Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16698 del 16/07/2010

Cassazione civile sez. lav., 16/07/2010, (ud. 18/05/2010, dep. 16/07/2010), n.16698

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSELLI Federico – Presidente –

Dott. MONACI Stefano – Consigliere –

Dott. DE RENZIS Alessandro – Consigliere –

Dott. BANDINI Gianfranco – Consigliere –

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

COMUNE DI POLIGNANO A MARE (BA), in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA TARO 25, presso

lo studio dell’avvocato MAGARAGGIA, rappresentato e difeso

dall’avvocato PAPADIA FRANCESCO V., giusta mandato in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

D.C.G.;

– intimato –

e sul ricorso n. 34530/2006 proposto da:

D.C.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI

PREFETTI 17, presso lo studio dell’avvocato PANDISCIA CARLO,

rappresentato e difeso dagli avvocati VERNOLA MASSIMO, VERNOLA

MARCELLO, giusta mandato a margine del controricorso e ricorso

incidentale;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

COMUNE DI POLIGNANO A MARE (BA), in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA TARO 25, presso

lo studio dell’avvocato MAGARAGGIA, rappresentato e difeso

dall’avvocato PAPADIA FRANCESCO V., giusta mandato in calce al

ricorso;

– controricorrente al ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 1438/2006 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 17/07/2006 r.g.n. 2823/05;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

18/05/2010 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE NAPOLETANO;

udito l’Avvocato PAPADIA FRANCESCO V.;

udito l’Avvocato VERNOLA MASSIMO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FEDELI Massimo che ha concluso per il rigetto di entrambi i ricorsi.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte di Appello di Bari confermava la sentenza di primo grado con la quale, in parziale accoglimento della domanda di D.C. G., segretario generale del Comune di Polignano a Mare, veniva dichiarata la nullita’ del provvedimento di revoca dall’incarico di segretario comunale, adottato con Delib. 18 agosto 1999, n. 159 dal predetto Comune, ed ordinata la reintegra del ricorrente nel posto di lavoro con condanna del Comune alla corresponsione delle retribuzioni maturate dal giorno della revoca a quello della reintegrazione, oltre al risarcimento del danno conseguente alla mancata percezione dei diritti di rogito quantificato nella somma di Euro 20.168,96.

La Corte territoriale, premessa una illustrazione normativa del nuovo ordinamento professionale dei segretari comunali di cui alla L. 15 maggio 1997, n. 17 e al D.P.R. 4 dicembre 1997, n. 465 ed esclusa ratione temporis l’applicabilita’ della nuova disciplina ex D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, riteneva illegittimo il provvedimento di revoca dall’incarico adottato nei confronti del D.C. per essere la relativa procedura viziata da violazione del principio del contraddittorio, non essendosi proceduto, nella prescritta seduta di Giunta, alla audizione del D.C. nonostante che lo stesso avesse chiesto formalmente di essere ascoltato al termine del periodo di congedo ordinario assegnatogli dallo stesso Sindaco.

Rilevava al riguardo la Corte del merito che il Sindaco, senza alcuna preventiva revoca del periodo feriale gia’ da lui concesso al D. C., aveva fissato l’audizione del D.C. proprio durante siffatto periodo e la Giunta aveva proceduto all’adozione della delibera della revoca senza la presenza dell’incolpato nonostante fosse a conoscenza dell’impedimento, determinato dalla fruizione del periodo feriale, del D.C..

Assumeva, altresi’, il giudice di secondo grado che, nonostante il provvedimento di revoca contenesse legittimamente una motivazione per relationem alla Delib. Giunta 19 agosto 1999, n. 159, questa non conteneva, illegittimamente, un adeguata motivazione. Tali motivi d’illegittimita’ erano, poi, ritenuti dal predetto giudice assorbenti rispetto alle ulteriori dedotte ragioni attinenti al merito delle gravi violazioni dei doveri d’ufficio contestate.

Quanto all’irritualita’ della ordinanza di revoca del precedente provvedimento di ammissione di mezzi istruttori emessa dal giudice di primo grado fuori udienza, la Corte territoriale rilevava che tale irregolarita’ doveva reputarsi superata dalla successiva rimessione in termini del difensore del Comune che riproponeva, in tal modo, le sue istanze istruttorie nel rispetto del contraddittorio.

