Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16699 del 16/07/2010

Cassazione civile sez. lav., 16/07/2010, (ud. 26/05/2010, dep. 16/07/2010), n.16699

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIDIRI Guido – Presidente –

Dott. DI NUBILA Vincenzo – Consigliere –

Dott. STILE Paolo – Consigliere –

Dott. IANNIELLO Antonio – Consigliere –

Dott. MELIADO’ Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DELLA FREZZA N. 17, presso l’Avvocatura Centrale

dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati CORETTI

ANTONIETTA, CORRERA FABRIZIO, SGROI ANTONINO, giusta delega in calce

al ricorso;

– ricorrente –

contro

I.M.L. S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore, già

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CICERONE 28, presso lo studio

dell’avvocato MANZO TOMMASO, che la rappresenta e difende unitamente

all’avvocato PALMIERI MARIO, giusta delega in calce al controricorso

e da ultimo domiciliata d’ufficio presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE

SUPREMA DI CASSAZIONE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 68/2007 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 23/01/2007 R.G.N. 1614/04;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

26/05/2010 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE MELIADO’;

udito l’Avvocato PALMIERI MARIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

ABBRITTI Pietro che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza in data 21.12.2006/23.1.2007 la Corte di appello di Milano, pronunciando in sede di rinvio dalla Corte di cassazione, revocava il decreto ingiuntivo emesso, su istanza dell’INPS, dal Pretore del lavoro di Cremona per il pagamento a carico della IML srl di somme relative a contributi previdenziali omessi e somme aggiuntive relativi al periodo (OMISSIS).

Osservava la corte territoriale che, sulla base del principio di diritto stabilito dalla Suprema Corte, che aveva prescritto che, ai fini della determinazione della retribuzione da assumere come parametro per il calcolo dei contributi previdenziali, dovesse farsi riferimento alla L. n. 389 del 1989, era emerso, in esito agli accertamenti tecnici disposti, che la società aveva versato la contribuzione su una retribuzione base superiore a quella prevista dai contratti collettivi applicabili, con conseguente rispetto del cd. minimale contributivo e diritto al beneficio della fiscalizzazione.

Per la cassazione della sentenza propone ricorso l’INPS con due motivi.

Resiste con controricorso la società IML a r.l..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo, svolto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, l’Istituto ricorrente lamenta violazione dell’art. 384 c.p.c. e del D.L. n. 338 del 1989, art. 1 conv. nella L. n. 389 del 1989, rilevando che, in violazione del principio di diritto stabilito dalla Suprema Corte, che aveva confermato l’esistenza della accertata omissione contributiva, conseguente al mancato computo dell’incremento della percentuale per il lavoro notturno a turni introdotto dall’accordo del 1993 negli istituti indiretti, il giudice di rinvio aveva ritenuto ancora controverso l’an debeatur ed aveva, pertanto, ancora una volta verificato se, nel caso di specie, fosse applicabile la previsione della L. n. 389 del 1989, art. 1.

Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 c.p.c., n. 3) in relazione al D.L. n. 338 del 1989, art. 6 conv. nella L. n. 389 del 1989, nonchè vizio di motivazione (art. 360 c.p.c., n. 5), osservando che la corte territoriale aveva erroneamente ritenuto provato che i dipendenti erano stati retribuiti con retribuzioni non inferiori a quelle previste dalla D.L. n. 338 del 1989, art. 1, sulla scorta di una indagine svolta a campione su cinque dipendenti a fronte di 257 lavoratori complessivamente occupati dall’impresa e senza che fossero state preventivamente fissate le regole da applicare per l’individuazione di un campione statisticamente significativo. Il primo motivo è infondato.

Per come emerge dalla sentenza rescindente, correttamente riportata nella pronuncia impugnata, questa Corte ha fissato il principio di diritto che le disposizioni sull’imponibile contributivo di cui alla L. n. 402 del 1996, art. 3, non si applicano ai contributi dovuti per periodi anteriori alla sua entrata in vigore, ed ancora che spetta al datore di lavoro dimostrare la sussistenza delle condizioni previste dalla legge per il diritto alla fiscalizzazione degli oneri sociali.

