Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16705 del 03/07/2013


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 16705 Anno 2013
Presidente: LA TERZA MAURA
Relatore: MAMMONE GIOVANNI

ORDINANZA
sul ricorso 25549-2010 proposto da:
RAIMONDO RITA, elettivamente domiciliata in Roma in viale Parioli
n. 112, nello studio dell’Avv. Giuseppina Bonito, rappresentata e difesa
dall’Avv. Vincenzo Sarcone per procura rilasciata in calce al ricorso;

– ricorrente contro
ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE —
INPS (c.f. 80078750587), in persona del Presidente e legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma, via Della
Frezza n. 17, presso l’Avvocatura centrale dell’Istituto, rappresentato e
difeso dagli Avv.ti Antonietta Coretti, Vincenzo Triolo e Vincenzo
Stumpo per procura in calce al ricorso;

– resistente con procura avverso la sentenza n. 1827/2010 della Corte d’appello di Bari,
depositata in data 19.04.10;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del giorno
11/04/2013 dal Consigliere dott. Giovanni Mammone;
udito l’Avv. A. Coretti;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.
Costantino Fucci.
Ritenuto in fatto e diritto

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Data pubblicazione: 03/07/2013

2.- Accolta parzialmente la domanda e condannato l’INPS alla
riliquidazione del trattamento di disoccupazione sulla base del c.d.
salario reale, depurato della quota di t.f.r., proponeva appello
l’assicurata per ottenere l’inserimento nella base di calcolo anche della
detta quota. La Corte d’appello di Bari con sentenza depositata il
19.04.10 riteneva assorbente il rilievo che parte appellante fosse
decaduta dal diritto di richiedere la riliquidazione. La Corte riteneva
che per le prestazioni temporanee della gestione di cui all’art. 24 della 1.
9.3.89 n. 88 (quale quella in oggetto) il termine decadenziale di un anno
fissato dall’art. 47 del d.P.R. 30.4.70 n. 639 dovesse computarsi dal
decorso di 300 giorni — somma dei 120 giorni assegnati dall’art. 7 della
1. 11.8.73 n. 533 all’ente gestore per provvedere sull’istanza
dell’assicurato e dei 180 giorni assegnati dall’art. 443 c.p.c. per la
conclusione dei procedimenti amministrativi prescritti dalle leggi
speciali, coincidenti con il termine concesso dall’art. 46 della legge n.
88 del 1989 per l’impugnazione al comitato provinciale INPS (gg. 90
per ricorrere + gg. 90 per la decisione o il silenzio rigetto) — dalla
presentazione dell’istanza amministrativa.
3.- Con riferimento alla riliquidazione di prestazione
riconosciuta ed erogata in misura insufficiente, riteneva che l’assicurato
avrebbe dovuto attivarsi tempestivamente, così rispettando il termine
di decadenza, invece che avviare il contenzioso dopo la sua scadenza.
Dato che le domande per il sussidio di disoccupazione vanno
presentate entro il 31 marzo dell’anno successivo a quello di
riferimento (art. 7, c. 4, d.l. 9.10.89 n. 338, conv. dalla 1. 7.12.89 n. 389)
e che nella specie il ricorso introduttivo era successivo alla scadenza
del termine di un anno e 300 giorni dalla data in questione, il giudice
considerava maturata la decadenza per intempestiva proposizione della
domanda. La Corte di merito rigettava, dunque, l’impugnazione.
4.- Ricorre per cassazione l’assicurato deducendo violazione
dell’art. 47 del d.P.R. 30.4.70 n. 639 del 1970 (testo risultante dall’art. 6
del d.l. 29.03.91 n. 103, conv. dalla 1. 10.6.91 n. 166) ritenendo che la
decadenza non trova applicazione quando la domanda è rivolta non al
riconoscimento, ma all’adeguamento della prestazione già riconosciuta
a seguito di determinazione erronea, conseguente a calcolo o
24. Raimondo Rita c. INPS (r.g. 25549/10)

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1.- Raimondo Rita, operaia agricola a tempo determinato, si
rivolse al giudice del lavoro di Foggia per ottenere che l’indennità di
disoccupazione agricola liquidata in relazione alle giornate di lavoro
effettuate nell’anno 2000, corrisposta ai sensi dell’art. 4 del d.lgs.
16.4.97 n. 146, fosse calcolata con riferimento alla retribuzione fissata
dalla contrattazione integrativa della provinciale, anziché in base al
salario medio convenzionale dell’anno 1995 e non più incrementato.

interpretazioni errati della normativa di legge. L’INPS ha depositato
procura. Il consigliere relatore, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., ha
depositato relazione, che è stata comunicata al Procuratore generale ed
è stata notificata ai difensori assieme all’avviso di convocazione della
adunanza della camera di consiglio.