Relativamente al danno conseguente alla mancata percezione dei diritti di rogito, la Corte di appello considerava legittimo il criterio adottato dal primo giudice dovendosi considerare, per la relativa quantificazione, la durata dell’incarico commisurato alla durata del mandato del Sindaco che aveva proceduto alla nomina del Segretario, e i dati emergenti dalla consulenza tecnica – contabile nella quale si era tenuto conto degli atti, della quota di diritti di rogito spettanti e dell’aliunde perceptum nel periodo di reggenza e supplenza presso altri enti.

Riteneva, infine,la Corte del merito infondata la domanda del D. C. concernente il ristoro degli altri dedotti danni per difetto della relativa prova non potendosi questa considerare in re ipsa.

Avverso questa sentenza il Comune di Polignano a Mare ricorre in cassazione sulla base di otto censure, illustrate da memoria.

Resiste con controricorso il D.C., il quale propone impugnazione incidentale sostenuta da un unico motivo. Resiste a tale impugnazione il Comune con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

I ricorsi vanno, preliminarmente, riuniti riguardando l’impugnazione della stessa sentenza.

Con la quinta censura, il cui esame e’ preliminare, il ricorrente principale, assumendo violazione degli artt. 100, 101 e 102 c.p.c. pone il quesito di diritto di cui all’art. 366 bis c.p.c.. Afferma che il giudice di appello doveva integrare il contraddittorio nei confronti dell’Agenzia Autonoma per la Gestione degli Albi dei Segretari Comunali.

La censura e’ infondata.

Il segretario comunale, nominato dal Sindaco e funzionalmente dipendente dal capo dell’amministrazione locale, e’ legato a questa da un rapporto di lavoro, subordinato con mansioni di collaborazione, funzioni di assistenza giuridico – amministrativa e sottoposizione al relativo potere disciplinare, che puo’ esplicarsi con la revoca dell’incarico ossia con la risoluzione del rapporto (D.Lgs. 19 agosto 2000, n. 267, art. 97, comma 2, art. 91, comma 1, art. 100). Cessato comunque questo rapporto di lavoro (D.Lgs. 19 agosto 2000, n. 267, art. 101, comma 1), il segretario comunale e’ posto a disposizione dell’Agenzia Autonoma di cui all’art. 102 D.Lgs. cit. la quale a sua discrezione puo’ impiegarlo per i vari incarichi di cui all’art. 101 cit., commi 2 e 4. Questo secondo rapporto di lavoro e’ distinto dal primo per i soggetti datori e per l’oggetto, con la conseguenza che le controversie giudiziarie relative al primo rapporto, seppure non prive di un’incidenza indiretta ed eventuale sul secondo, non comportano rispetto all’Agenzia il litisconsorzio necessario (art. 102 c.p.c.), il quale richiede unicita’ di rapporto con pluralita’ di soggetti oppure situazioni soggettive con pluralita’ di titolari (Cass., S.U., 22 ottobre 2002 n. 14 897).

Il ricorrente non indica ora un suo interesse alla partecipazione dell’Agenzia al presente processo ne’ le ragioni che lo hanno distolto dalla relativa chiamata in causa.

Con la terza censura, anche questa da esaminare in via pregiudiziale, il Comune di Polignano a Mare, allegando violazione degli artt. 112, 115, 116 c.p.c., e dell’art. 420, commi 5, 6 e 7, nonche’ vizio di motivazione, articola il quesito di diritto di cui al menzionato art. 366 bis c.p.c.. Critica il Comune la ricostruzione dell’iter processuale fornito dalla Corte del merito riguardo alla mancata comunicazione dell’ordinanza, emessa fuori udienza, dal giudice di primo grado e contesta che la firma di presa visione in calce al verbale di udienza possa costituire presa visione del provvedimento non notificato.

La critica, per come articolata, non coglie nel segno.

Infatti la Corte del merito considera sanata la irregolarita’ conseguente alla mancata notifica della ordinanza – relativa all’ammissione di mezzi istruttori – emessa fuori udienza, dalla successiva concessione, al procuratore del Comune, di termine per articolare mezzi istruttori. Ebbene su tale specifica affermazione il Comune ricorrente non muove alcuna censura, sicche’ deve ritenersi che la ritenuta sanatoria costituisca un punto intangibile della sentenza impugnata.

