Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16702 del 05/08/2020

Cassazione civile sez. I, 05/08/2020, (ud. 01/07/2020, dep. 05/08/2020), n.16702

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 25561/2014 R.G. proposto da:

C.G.B., rappresentato e difeso dall’Avv. Claudia

De Marchi, con domicilio eletto in Roma, via D. Chelini, n. 5,

presso lo studio dell’Avv. Francesco Nucci;

– ricorrente –

contro

ISTITUTO SORELLE DELLA MISERICORDIA, in persona del legale

rappresentante p.t. Suor F.T., rappresentato e difeso

dagli Avv. Massimo P.G. Guerra, e Lucio Laurita Longo, con domicilio

eletto presso lo studio di quest’ultimo in Roma, via Rodi, n. 32;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Venezia n. 654/14,

depositata il 14 marzo 2014;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 1 luglio 2020

dal Consigliere Guido Mercolino.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con contratto preliminare del 20 dicembre 2007, l’Istituto Sorelle della Misericordia si obbligò, dietro versamento di una caparra confirmatoria di Euro 250.000,00, a vendere a C.G.B., entro e non oltre il 30 aprile 2008, un immobile sito in (OMISSIS), per un corrispettivo di Euro 10.000.000,00, con la precisazione che il predetto termine doveva intendersi essenziale.

2. Successivamente, avendo l’Istituto manifestato la volontà di recedere dal contratto per fatto e colpa del promissario acquirente, con lettera del 18 giugno 2008, nonchè venduto il medesimo immobile all’Azienda ULSS n. (OMISSIS), con contratto del 3 dicembre 2008, il C. promosse la costituzione del collegio arbitrale previsto dal contratto preliminare, con atto notificato il 6 aprile 2011, chiedendo a) l’accertamento dell’illegittimità del recesso, con la condanna dell’Istituto b) in via principale al pagamento di una somma pari al doppio della caparra, c) in subordine, alla restituzione della somma versata a titolo di caparra, e d) in via ancor più gradata, al risarcimento del danno.

Si costituì l’Istituto, ed eccepì di aver correttamente esercitato il diritto di recesso, chiedendo, in subordine, l’accertamento dell’avvenuta risoluzione del contratto per scadenza del termine essenziale, con la condanna dell’attore al risarcimento del danno.

2.1. Con lodo sottoscritto il 14 marzo 2013, il collegio arbitrale a) dichiarò che il contratto si era risolto di diritto, per inosservanza del termine essenziale da parte del promissario acquirente, b) dichiarò conseguentemente illegittimo l’esercizio del diritto di recesso da parte dell’Istituto, in quanto avente ad oggetto un contratto già risolto, c) condannò l’Istituto alla restituzione della somma versata a titolo di caparra, e d) il C. al risarcimento del danno causato dall’inadempimento dell’obbligo di concludere il contratto definitivo, e) liquidò il danno nell’importo di Euro 173.095,89, pari agl’interessi legali sulla somma dovuta a titolo di corrispettivo per il periodo compreso tra la scadenza del termine essenziale e la data della vendita dell’immobile, f) dispose la compensazione tra il credito avente ad oggetto la restituzione della caparra confirmatoria e quello avente ad oggetto il risarcimento del danno, e g) condannò il C. al pagamento del residuo, pari ad Euro 76.904,11.

3. L’impugnazione proposta dal C. in via principale e quella incidentale proposta dall’Istituto sono state rigettate dalla Corte d’appello di Venezia con sentenza del 14 marzo 2004.

A fondamento della decisione, la Corte ha ritenuto insussistente il difetto di motivazione o la contraddittorietà del lodo, nella parte riguardante la liquidazione del danno subito dall’Istituto: premesso che il primo vizio è configurabile soltanto se la motivazione manchi del tutto o sia talmente carente da non consentire d’individuare la ratio decidendi, mentre il secondo postula l’inconciliabilità tra le diverse componenti del dispositivo o tra quest’ultimo e la motivazione, ha rilevato che nella specie gli arbitri avevano ampiamente illustrato le ragioni della decisione, quantificando il danno derivante dal ritardo nella stipulazione del contratto in misura pari agl’interessi legali maturati sul corrispettivo pattuito, in assenza della prova di un pregiudizio diverso e maggiore. Ha escluso inoltre la violazione dei principi della buona fede, dell’affidamento incolpevole, del neminem laedere e dell’onere della prova, osservando che gl’interessi erano stati calcolati in relazione al periodo compreso tra la scadenza del termine previsto dal contratto preliminare e la data della vendita dell’immobile, essendo stata ritenuta irrilevante la dilazione di pagamento concessa dall’Istituto all’ULSS, in quanto corrispondente ad una precisa richiesta di quest’ultima e comunque non addebitabile al C..