5.- Quanto ai limiti di applicabilità dell’art. 47 del d.P.R. n. 639
del 1970 e successive modificazioni, deve qui richiamarsi la sentenza a
Sezioni unite 29.05.09 n. 12720, per la quale la decadenza ivi prevista
non si applica nel caso di riliquidazione di prestazioni previdenziali.
Tale principio è stato recentemente ribadito dalla sentenza 8.05.12 n.
6959 la quale, alla luce del d.l. 6.07.11 n. 98, art. 38, c. 1, lett. d) (conv.
dalla 1. 15.0711 n. 111), ha ritenuto che il legislatore – modificando con
limitata efficacia retroattiva la regola preesistente, come consolidata per
effetto della detta pronuncia delle Sezioni unite – conferma
indirettamente la corrispondenza di quest’ultima all’originario
contenuto dell’art. 47, nel testo vigente fino alla novella del 2011, ed ha
pertanto ritenuto inapplicabile le disposizioni del citato art. 47 (prima
delle integrazioni dell’art. 38 del d.l. n. 98 del 2011) all’ipotesi di
richiesta di riliquidazione di prestazioni previdenziali riconosciute solo
parzialmente, e come tali liquidate dall’ente previdenziale.
6.- Quanto al merito della questione, deve rilevarsi che questa
Corte, confermando quanto già ritenuto con la sentenza 9.5.07 n.
10546, secondo cui “ai fini della liquidazione delle prestazioni
temporanee in agricoltura, la nozione di retribuzione – definita dalla
contrattazione collettiva provinciale, da porre a confronto con il salario
medio convenzionale ex art. 4 d.lgs. 16.4.97 n. 146 – non è
comprensiva del trattamento di fine rapporto”, ha ulteriormente
affermato che “sulla base del suddetto principio, la voce denominata
quota di t.f.r. dai contratti collettivi vigenti a partire da quello del
27.11.1991, va esclusa dal computo della indennità di disoccupazione,
in considerazione della volontà espressa dalle parti stipulanti, che è
vietato disattendere in forza della disposizione di cui al d.l. 14.6.96 n.
318, art. 3, conv. dalla 1. 29.7.96, n. 402, a norma del quale, agli effetti
previdenziali, la retribuzione dovuta in base agli accordi collettivi, non
può essere individuata in difformità rispetto a quanto definito negli
accordi stessi. Dovendo escludersi che detta voce abbia natura diversa
rispetto a quella indicata dalle parti stipulanti, non è ravvisabile alcuna
illegittima alterazione degli istituti legali da parte dell’autonomia
collettiva” (v. Cass. 5.1.11 n. 202 e numerose altre conformi). Tale
orientamento giurisprudenziale è stato confermato dal legislatore il
quale con norma interpretativa contenuta nel d.l. 6.07.11 n. 98 (conv.
dalla 1. 15.07.11 n. 111) prevede che “l’art. 4 del decreto legislativo 16
aprile 1997 n. 146, e l’articolo 1, comma 5, del decreto- legge 10
24. Raimondo Rita c. INPS (r.g. 25549/10)