Con il primo motivo il Comune di Polignano a Mare, deducendo violazione del D.P.R. n. 465 del 1997, art. 14 nonche’ L. n. 127 del 1997, art. 17, commi 77 e 78 formula il relativo quesito di diritto ex art. 366 bis c.p.c. Allega che non e’ rispondente al vero l’affermazione della Corte di appello circa la mancata convocazione per accertata assenza del D.C. dal domicilio; che, a differenza di quanto afferma la Corte barese, l’Amministrazione Comunale ha adottato la delibera in data 19/8/1999 senza conoscere l’impedimento del D.C.; che “lascia sconcertati la svista nella quale incorre la Corte territoriale a proposito delle date d’invio e ricezione del telegramma”. Conclude che la predetta Corte incorre in gravi errori di valutazione e di lettura degli atti soprattutto quando, obliterando ogni altra considerazione, fa assurgere a motivo primario ed unico di accoglimento delle lagnanze del D.C. la circostanza della violazione procedimentale. Il motivo non e’ ammissibile.

In tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge, infatti, consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa (di qui la funzione di assicurare l’uniforme interpretazione della legge assegnata alla Corte di cassazione dall’art. 65 ord. giud.); viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa e’ esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e impinge nella tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura e’ possibile, in sede di legittimita’, sotto l’aspetto del vizio di motivazione (Cass. 15499/04, 16312/05, 10127/06 e 4178/07).

Nella specie ricorre proprio siffatta ultima ipotesi in quanto la violazione di legge viene dedotta appunto mediante la contestazione della valutazione delle risultanze di causa la cui censura e’ ammissibile, in sede di legittimita’, sotto l’aspetto del vizio di motivazione, che qui non viene denunciato, ma non sotto il profilo della violazione o falsa applicazione di legge.

Con il secondo motivo il ricorrente principale, denunciando violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., degli artt. 115, 116 e 117 c.p.c. nonche’ degli artt. 175, 183 c.p.c., e dell’art. 167 c.p.c., comma 2, pone il relativo quesito di diritto ex art. 366 bis c.p.c. cit..

Sostiene che la Corte barese non richiede alcuna prova sulle affermazioni del D.C. di non aver avuto notizia della audizione, ne’ esercita i suoi poteri ufficiosi con la conseguenza che, difettando la prova e non avendo la controparte neppure offerto di fornire la relativa prova, la domanda andava rigettata.

Il motivo non e’ fondato.

La sentenza impugnata risulta ancorata a due distinte rationes decidendi, autonome l’uria dalla altra, e ciascuna, da sola, sufficiente a sorreggerne il dictum: da un lato, all’affermazione che l’Amministrazione comunale aveva illegittimamente fissato l’audizione in un giorno cadente nel periodo feriale assegnato al D.C. e, dall’altro, all’asserzione che la convocazione del D.C. per l’audizione non risultava recapitata per l’accertata sua assenza dal domicilio.

Infatti e’ ius receptum, nella giurisprudenza di questa Corte, il principio per il quale l’impugnazione di una decisione basata su una motivazione strutturata in una pluralita’ di ordini di ragioni, convergenti o alternativi, autonomi l’uno dallo altro, e ciascuno di per se’ solo idoneo a supportare il relativo dictum, per poter essere ravvisata meritevole di ingresso deve risultare articolata in uno spettro di censure tale da investire, e da investire utilmente, tutti gli ordini di ragioni cennati, posto che la mancata critica di uno di questi o la relativa attitudine a resistere agli appunti mossigli comporterebbero che la decisione dovrebbe essere tenuta ferma sulla base del profilo della sua ratio non, o mal, censurato e priverebbero l’impugnazione dell’idoneita’ al raggiungimento del suo obiettivo funzionale, rappresentato dalla rimozione della pronuncia contestata (cfr., in merito, ex multis, Cass. 26 marzo 2001 n. 4349, Cass. 27 marzo 2001 n 4424 e da ultimo Cass. 20 novembre 2009 n. 24540).

Orbene, nel caso di specie, la censura del ricorrente attiene esclusivamente al mancato “recapito della convocazione per l’audizione e non investe in alcun modo la ritenuta illegittimita’ della fissazione dell’audizione in un giorno ricadente nel periodo feriale assegnato al D.C. dallo stesso Sindaco.

Inoltre la illegittimita’ della revoca dell’incarico viene ritenuta dalla Corte, a differenza di quanto sostenuto dal Comune, non solo in relazione al vizio del procedimento, ma anche, e con autonoma ed alternativa ratio decidendi, con riferimento alla genericita’ della motivazione posta a base del provvedimento di revoca. Ed ancora una volta il Comune ricorrente non muove alcuna specifica censura a siffatta ratio. Conseguentemente il motivo in esame e’ anche infondato sotto tale profilo.

