Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16699 del 09/08/2016


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Cassazione civile sez. trib., 09/08/2016, (ud. 14/03/2016, dep. 09/08/2016), n.16699

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BIELLI Stefano – Presidente –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 17703-2010 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

C.D., elettivamente domiciliato in ROMA VIA FABIO MASSIMO

72, presso lo studio dell’avvocato SERGIO DI LOLLO, che lo

rappresenta e difende giusta delega in calce;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 255/2009 della COMM.TRIB.REG. del LAZIO,

depositata il 14/05/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

14/03/2016 dal Consigliere Dott. LUCIO LUCIOTTI;

udito per il ricorrente l’Avvocato DE BONIS che ha chiesto

l’accoglimento;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DEL

CORE Sergio, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. A seguito di verifica fiscale effettuata nei confronti della Cassia Alluminio srl, nel corso della quale era emerso che il contribuente C.D., di professione aiuto regista, conviveva con la figlia del legale rappresentante della predetta società, la G.d.F. riteneva opportuno estendere l’accertamento anche nei confronti del Canone, da cui emergeva un elevato numero di operazioni effettuate dal contribuente nel corso del 1998 su due conti correnti al medesimo intestati, con movimentazioni di somme di denaro di cospicua entità, non giustificata dall’entità del reddito da lavoro autonomo dichiarato dal Canone nell’anno in verifica.

Pertanto, sulla scorta del processo verbale di constatazione redatto dalla G.d.F. in data 28 febbraio 2000, l’Agenzia provvedeva a notificare al contribuente un avviso di accertamento di maggiori imposte IRPEF, IRAP ed IVA, oltre all’addizionale regionale, interessi e sanzioni, recuperando a tassazione redditi da lavoro autonomo per complessive Lire 643.943.980 ed operazioni imponibili non assoggettate ad IVA per Lire 538.455.816.

2. La sentenza della CTP di Roma, che rigettava il ricorso proposto dal contribuente avverso il predetto atto impositivo, veniva riformata dalla CTR del Lazio che, con sentenza n. 255 del 14 maggio 2009, accoglieva l’appello del Canone sostenendo: a) che l’accertato collegamento con la società Cassia Alluminio s.r.l., che era stato motivo di estensione della verifica anche al Canone, avrebbe dovuto indurre i verificatori “a riscontrare i soggetti interessati ai movimenti bancari sui conti” del medesimo anche alla stregua del contenuto dell’atto di notorietà dell’amministratore della predetta società, prodotto in giudizio, in cui lo stesso dichiarava che i conti correnti erano stati aperti solo per farvi transitare le operazioni svolte dalla società; b) che gravava sull’Amministrazione finanziaria la prova della fittizietà delle operazioni commerciali poste in essere per interposta persona; c) che l’Ufficio aveva “trasformato in deduzioni precise e concordanti, semplici sospetti… pur se connotati di un alto grado di probabilità”, che comunque dovevano “ricevere il riscontro di un indizio concreto, quale ad esempio la dichiarazione di uno degli imprenditori della inerenza ad una transazione commerciale effettivamente intrattenuta dal soggetto destinatario dell’accertamento”.

3. Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso l’Agenzia delle Entrate, affidato a due motivi, cui resiste il contribuente con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo, dedotto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, ed accompagnato da idoneo quesito di diritto, l’Agenzia lamenta che il giudice di merito, in violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 32 e 39, del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, comma 2, e art. 54, comma 2, nonchè degli artt. 2697, 2727, 2728 e 2729 c.c., ha posto a carico dell’Agenzia delle entrate l’onere di integrare con ulteriori riscontri probatori concreti gli elementi indiziari raccolti, costituiti dalle risultanze dei movimenti bancari effettuati su due conti correnti intestati al contribuente, ritenuti incompatibili con il reddito dichiarato dal medesimo, sostenendo lo stesso giudice che in ogni caso non poteva pretendersi dall’intestatario dei predetti conti correnti la giustificazione dei singoli movimenti bancari anche in ragione del suo diritto alla riservatezza.

