione anche della forte disparità dei redditi e della disparità patrimoniale e ha, poi, evidenziato che non si era tenuto conto della collaborazione offerta dalla C. nel mènage familiare in relazione alla durata del matrimonio (pag. 6).

Ha, quindi, ritenuto congruo fissare l’assegno divorzile nella misura di Euro 750,00 al mese, dando specifico rilievo nella sentenza impugnata alla durata del matrimonio, dal 1992 al 2014, anno in cui era stato pronunciato il divorzio, e alla convivenza coniugale fino al 2006, anno in cui i coniugi si erano separati.

3.3 Sembra, quindi, di potere affermare che i giudici di secondo grado abbiano fatto applicazione del criterio assistenziale, secondo cui, nel valutare l’adeguatezza dei mezzi dell’ex coniuge che ne faccia richiesta, o l’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, si deve tenere conto, utilizzando i criteri di cui alla L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, dell’impossibilità di vivere autonomamente e dignitosamente da parte di quest’ultimo.

3.4 Si tratta, all’evidenza, di una sentenza che fonda la propria decisione sull’orientamento giurisprudenziale, all’epoca fermo in giurisprudenza, secondo cui l’assegno di divorzio ha natura assistenziale e deve essere concesso tutte le volte in cui il coniuge richiedente non dispone di mezzi sufficienti a mantenere il tenore di vita goduto durante la vita coniugale (Cass., Sez. U., 29 novembre 1990, n. 11490).

3.5 Come è noto, successivamente, questa Corte ha affermato che all’assegno divorzile in favore dell’ex coniuge deve attribuirsi, oltre alla natura assistenziale, anche natura perequativo-compensativa, che discende direttamente dalla declinazione del principio costituzionale di solidarietà, e conduce al riconoscimento di un contributo volto a consentire al coniuge richiedente non il conseguimento dell’autosufficienza economica sulla base di un parametro astratto, bensì il raggiungimento in concreto di un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare, in particolare tenendo conto delle aspettative professionali sacrificate (Cass., Sez. U., 11 luglio 2018, n. 18287).

Nello specifico, i principi di diritto affermati sono i seguenti:

– all’assegno divorzile in favore dell’ex coniuge deve attribuirsi, oltre alla natura assistenziale, anche natura perequativo-compensativa, che discende direttamente dalla declinazione del principio costituzionale di solidarietà, e conduce al riconoscimento di un contributo volto a consentire al coniuge richiedente non il conseguimento dell’autosufficienza economica sulla base di un parametro astratto, bensì il raggiungimento in concreto di un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare, in particolare tenendo conto delle aspettative professionali sacrificate;

– la funzione equilibratrice del reddito degli ex coniugi, anch’essa assegnata dal legislatore all’assegno divorzile, non è finalizzata alla ricostituzione del tenore di vita endoconiugale, ma al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall’ex coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi;

– il riconoscimento dell’assegno di divorzio in favore dell’ex coniuge, cui deve attribuirsi una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa, ai sensi della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, richiede l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi dell’ex coniuge istante, e dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, applicandosi i criteri equiordinati di cui alla prima parte della norma, i quali costituiscono il parametro cui occorre attenersi per decidere sia sulla attribuzione sia sulla quantificazione dell’assegno.

3.6 Si tratta, quindi, di una sentenza che, come è stato affermato da questa Corte, da un lato ha dato continuità alla decisione n. 11504 del 10 maggio 2017, confermando l’abbandono del parametro del tenore di vita e affermando che è il coniuge richiedente che deve provare la situazione che giustifica la corresponsione dell’assegno e dall’atro ha integrato i principi ivi formulati nel senso che ha riconosciuto all’assegno di divorzio una funzione non solo assistenziale, ma anche riequilibratrice, ovvero compensativo-perequativa (Cass., 9 agosto 2019, n. 21228).

3.6 In applicazione dei principi espressi, il giudizio, funzionale alla natura assistenziale e perequativo-compensativa dell’assegno divorzile, richiede una valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal coniuge richiedente alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune, nonchè di quello personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio ed all’età dell’avente diritto.

