Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16703 del 16/07/2010

Cassazione civile sez. lav., 16/07/2010, (ud. 10/06/2010, dep. 16/07/2010), n.16703

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCIARELLI Guglielmo – Presidente –

Dott. LAMORGESE Antonio – Consigliere –

Dott. BANDINI Gianfranco – rel. Consigliere –

Dott. NOBILE Vittorio – Consigliere –

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso

lo studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato TRIFIRO’ SALVATORE, giusta mandato a margine

del ricorso;

– ricorrente-

contro

S.A.;

– intimato –

sul ricorso 7451-2007 proposto da:

S.A., già elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

SISTINA 149, presso lo studio dell’avvocato MAZZEO LORENZO,

rappresentato e difeso dall’avvocato BOIOCCHI PIERLUIGI, giusta

mandato a margine del controricorso e ricorso incidentale e da ultimo

d’ufficio presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso

lo studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato TRIFIRO’ SALVATORE, giusta mandato a margine

del ricorso;

– controricorrente al ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 488/2005 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 24/01/2006 r.g.n. 16/05;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/06/2010 dal Consigliere Dott. GIANFRANCO BANDINI;

udito l’Avvocato LUIGI FIORILLO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUCCI Costantino, che ha concluso per il rigetto di entrambi i

ricorsi.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte d’Appello di Brescia, con sentenza del 22.12.2005 – 24.1.2006, respingendo l’impugnazione proposta dalla Poste Italiane spa nei confronti di S.A., ha ritenuto la nullità del termine apposto ad uno dei contratti di lavoro stipulati inter partes.

Per la cassazione di tale sentenza la Poste Italiane spa ha proposto ricorso fondato su quattro motivi; il lavoratore ha resistito con controricorso, proponendo a sua volta ricorso incidentale fondato su un motivo, al quale la Poste Italiane spa ha resistito con controricorso.

La ricorrente principale ha presentato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. I ricorsi vanno preliminarmente riuniti siccome proposti avverso la medesima sentenza (art. 335 c.p.c.).

2. In via di priorità logica va esaminato il quarto motivo de ricorso principale, relativo alla reiezione dell’eccezione di risoluzione contrattuale per mutuo consenso sollevata dalla parte datoriale in relazione al tempo trascorso tra la scadenza dell’ultimo contratto a termine stipulato inter partes e la manifestazione della volontà del lavoratore di ripristinare la funzionalità di fatto del rapporto.

Secondo l’insegnamento di questa Suprema Corte (cfr, in particolare, Cass. 17 dicembre 2004 n. 23554) nel giudizio instaurato ai fini del riconoscimento della sussistenza di un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato (sul presupposto dell’illegittima apposizione al relativo contratto di un termine finale ormai scaduto) per la configurabilità di una risoluzione del rapporto per mutuo consenso è necessario che sia accertata – sulla base del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell’ultimo contratto a termine, nonchè alla stregua delle modalità di tale conclusione, del comportamento tenuto dalla parti e di eventuali circostanze significative – una chiara e certa comune volontà delle parti medesime di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo;

la valutazione del significato e della portata del complesso di tali elementi di fatto compete al giudice di merito, le cui conclusioni non sono censurabili in sede di legittimità se non sussistono vizi logici o errori di diritto.

Nel caso in esame la Corte di merito ha ritenuto che la mera inerzia del lavoratore dopo la scadenza del contratto non fosse sufficiente a far ritenere la sussistenza dei presupposti della risoluzione del rapporto per mutuo consenso, in difetto di altre circostanze rivelatrici della volontà delle parti di volere porre definitivamente fine al rapporto di lavoro.

Tale conclusione in quanto priva di vizi logici o errori di diritto resiste alle censure mosse in ricorso.

Nè può ritenersi l’ammissibilità del profilo di doglianza relativo alla mancata considerazione della circostanza, pretesamente decisiva, che lo S. aveva lavorato medio tempore per altri datori, non avendo la ricorrente principale, in violazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, riprodotto nel medesimo il contenuto del documento (il libretto di lavoro, secondo quanto dedotto) da cui dovrebbe emergere la circostanza fattuale non esaminata.

3. Il contratto per cui è stata ritenuta l’illegittimità del termine venne concluso con riferimento alle previsioni dell’art. 8 CCNL 26 novembre 1994 ed in particolare in base a quella dell’accordo integrativo del 25 settembre 1997, che prevede, quale ipotesi legittimante la stipulazione di contratti a termine, la presenza di esigenze eccezionali, conseguenti alla fase di ristrutturazione e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso, in ragione della graduale introduzione di nuovi processi produttivi, di sperimentazione di nuovi servizi e in attesa dell’attuazione del progressivo e completo equilibrio sul territorio delle risorse umane.