Più in particolare, nell’accogliere il primo motivo del ricorso proposto dall’INPS, ha statuito che “per la dedotta omissione contributiva, conseguente al mancato computo dell’incremento della percentuale spettante per il lavoro a turni introdotto dall’accordo del 1993, negli istituti delle festività, ferie e gratifica natalizia, si dovrà … fare applicazione della L. n. 389, e precisamente dell’art. 1 che determina appunto il minimale di retribuzione a fini contributivi”; ha ritenuto assorbito il secondo motivo, relativo alla corretta interpretazione della L. n. 402 del 1996, art. 3, in quanto ritenuta inapplicabile ratione temporis; ha accolto, infine, anche l’ultimo motivo, ritenendo onere della società, e non anche dell’INPS, dimostrare, ai fini del diritto alla fiscalizzazione, che “anche con l’applicazione dell’accordo del 1993 l’ammontare delle retribuzioni non scendeva al di sotto del limite previsto dalla L. n. 389 del 1989, art. 1 – e di aver pertanto diritto al beneficio della fiscalizzazione”.

Ne risulta evidente, sulla base di tali dati di riferimento, che il giudice di legittimità, lungi dall’accertare l’esistenza di alcuna omissione contributiva, ha, piuttosto, individuato i criteri normativi a tal fine rilevanti, ed, in particolare, la disciplina normativa applicabile per la determinazione del minimale di retribuzione ai fini contributivi, spettando “al datore di lavoro di dimostrare il suo esatto adempimento, e cioè che applicando l’accordo del 1993 l’ammontare delle retribuzioni non scendeva al di sotto del limite previsto dalla L. n. 389 del 1989, art. 1”.

Il giudice del rinvio, correttamente interpretando il principio posto nella sentenza rescindente, non ha, pertanto, per come si prospetta nel ricorso, posto ancora una volta in discussione l’applicabilità della L. n. 389 del 1989, ma, disponendo i necessari accertamenti istruttori, ne ha, piuttosto, verificato la concreta osservanza, appurando che, pur con l’applicazione dell’accordo del 1993, il trattamento corrisposto alle varie categorie dei lavoratori occupati nell’azienda non risultava inferiore a quello complessivo (comprensivo degli istituti differiti) previsto dai contratti collettivi.

Ne deriva che la soluzione interpretativa adottata dal giudice del rinvio non appare configgente, nè sul piano logico, nè sotto il profilo giuridico, con il principio posto dalla Corte di Cassazione, nè appare eccedere i confini assegnati dalla legge alla sua decisione.

Non meritevole di accoglimento è anche il secondo motivo.

Basti, al riguardo, osservare che il metodo (“a campione”) preso in considerazione dal consulente d’ufficio ai fini dell’espletamento dell’indagine peritale non solo non è stato contestato dall’Istituto, nella fase di merito, ma, anzi, per come emerge dalla sentenza impugnata, è stato adottato “sull’accordo” dei consulenti di entrambe le parti e che, nella stessa sede, sono rimasti incontestati gli esiti delle indagini svolte. Con la conseguenza che inammissibili risultano la censure solo in questa fase prospettate, dovendosi ribadire che per infirmare, sotto il profilo del vizio di motivazione, la sentenza che recepisca le conclusioni della consulenza tecnica d’ufficio disposta dal giudice di merito è necessario che la parte alleghi le critiche mosse alla stessa già innanzi al giudice a quo, la loro rilevanza ai fini della decisione e l’omesso esame nell’ambito della relativa pronuncia; risolvendosi diversamente le censure mosse alla sentenza nella mera prospettazione di un sindacato di merito, inammissibile in sede di legittimità (cfr. Cass. n. 10222/2009).

Il ricorso va, pertanto, rigettato. Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna al pagamento delle spese che liquida in Euro 36,00 per esborsi ed in Euro 4000,00 per onorario di avvocato, oltre a spese generali, IVA e CPA. Così deciso in Roma, il 26 maggio 2010.

Depositato in Cancelleria il 16 luglio 2010

 

 

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