3.7 Più in particolare, per quel che rileva nel caso in esame, il giudice quantifica l’assegno rapportandolo non al pregresso tenore di vita familiare, ma in misura adeguata a garantire, in funzione assistenziale, l’indipendenza economica del coniuge non autosufficiente, intendendo l’autosufficienza in una accezione non circoscritta alla pura sopravvivenza (Cass., 9 agosto 2019, n. 21228).

3.8 Tanto premesso, la statuizione impugnata risulta focalizzata, come già detto, prevalentemente sull’impossibilità della C. di vivere autonomamente e dignitosamente, stante che la stessa, di anni 52 e con competenze professionali stabilizzate, non è proprietaria di immobili, svolge attività di part time di segretaria, sostiene spese di locazione per Euro 480,00, con uno stipendio mensile di circa 600,00 Euro e un reddito annuo nel 2013 di Euro 9.356,00, con ciò individuando specificamente la natura assistenziale dell’assegno divorzile.

4. Con il quarto motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, nonchè contraddittoria motivazione su un fatto controverso e deciso per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. 4.1 motivo è inammissibile.

4.2 Con riferimento in particolare al vizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, secondo consolidato orientamento di questa Corte, giusta il disposto di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione e falsa applicazione della legge deve essere a pena d’inammissibilità dedotta nel ricorso per Cassazione mediante la specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina, non risultando altrimenti consentito alla Suprema Corte adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione (Cass., 8 novembre 2005, n. 21659).

A sua volta la deduzione del vizio di motivazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, specie se congiunta alla denuncia di violazione di norme di diritto, esige che la relativa attività assertiva sia opportunamente, se non identificata, almeno identificabile come relativa all’illustrazione di quel vizio.

Nel caso in esame, peraltro, a fronte del fatto che il motivo presenza carattere complesso e si dovrebbe sostanziare, per come vorrebbe la sua intestazione, nella deduzione per un verso di plurime censure di violazione di norme di diritto e per altro verso di un vizio di motivazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, la breve esposizione successiva (così alle pagine 15 e 16 del ricorso) manca di ogni riferimento specifico ai lamentati vizi motivazionali; nè questa Corte, nell’esercizio dei suoi poteri di qualificazione delle enunciazioni a sostegno del motivo può, in ragione della genericità delle stesse, riferire alcunchè all’una piuttosto che all’altra censura e individuare rispettivamente a quale norma si riferiscano o a quale preteso punto decisivo sono correlate.

Per tale ragione il motivo è inammissibile, in quanto risulta enunciato senza la completezza necessaria a renderlo idoneo ad assolvere allo scopo di configurarsi come valida critica alla sentenza impugnata.

4.3 Ciò senza prescindere dalla circostanza che la Corte di appello ha specificamente motivato, alle pagine 7 e 8, le statuizioni assunte in materia di spese processuali di primo e secondo grado, facendo, peraltro, corretta applicazione del principio della soccombenza, secondo cui, in tema di condanna alle spese processuali, il principio della soccombenza va inteso nel senso che soltanto la parte interamente vittoriosa non può essere condannata, nemmeno per una minima quota, al pagamento delle spese stesse.

4.4 In ultimo, va evidenziato che, con riferimento al regolamento delle spese, il sindacato della Corte di cassazione è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte vittoriosa, con la conseguenza che esula da tale sindacato, e rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, la valutazione dell’opportunità di compensare in tutto o in parte le spese di lite, tanto nell’ipotesi di soccombenza reciproca, quanto nell’ipotesi di concorso con altri giusti motivi (Cass., 4 agosto 2017, n. 19613).

5. Il ricorso va, conclusivamente, rigettato e le spese del giudizio di legittimità, tenuto conto della ritenuta natura assistenziale dell’assegno divorzile disposto in favore della C., vanno interamente compensate.

6. Va disposta, in ultimo, per l’ipotesi di diffusione del presente provvedimento, l’omissione delle generalità e degli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, art. 52.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Compensa interamente le spese del giudizio di legittimità.

Dispone, per l’ipotesi di diffusione del presente provvedimento, l’omissione delle generalità e degli altri dati identificativi ai sensi del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, art. 52.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 16 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 5 agosto 2020

 

 

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