Con il quarto motivo il ricorrente principale, deducendo violazione della L. n. 300 del 1970, art. 18 pone il quesito di diritto ex art. 366 bis c.p.c.. Prospetta che nella specie erroneamente il giudice di appello, nel disporre la reintegra del D.C., ha applicato il richiamato art. 18 non trattandosi di rapporto di lavoro privatistico. Rileva, poi, che comunque la Corte del merito non ha accertato il numero dei dipendenti occupati presso il Comune.

Il motivo non coglie nel segno, risultando del tutto estranea alla ratio decidendi della impugnata sentenza l’operativita’ della speciale disciplina di cui alla richiamata norma. Ne’ puo’ indurre a diversa conclusione la adozione da parte del giudice del merito di una terminologia analoga a quella adoperata dal legislatore nella formulazione del richiamato art. 18. Del resto, rientra nei poteri del giudice ordinario, in materia di pubblico impiego c.d.

privatizzato, l’adozione di qualsiasi tipo di sentenza, ivi compresa la sentenza di condanna ad un “facere”, dovendosi ritenere irrilevante il carattere infungibile dell’obbligo, in quanto la relativa decisione non solo e’ potenzialmente idonea a produrre i suoi effetti tipici in conseguenza della (eventuale) esecuzione volontaria da parte del debitore, ma e’ altresi’ funzionale alla produzione di ulteriori conseguenze giuridiche (derivanti dall’inosservanza dell’ordine in essa contenuto) che il titolare del rapporto e’ autorizzato ad invocare in suo favore, prima fra tutte la possibile successiva domanda di risarcimento del danno, rispetto alla quale la condanna ad un “facere” infungibile assume valenza sostanziale di sentenza di accertamento (per tutte V. Cass. 28274/08 e 14918/08). Con il sesto motivo il Comune di Polignano a Mare, prospettando violazione della L. n. 312 del 1988, art. 41, dell’art. 112 c.p.c. e vizio di motivazione, pone il quesito di diritto ai sensi del citato art. 366 bis c.p.c.. Allega che la Corte del merito ha riconosciuto corrispettivi relativi ai diritti di rogito senza conoscere se presso il Comune erano stati effettuati rogiti, senza tener conto che il D.C. aveva percepito tali indennita’ presso altri Comuni e che il CTU aveva errato i calcoli.

Il motivo e’ infondato.

Invero la Corte di Appello, nel riconoscere tali diritti, fa rinvio alla consulenza tecnico contabile e da atto che, nella stessa, si e’ tenuto conto degli atti che sono stati stipulati dal Comune di Polignano a Mare nel corso dell’intero periodo di durata naturale dell’incarico,del limite di 1/3 della retribuzione ordinaria media del D.C., dell’aliunde perceptum nei periodi di supplenza e reggenza presso altri enti locali. Ossia proprio di quegli elementi che il Comune ricorrente assume essere stati erroneamente non considerati. E’ poi, del tutto generica la censura relativa agli errori di calcolo in cui sarebbe incorso il CTU. Inoltre, conviene sottolineare che trattandosi di risarcimento del danno la correlazione con gli atti stipulati e’ solo parametro di quantificazione del danno e non corrispettivo di un’attivita’ e, quindi, non rileva che la stessa sia o meno stata svolta dal D. C. o da altro soggetto.

Con la settima censura il ricorrente principale, denunciando violazione dell’art. 112 c.p.c. ed omessa pronuncia e motivazione, formula il quesito di cui al menzionato art. 366 bis c.p.c..

Asserisce che erroneamente la Corte del merito non ha valutato alcun aspetto del merito della vicenda.

La censura e’ assorbita dalla accertata illegittimita’ della revoca per vizio del procedimento e per genericita’ della motivazione del provvedimento di revoca.

Con l’ottavo motivo il Comune di Polignano a Mare sostiene violazione del punto 72 L. n. 127 del 1997, art. 17 e pone il quesito di cui al piu’ volte richiamato art. 366 bis c.p.c.. Lamenta sostanzialmente che la Corte di Appello non ha tenuto conto di quanto stabilito dalla denunciata normativa al fine di evitare illegittime duplicazioni patrimoniali.