Quanto alle utilità che l’Istituto aveva tratto dalla disponibilità dell’immobile nel periodo compreso tra la scadenza del termine essenziale e la vendita del bene, la Corte ne ha escluso l’omessa valutazione, rilevando che, come dichiarato dagli arbitri, le stesse non avevano potuto essere accertate, e ritenendo insussistente la violazione del principio della compensatio lucri cum damno, in virtù della considerazione che l’utilità economica derivante dalla detenzione dell’immobile da parte della San Benedetto S.r.l. sulla base di un contratto di comodato ormai scaduto non aveva alcun rap porto con il danno subito dall’Istituto a causa dell’inadempimento del preliminare di vendita da parte del C..

4. Avverso la predetta sentenza il C. ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un solo motivo, illustrato anche con memoria. L’Istituto ha resistito con controricorso, anch’esso illustrato con memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo d’impugnazione, il ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione dell’art. 1223 c.c., censurando la sentenza impugnata nella parte in cui, ai fini della liquidazione del danno subito dall’Istituto, non ha tenuto conto delle utilità che quest’ultimo aveva tratto dalla conservazione della proprietà del bene nel periodo compreso tra la scadenza del termine essenziale e la data dell’alienazione. Premesso che il risarcimento del danno, avendo la funzione di ripristinare lo status quo ante, non può condurre ad una locupletazione del danneggiato, al quale non può essere quindi attribuito un valore maggiore della perdita provocata dal fatto lesivo, sostiene che, nel caso in cui quest’ultimo produca non solo un danno ma anche un vantaggio per la vittima, alla quantificazione del risarcimento si perviene attraverso la compensatio lucri cum damno, ai fini della quale è necessario accertare che il lucro costituisca conseguenza diretta ed immediata del fatto illecito, anche se alla sua determinazione abbiano concorso altri fatti o atti o una previsione di legge. Nel caso in esame, l’applicazione di tale principio comporta che il vantaggio derivante dalla conservazione della proprietà dell’immobile promesso in vendita dev’essere detratto dal pregiudizio connesso al ritardo nella riscossione del prezzo della compravendita, trattandosi di conseguenze del medesimo fatto storico, costituito dall’inosservanza del termine fissato per la stipulazione del contratto definitivo. Al medesimo risultato si perviene, ad avviso del ricorrente, attraverso l’applicazione del concetto di regolarità causale, in virtù del quale tutti gli antecedenti di un evento debbono considerarsi come cause, ancorchè abbiano agito in via indiretta e remota, se, ferme restando le altre condizioni, l’evento non si sarebbe verificato in mancanza degli stessi. La commisurazione del danno alla durata del ritardo nella riscossione del corrispettivo della vendita avrebbe quindi imposto di tenere conto dell’utilità derivante dalla conservazione della disponibilità dell’immobile, che costituiva un vantaggio in re ipsa per il promittente venditore.

1.1. Il motivo è infondato.

La questione sollevata dal ricorrente consiste nell’accertare se le utilità che il promittente venditore ha tratto dalla conservazione della proprietà dell’immobile promesso in vendita nel periodo compreso tra la scadenza del termine fissato per la stipulazione del contratto definitivo e la successiva vendita del medesimo immobile a terzi debbano costituire oggetto di valutazione ai fini della liquidazione del risarcimento dovuto dal promissario acquirente per l’inadempimento del contratto preliminare, in applicazione del principio della compensatio lucri cum damno. Tale compensazione sarebbe giustificata, nella specie, dal nesso causale riscontrabile tra l’inadempimento del preliminare, a seguito del quale l’immobile non è stato consegnato al promissario acquirente, e le predette utilità, costituite dal risarcimento del danno per il ritardo nella restituzione del medesimo bene, dovuto da una società cui lo stesso è stato concesso in comodato gratuito contestualmente alla stipulazione del preliminare di compravendita.