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7.- Ritiene il Collegio che l’esclusione della decadenza di cui
all’art. 47 d.P.R. n. 639/70, nel caso di specie suggerisca, piuttosto che
la correzione della motivazione ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 384
c.p.c., la cassazione della sentenza che tale decadenza ha erroneamente
applicato e la decisione nel merito ai sensi dell’art. 384 co. 2° c.p.c.
8.- A tal fine nulla osta a che si rilevi d’ufficio la questione —
rimasta sullo sfondo, ma non trattata dall’impugnata sentenza — relativa
all’inserimento della quota di TFR nella base di computo dell’indennità
di disoccupazione agricola. Infatti, la Corte territoriale ha dichiarato la
decadenza in virtù dell’applicazione del criterio della ragione più
liquida, senza esaminare la spettanza del diritto oggetto di lite, sicché si
è in presenza non già di giudicato implicito sull’esistenza del diritto, ma
di cd. assorbimento improprio, che non impone l’impugnazione da
parte del soggetto vittorioso in appello. Com’è noto, il criterio della
ragione più liquida non segue l’ordine logico-giuridico delle questioni,
ma quello del risparmio delle energie processuali, cioè dell’uso della
ratio decidendi già pronta e di per sé sufficiente (sulla tecnica
dell’assorbimento cd. improprio in virtù dell’uso del criterio della
ragione più liquida cfr., ex aliis, Cass. n. 17219/12; Cass. n. 7663/12;
Cass. n. 11356/06; Cass., 30/3/2001, n. 4773; concorde anche la
dottrina circa l’applicazione della ragione più liquida e sul fatto che
essa non importa formazione di giudicato implicito sulle questioni non
esaminate e che non ne costituiscano indispensabile presupposto
logico-giuridico). Ancora nel senso dell’ampiezza dei poteri di rilievo
d’ufficio da parte del giudice cfr., di recente, Cass. S.u. 4.09.12 n.
14828, secondo cui il giudice può rilevare d’ufficio ogni forma di
nullità del contratto (sempre che emerga ex actis e che si tratti di nullità
non soggetta a regime speciale, come le nullità di protezione, il cui
rilievo è rimesso alla volontà della parte protetta) pur quando le parti in
causa stiano discutendo della risoluzione del contratto medesimo.
9.- A maggior ragione, dunque, nelle controversie sull’inclusione
della quota di TFR nella base di computo del trattamento di
disoccupazione agricola si può rilevare d’ufficio l’inesistenza del diritto,
anche perché la giurisprudenza di questa S.C. è ampia e costante
nell’affermare che nel giudizio di legittimità è preclusa la proposizione
di nuove questioni di diritto solo quando esse presuppongano o
24. Raimondo Rita c. INPS (r.g. 25549/10)

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gennaio 2006 n. 2, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 marzo
2006 n. 81, si interpretano nel senso che la retribuzione, utile per il
calcolo delle prestazioni temporanee in favore degli operai agricoli a
tempo determinato, non è comprensiva della voce del trattamento di
fine rapporto comunque denominato dalla contrattazione collettiva”
(art. 18, c. 18).

10.- Da ultimo, nel rilevare d’ufficio l’inesistenza del diritto non
si ravvisano problemi di mancato rispetto del contraddittorio o di cd.
sentenza della terza via perché, trattandosi di questione di puro diritto,
trova applicazione l’insegnamento di Cass. S.U. 30.9.2009 n. 20935 e di
Cass. 23.8.11 n. 17495, secondo cui il divieto di sentenza cd. della terza
via (ed il conseguente obbligo di provocare il contraddittorio mediante
il meccanismo di cui al co. 3° dell’art. 384 c.p.c.) sussiste solo quando,
decidendo nel merito, il giudice rilevi una questione di fatto o mista di
fatto e di diritto, mentre nel caso presente l’inesistenza del diritto
all’inclusione della quota di TFR è questione esclusivamente giuridica.
11.- In conclusione, il ricorso va accolto, non ritenendosi
applicabile nel caso di specie la decadenza di cui all’art. 47 d.P.R. n.
639/70, con conseguente cassazione della sentenza impugnata. Non
essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la causa può essere
decisa nel merito con rigetto della domanda di inclusione della quota di
TFR nel trattamento di disoccupazione agricola.
12.- La problematicità della materia del contendere e l’esito
complessivo della lite consigliano di compensare per intero fra le parti
le spese dell’intero giudizio.
Per questi motivi
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e,
decidendo nel merito, rigetta la domanda di inclusione della quota di
TFR nel trattamento di disoccupazione agricola. Compensa per intero
le spese dell’intero giudizio.
Così deciso in Roma in data 11 aprile 2013
Il Presidente

comunque richiedano nuovi accertamenti o apprezzamenti di fatto,
mentre deve ritenersi consentito dedurre o rilevare per la prima volta
in tale sede questioni di diritto che lascino immutati i termini, in fatto,
della controversia così come accertati e considerati dal giudice del
merito (v., ex abis, Cass. n. 20005/05; Cass. n. 9812/02; Cass. n.
3881/2000; Cass. n. 13256/99; Cass. 6356/96). Va, poi, aggiunto che
la decisione nel merito (come quella ex art. 384 co. 2° c.p.c.) è sempre
una decisione sul rapporto e quest’ultima, a sua volta, non può andare
disgiunta dal potere di rilevare d’ufficio le questioni di diritto o le mere
norme necessarie a risolvere la controversia.

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