Il motivo non e’ esaminabile attesa la genericita’ del quesito di diritto, in cui non e’ alcun riferimento alla fattispecie concreta essendosi il Comune ricorrente limitato a chiedere l’applicazione della norma denunciata. Per di piu’ non coglie, comunque, nel segno, atteso che sotto il profilo patrimoniale e’ stato riconosciuto solo il risarcimento del danno connesso al diritto di rogito, nella cui quantificazione, si e’ sottratto, come osservato, l’aliud perceptum.

Pertanto alcuna duplicazione di compensi e’ ipotizzabile.

Con il ricorso incidentale il D.C., allegando violazione del D.Lgs. n. 80 del 1998, art. 25, dell’art. 2103 c.c. e dell’art. 116 c.p.c. nonche’ vizio di motivazione, articola il quesito di diritto di cui al citato art. 366 bis c.p.c.. Critica la sentenza impugnata per non aver i giudici di appello riconosciuto le altre voci di danno non considerando che il danno e’ in re ipsa. Il motivo non e’ esaminabile in questa sede. Invero, il quesito di diritto e’ del tutto generico, difettando qualsiasi riferimento alla fattispecie concreta, limitandosi il ricorrente incidentale a chiedere se la sentenza impugnata violi o meno le denunciate norme.

Ne’ si puo’ desumere il quesito dal contenuto del motivo o integrare il primo con il secondo, pena la sostanziale abrogazione dell’art. 366 bis c.p.c. (Cass. S.U. 11 marzo 2008 n. 6420).

Peraltro e’ giurisprudenza oramai consolidata a seguito dell’intervento delle Sezioni Unite di questa Corte, che in tema di demansionamento e di dequalificazione, il riconoscimento del diritto del lavoratore al risarcimento del danno professionale, biologico o esistenziale, che asseritamente ne deriva – non ricorrendo automaticamente in tutti i casi di inadempimento datoriale – non puo’ prescindere da una specifica allegazione, nel ricorso introduttivo del giudizio, sulla natura e sulle caratteristiche del pregiudizio medesimo; mentre il risarcimento del danno biologico e’ subordinato all’esistenza di una lesione dell’integrita’ psico – fisica medicalmente accertabile, il danno esistenziale – da intendere come ogni pregiudizio (di natura non meramente emotiva ed interiore, ma oggettivamente accertabile) provocato sul fare areddittuale del soggetto, che alteri le sue abitudini e gli assetti relazionali propri, inducendolo a scelte di vita diverse quanto all’espressione e realizzazione della sua personalita’ nel mondo esterno – va dimostrato in giudizio con tutti i mezzi consentiti dall’ordinamento, assumendo peraltro precipuo rilievo la prova per presunzioni, per cui dalla complessiva valutazione di precisi elementi dedotti (caratteristiche, durata, gravita’, conoscibilita’ all’interno ed all’esterno del luogo di lavoro dell’operata dequalificazione, frustrazione di precisate e ragionevoli aspettative di progressione professionale, eventuali reazioni poste in essere nei confronti del datore comprovanti l’avvenuta lesione dell’interesse relazionale, effetti negativi dispiegati nelle abitudini di vita del soggetto) – il cui artificioso isolamento si risolverebbe in una lacuna del procedimento logico – si possa, attraverso un prudente apprezzamento, coerentemente risalire al fatto ignoto, ossia all’esistenza del danno, facendo ricorso, ai sensi dell’art. 115 c.p.c., a quelle nozioni generali derivanti dall’esperienza, delle quali ci si serve nel ragionamento presuntivo e nella valutazione delle prove (Cass. S.U. 24 marzo 2006 n. 6572).

Parallelamente questa Corte ha precisato che in tema di demansionamento e di dequalificazione, il riconoscimento del diritto del lavoratore al risarcimento del danno non patrimoniale che asseritamente ne deriva – non ricorrendo automaticamente in tutti i casi di inadempimento datoriale – non puo’ prescindere da una specifica allegazione, nel ricorso introduttivo del giudizio, sulla natura e sulle caratteristiche del pregiudizio medesimo (Cass. 19 dicembre 2008 n. 29832).

A tali principi il giudice del merito si e’ attenuto respingendo la domanda concernente il risarcimento del danno in questione per difetto di allegazione e prova.

In conclusione sulla base delle esposte considerazioni il ricorso principale e quello incidentale vanno rigettati.

La reciproca soccombenza giustifica la compensazione delle spese del giudizio di legittimita’.

P.Q.M.

LA CORTE riuniti i ricorsi li rigetta e compensa le spese del giudizio di legittimita’.

Cosi’ deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 18 maggio 2010.

Depositato in Cancelleria il 16 luglio 2010

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