La Corte territoriale, disattendendo quanto al riguardo ritenuto dal primo Giudice, ha reputato che l’accordo integrativo del 25 settembre 1997 non conteneva alcun termine di efficacia e che i successivi cosiddetti accordi attuativi costituivano un mero riconoscimento bilaterale, per il periodo preso in considerazione, della sussistenza delle condizioni oggettive legittimanti il ricorso ai contratti a termine; con la conseguenza che anche al di fuori dei periodi considerati dai suddetti accordi attuativi il ricorso alle assunzioni a termine doveva considerarsi del tutto legittimo.

Tale impostazione è stata censurata, con l’unico motivo, dal ricorrente incidentale, il quale contesta, in particolare, l’interpretazione data dalla Corte di merito al citato accordo integrativo del 25 settembre 1997 ed agli accordi dalla stessa definiti come attuativi; contesta in particolare la tesi secondo cui questi ultimi accordi avevano natura meramente ricognitiva.

La giurisprudenza di questa Corte (cfr, fra le tante, Cass, n. 18272/2006), decidendo su fattispecie sostanzialmente simili a quella in esame (contratti a termine stipulati ai sensi dell’accordo integrativo del 25 settembre 1997 dopo la data del 30 aprile 1998) ha cassato le sentenze di merito che avevano affermato la legittimità del termine apposto a tale contratti.

Costituisce infatti ormai diritto vivente che, in linea generale, l’art. 23, n. 56/87, nel demandare alla contrattazione collettiva la possibilità di individuare – oltre le fattispecie tassativamente previste dalla L. n. 230 del 1962, art. 1 e successive modifiche, nonchè dal D.L. n. 17 del 1983, art. 8 bis, convenuto con modificazioni nella L. n. 79 del 1983 – nuove ipotesi di apposizione di un termine alla durata del rapporto di lavoro, configura una vera e propria delega in bianco a favore dei sindacati, i quali, pertanto, non sono vincolati all’individuazione di figure di contratto a termine comunque omologhe a quelle previste per legge (principio ribadito dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza 2 marzo 2006, n. 4588) e che, in forza dell’anzidetta delega in bianco, le parti sindacali hanno individuato, quale nuova ipotesi di contratto a termine, quella di cui al citato accordo integrativo del 25 settembre 1997.

Partendo da tale principio, devono ritenersi tuttavia viziate quelle decisioni dei giudici di merito nella parte in cui hanno affermato la natura meramente ricognitiva dei cosiddetti accordi attuativi e, conseguentemente, il carattere non vincolante degli stessi quanto alla determinazione della data entro la quale era legittimo ricorrere a contratti a termine, atteso che con tale interpretazione dei suddetti accordi si sono discostate dal chiaro significato letterale delle espressioni usate – ed in particolare di quella secondo cui ..

per far fronte alle predette esigenze si potrà procedere ad assunzioni di personale straordinario con contratto a tempo determinato fino al (OMISSIS) (cfr accordo del 16 gennaio 1998);

ciò, fra l’altro, in violazione del principio secondo cui, nell’interpretazione delle clausole dei contratti collettivi di diritto comune, nel cui ambito rientrano sicuramente gli accordi sindacali sopra riferiti, si deve fare innanzitutto riferimento al significato letterale delle espressioni usate e, quando esso risulti univoco, è precluso il ricorso a ulteriori criteri interpretativi, i quali esplicano solo una funzione sussidiaria e complementare nel caso in cui il contenuto del contratto si presti a interpretazioni contrastanti (cfr, ex plurimis, Cass., 28 agosto 2003, n. 12245;

Cass., 25 agosto 2003, n. 12453).

Ed invero la giurisprudenza di questa Corte ha ritenuto altresì la sussistenza, nelle suddette sentenze, di una violazione del canone ermeneutico di cui all’art. 1367 c.c., a norma del quale, nel dubbio, il contratto o le singole clausole devono interpretarsi nel senso in cui possano avere qualche effetto, anzichè in quello per cui non ne avrebbero alcuno; ed infatti la statuizione secondo cui le parti non avevano inteso introdurre limiti temporali alla previsione di cui all’accordo del 25 settembre 1997 implica la conseguenza che gli accordi attuativi, così definiti dalle parti sindacali, sarebbero stati “senza senso” (così, testualmente, Cass., 14 febbraio 2004, n. 2866).