2. Il ricorso è fondato e va accolto nei limiti e per le ragioni di seguito spiegate.

3. Con l’avviso di accertamento impugnato l’Ufficio aveva provveduto a recuperare a tassazione una serie di movimenti – versamenti e prelievi – effettuati sul conto corrente intestato al contribuente libero professionista, considerati “compensi” conseguiti dall’attività libero professionale dal medesimo svolta, così come, al momento della pronuncia della sentenza impugnata (14 maggio 2009), era previsto dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 2, secondo periodo, che, in relazione ai rapporti ed alle operazioni (anche) bancarie, stabiliva che “sono altresì posti come ricavi o compensi a base delle stesse rettifiche ed accertamenti, se il contribuente non ne indica il soggetto beneficiario e semprechè non risultino dalle scritture contabili, i prelevamenti o gli importi riscossi nell’ambito dei predetti rapporti od operazioni”.

3.1. Con sentenza 24 settembre 2014, n. 228, la Corte costituzionale ha però dichiarato l’illegittimità costituzionale della sopra riportata disposizione “limitatamente alle parole “o compensi””, ritenendo che la presunzione posta dalla citata norma con riferimento ai compensi percepiti dai lavoratori autonomi fosse “lesiva del principio di ragionevolezza nonchè della capacità contributiva, essendo arbitrario ipotizzare che i prelievi ingiustificati da conti correnti bancari effettuati da un lavoratore autonomo siano destinati ad un investimento nell’ambito della propria attività professionale e che questo a sua volta sia produttivo di un reddito”.

In conseguenza della predetta pronuncia, pertanto, “non è più proponibile l’equiparazione logica tra attività d’impresa e attività professionale fatta, ai fini della presunzione posta dall’art. 32, dalla giurisprudenza di legittimità per le annualità anteriori” (Cass. n. 23041 del 2015), cosicchè è definitivamente venuta meno la presunzione di imputazione dei prelevamenti operati sui conti correnti bancari ai ricavi conseguiti nella propria attività dal lavoratore autonomo o dal professionista intellettuale, che la citata disposizione poneva, spostandosi, quindi, sull’Amministrazione finanziaria l’onere di provare che i prelevamenti ingiustificati dal conto corrente bancario e non annotati nelle scritture contabili, siano stati utilizzati dal libero professionista per acquisti inerenti alla produzione del reddito, conseguendone dei ricavi.

Con riferimento ai versamenti effettuati dai predetti soggetti (lavoratori autonomi) sui propri conti correnti resta, quindi, invariata la presunzione legale posta dalla predetta disposizione a favore dell’Erario, che data la fonte legale, non necessita dei requisiti di gravità, precisione e concordanza richiesti dall’art. 2729 c.c. per le presunzioni semplici, superabile da prova contraria fornita dal contribuente (Cass. n. 6237 del 2015 e n. 9078 del 2016), “il quale deve dimostrare che gli elementi desumibili dalla movimentazione bancaria non sono riferibili ad operazioni imponibili, fornendo, a tal fine, una prova non generica, ma analitica, con indicazione specifica della riferibilità di ogni versamento bancario, in modo da dimostrare come ciascuna delle operazioni effettuate sia estranea a fatti imponibili” (Cass. sent. n. 18081 del 2010; cfr. anche sent. n. 22179 del 2008 e n. 26018 del 2014).

3.2. Ha quindi errato, nella specie, il giudice di appello che, in relazione ai versamenti risultanti dai conti correnti del contribuente, non si è attenuto ai principi sopra enunciati, ponendo a carico dell’Amministrazione finanziaria un onere probatorio che non le spettava.

3.3. Si rende, quindi, necessario l’accoglimento del motivo in esame nei limiti sopra precisati e la cassazione della sentenza impugnata in relazione al profilo dei soli versamenti riscontrati sui conti correnti del contribuente, con rinvio al giudice di merito affinchè riesamini la vicenda processuale alla luce dei suddetti principi.

4. Il secondo motivo di ricorso, con cui la difesa erariale ha dedotto, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’insufficiente motivazione della sentenza impugnata per non aver spiegato le ragioni per le quali, nonostante l’accertata disponibilità da parte del contribuente di ingenti somme di danaro, incompatibili con il livello di reddito dichiarato, spetterebbe all’Ufficio fornire la prova di un fatto mai specificamente contestato dall’Ufficio e, cioè, che quelle somme, di spettanza di una terza società, sarebbero state fittiziamente intestate al contribuente, è chiaramente assorbito dall’accoglimento del primo mezzo.

5. Il giudice del rinvio provvederà anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.

PQM

La Corte accoglie, per quanto di ragione, il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla Commissione tributaria regionale del Lazio, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sezione quinta civile, il 14 marzo 2016.

Depositato in Cancelleria il 9 agosto 2016

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