Ai fini dell’esclusione della compensatio lucri cum damno, la Corte d’appello ha evidenziato la riconducibilità del vantaggio invocato dal ricorrente a vicende inerenti ad un rapporto contrattuale non avente alcuna attinenza con l’inadempimento del contratto preliminare, richiamando il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui il predetto istituto opera soltanto nel caso in cui il pregiudizio da risarcire ed il beneficio ottenuto dal danneggiato costituiscano entrambi conseguenza diretta ed immediata del fatto illecito (cfr. ex plurimis, Cass., Sez. I, 9/03/2018, n. 5841; Cass., Sez. III, 20/05/2013, n. 12248; 2/03/2010, n. 4950). Tale indirizzo, a lungo prevalso nella giurisprudenza di legittimità, è stato peraltro dapprima disatteso da alcune pronunce in tema di cumulabilità tra il risarcimento del danno da lesioni personali e l’indennità di accompagnamento spettante alla vittima del sinistro (cfr. Cass., Sez. III, 20/04/2016, n. 7774), la rendita costituita dall’INAIL in favore del danneggiato (cfr. Cass., Sez. III, 5/12/2014, n. 25733) e l’indennità dovuta in caso di assicurazione contro infortuni non mortali (cfr. Cass., Sez. III, 11/06/2014, n. 13233), ed in seguito apertamente contestato da una sentenza in tema di concorso tra il risarcimento del danno per la morte del congiunto ed il valore capitale della pensione di reversibilità percepita dal superstite: tale pronuncia, invocata dal ricorrente a sostegno della propria tesi, ha infatti escluso in linea generale la cumulabilità di vantaggi e svantaggi scaturenti da un medesimo fatto, anche se alla produzione degli stessi abbiano concorso, insieme alla condotta umana, altri atti o fatti, ovvero direttamente una previsione di legge; a tal fine, essa ha evidenziato in particolare l’impropria utilizzazione del termine compensazione per riferirsi all’operazione unitaria di liquidazione del danno, nonchè i mutamenti intervenuti nella concezione giurisprudenziale del rapporto di causalità, attraverso l’affermazione della nozione di regolarità causale, richiamando inoltre il principio d’indifferenza, in virtù del quale il risarcimento non può porre il danneggiato in una situazione migliore di quella in cui si sarebbe trovato se il fatto dannoso non fosse avvenuto, immettendo nel suo patrimonio un valore economico maggiore della differenza patrimoniale negativa indotta dall’illecito (cfr. Cass., Sez. III, 13/06/2014, n. 13537).

Il contrasto di giurisprudenza in tal modo determinatosi è stato risolto da quattro note sentenze, con cui le Sezioni Unite di questa Corte hanno enunciato il principio secondo cui, quando accanto al rapporto tra il danneggiato e chi è chiamato a rispondere civilmente di un evento dannoso si profila un rapporto tra lo stesso danneggiato ed un soggetto diverso, a sua volta obbligato per legge o per contratto ad erogare al primo un beneficio collaterale, il criterio di selezione da utilizzare ai fini dell’ammissione o dell’esclusione del cumulo tra detto beneficio ed il risarcimento va individuato nella funzione svolta da tali attribuzioni, nel senso che l’attribuzione patrimoniale occasionata dall’illecito (o dall’inadempimento) in tanto può essere detratta dall’ammontare del risarcimento del danno da esso cagionato in quanto sul piano funzionale il beneficio trovi la sua giustificazione causale nella finalità di rimuovere l’effetto dannoso dell’illecito, e sul piano strutturale ad esso si accompagni un meccanismo di surroga o di rivalsa, idoneo ad evitare che quanto erogato dal terzo al danneggiato si traduca in un vantaggio inaspettato per il responsabile (cfr. Cass., Sez. Un., 22/05/2018, nn. 12564, 12565, 12566 e 12567). A tale conclusione le Sezioni Unite sono pervenute dando atto per un verso dell’eccessiva restrittività dell’impostazione tradizionale, in virtù della quale l’operatività della compensatio lucri cum damno resta circoscritta all’ipotesi, ritenuta assai rara, in cui le poste attive e passive da valutare ai fini della liquidazione del risarcimento abbiano entrambe titolo nel fatto illecito, e per altro verso del contrasto della predetta impostazione con la nozione di causalità affermatasi nella giurisprudenza di legittimità, che ha comportato il superamento della distinzione tra causa remota, causa prossima e occasione; hanno ritenuto tuttavia che la sottolineatura degl’inconvenienti derivanti da un’interpretazione asimmetrica dell’art. 1223 c.c., in virtù della quale il rapporto tra illecito ed evento può non essere immediato quando si tratta di accertare il danno, mentre deve esserlo quando occorre accertare il vantaggio eventualmente originato dal medesimo fatto illecito, non possa spingersi fino al punto da attribuire rilevanza ad ogni vantaggio indiretto o mediato, determinandosi altrimenti un’eccessiva dilatazione delle poste imputabili al risarcimento, che condurrebbe a considerare il verificarsi stesso del vantaggio come un merito da riconoscere al danneggiante. Hanno pertanto affermato che il vantaggio conseguito dal danneggiato è detraibile dal risarcimento soltanto finchè rientri nella serie causale dell’illecito, da ricostruirsi secondo un criterio adeguato di causalità, escludendo conseguentemente l’applicabilità della com-pensatio lucri cum damno allorchè il vantaggio si presenti come il frutto di scelte autonome e del sacrificio del danneggiato, o come l’effetto di un evento che si sarebbe in ogni caso prodotto, indipendentemente dal momento in cui si è verificato l’illecito, o comunque nell’ipotesi in cui il beneficio trovi altrove la sua fonte e nell’illecito solo un coefficiente causale.