Ancora la giurisprudenza di questa Corte (cfr, ex plurimis, Cass., 23 agosto 2006, n. 18378) ha, per contro, ritenuto corretta l’irrilevanza attribuita all’accordo del 18 gennaio 2001 in quanto stipulato dopo circa due anni dalla scadenza dell’ultima proroga e, pertanto, quando il diritto del lavoratore si era già perfezionato;

ed infatti, ammesso che le parti abbiano espresso l’intento di interpretare autenticamente gli accordi precedenti, con effetti comunque di sanatoria delle assunzioni a termine effettuate senza la copertura dell’accordo 25 settembre 1997 (scaduto in forza degli accordi attuativi), doveva comunque ritenersi l’indisponibilità dei diritti dei lavoratori già perfezionatisi, dovendosi escludere che le parti stipulanti avessero il potere, anche mediante lo strumento dell’interpretazione autentica (previsto solo per lo speciale settore del lavoro pubblico, secondo la disciplina nel D.Lgs. n. 165 del 2001), di autorizzare retroattivamente la stipulazione di contratti a termine non più legittimi per effetto della durata in precedenza stabilita (vedi, per tutte, Cass., 12 marzo 2004, n. 5141).

4. Al contempo ritiene il Collegio che non possono essere condivise le ragioni giuridiche (censurate dalla ricorrente principale) in forza delle quali la Corte territoriale ha ritenuto l’illegittimità del termine. La Corte di merito ha infatti ritenuto tale illegittimità sul presupposto che, anche nelle ipotesi individuate dai contratti collettivi a norma della L. n. 56 del 1987, art. 23, fosse necessario che l’apposizione del termine trovasse giustificazione in un’esigenza concretamente riferibile alla singola assunzione, rilevando che, nel caso di specie, la Poste Italiane spa non aveva provato la riconducibilità della singola assunzione alla ristrutturazione aziendale menzionata dalla contrattazione collettiva.

Secondo il costante insegnamento di questa Corte di Cassazione (cfr, in particolare, Cass. 26 luglio 2004 n. 14011; Cass. 7 marzo 2005 n. 4862), tuttavia, l’attribuzione alla contrattazione collettiva, L. n. 56 del 1987, ex art. 23, del potere di definire nuovi casi di assunzione a termine rispetto a quelli previsti dalla L. n. 230 del 1962, discende dall’intento del legislatore di considerare l’esame congiunto delle parti sociali sulle necessità del mercato del lavoro idonea garanzia per i lavoratori ed efficace salvaguardia per i loro diritti (con l’unico limite della predeterminazione della percentuale di lavoratori da assumere a termine rispetto a quelli impiegati a tempo indeterminato) e prescinde, pertanto, dalla necessità di individuare ipotesi specifiche di collegamento fra contratti ed esigenze aziendali o di riferirsi a condizioni oggettive di lavoro o soggettive dei lavoratori ovvero di fissare contrattualmente limiti temporali all’autorizzazione data al datore di lavoro di procedere ad assunzioni a tempo determinato.

Le ragioni poste dalla Corte di merito a base del decisum si pongono in palese violazione del suddetto principio di diritto (ribadito dalla sentenza delle Sezioni Unite 2 marzo 2006 n. 4588), fondandosi sull’assunto secondo cui non sarebbe consentito autorizzare un datore di lavoro ad avvalersi liberamente del tipo contrattuale del lavoro a termine, senza l’individuazione di ipotesi specifiche di collegamento tra contratti ed esigenze aziendali cui sono strumentali e muovendosi, quindi, pur sempre nella prospettiva che il legislatore non abbia conferito una delega in bianco ai soggetti collettivi, imponendo al potere di autonomia i limiti ricavabili dal sistema di cui alla L. n. 230 del 1962, art. 1.

5. In definitiva, sulla scorta delle considerazioni che precedono, la sentenza impugnata risulta errata nella motivazione, ma conforme a diritto nel decisum.

Se ne impone pertanto la correzione a mente del disposto dell’art. 384 c.p.c., derivandone l’inammissibilità, per carenza di interesse, del ricorso incidentale e il rigetto di quello principale (restando assorbita la disamina del terzo motivo di quest’ultimo, relativo alla pretesa novità dell’eccezione accolta dalla Corte territoriale).

L’esito del presente giudizio di Cassazione e le ragioni del decidere consigliano la compensazione delle spese.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi; rigetta il principale, dichiara inammissibile l’incidentale e compensa le spese.

Così deciso in Roma, il 10 giugno 2010.

Depositato in Cancelleria il 16 luglio 2010

 

 

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