In applicazione di tale principio, che il Collegio condivide ed intende ribadire anche in questa sede, non merita censura la sentenza impugnata, nella parte in cui ha rigettato il motivo d’impugnazione del lodo arbitrale, con cui il ricorrente aveva sostenuto la necessità di tener conto, nella liquidazione del danno derivante dall’inadempimento del contratto preliminare, del risarcimento dovuto da una società terza per il mancato rilascio del medesimo immobile promesso in vendita, alla scadenza di un contratto di comodato stipulato con l’Istituto. Indipendentemente dall’osservazione degli arbitri, secondo cui all’epoca della liquidazione del danno tale posta attiva non risultava ancora accertata, non essendosi concluso il procedimento arbitrale promosso a seguito dell’inadempimento del contratto di comodato, appare decisiva la considerazione che il predetto risarcimento aveva una funzione diversa da quella del risarcimento dovuto per l’inadempimento del preliminare, essendo quest’ultimo volto a ristorare il pregiudizio derivante dalla mancata conclusione del contratto di compravendita, laddove il primo mirava a porre rimedio al danno derivante dal mancato rilascio dell’immobile concesso in comodato. Nessun rilievo può assumere, in proposito, la parziale coincidenza tra il periodo di tempo intercorso tra la scadenza del comodato ed il rilascio dell’immobile, in relazione al quale avrebbe dovuto essere liquidato il risarcimento dovuto dalla società comodataria, e quello intercorso tra la scadenza fissata per la stipulazione del contratto definitivo e la vendita dell’immobile all’ULSS, in riferimento al quale va calcolato il danno derivante dall’inadempimento del preliminare, liquidato mediante il riconoscimento degl’interessi sull’importo pattuito a titolo di corrispettivo: l’adozione di questa tecnica di liquidazione non consente infatti di sovrapporre il pregiudizio derivante dall’indisponibilità del predetto importo a quello cagionato dal mancato godimento dell’immobile promesso in vendita, correttamente non valutato ai fini della liquidazione del risarcimento dovuto dal ricorrente, in quanto il possesso del bene avrebbe dovuto essere trasferito soltanto al momento della stipulazione del contratto definitivo. Sotto un diverso profilo, va poi evidenziata l’assenza, nel caso in esame, del secondo presupposto ritenuto necessario dalle Sezioni Unite ai fini dell’operatività della compensatio lucri cum damno, ovverosia della previsione di un meccanismo di surroga o rivalsa, idoneo a consentire al terzo obbligato (la società comodataria) di trasferire a carico del danneggiante l’onere economico del pagamento effettuato (o da effettuare) in favore del danneggiato: tale circostanza contribuisce a porre in risalto la mancanza di qualsiasi relazione tra l’inadempimento del contratto preliminare di compravendita ed il risarcimento del danno per il mancato rilascio dell’immobile concesso in comodato, la cui detrazione dal risarcimento dovuto dal promissario acquirente si tradurrebbe dunque in un inaspettato vantaggio per l’autore dell’illecito, trattandosi di attribuzioni patrimoniali tra le quali non è configurabile un nesso causale neppure mediato o indiretto.

2. Il ricorso va pertanto rigettato, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, che si liquidano come dal dispositivo.

P.Q.M.

rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore del contro-ricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 8.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso dallo stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 1 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 5 agosto 2020

 

 

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