Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16698 del 14/06/2021

Cassazione civile sez. trib., 14/06/2021, (ud. 23/02/2021, dep. 14/06/2021), n.16698

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino L – Presidente –

Dott. NONNO Giacomo Mar – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCITO DI NOCERA M.G. – Consigliere –

Dott. FICHERA Giusep – rel. Consigliere –

Dott. MELE Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sui ricorsi riuniti iscritti ai nn. 09702/2014 e 16343/2014 R.G.

proposti da:

Equitalia Centro s.p.a., (C.F. (OMISSIS)), in persona del legale

rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti

Maurizio Cimetti e Giuseppe Parente, elettivamente domiciliati

presso lo studio dell’avv. Sante Ricci, in Roma, via delle Quattro

Fontane 161.

– ricorrente –

contro

L.S., (C.F. (OMISSIS)), rappresentata e difesa dagli avv.ti

Gian Piero Antonini Zambelli e Giuseppe Maria Tiraboschi,

elettivamente domiciliata presso lo studio di quest’ultimo, in Roma,

via Monte delle Gioie 22.

– controricorrente –

e nei confronti di:

Agenzia delle Entrate, (C.F. (OMISSIS)), in persona del direttore pro

tempore.

– intimata –

e da:

Agenzia delle Entrate, (C.F. (OMISSIS)), in persona del direttore pro

tempore, rappresentata e difesa dall’avvocatura generale dello

Stato, elettivamente domiciliata presso i suoi uffici in Roma via

dei Portoghesi 12.

– ricorrente incidentale –

contro

L.S. (C.F. (OMISSIS)), rappresentata e difesa dagli avv.ti

Gian Piero Antonini Zambelli e Giuseppe Maria Tiraboschi,

elettivamente domiciliata presso lo studio di quest’ultimo, in Roma,

via Monte delle Gioie 22.

– controricorrente –

e nei confronti di:

Equitalia Centro s.p.a., (C.F. (OMISSIS)), in persona del legale

rappresentante pro tempore.

– intimata –

e da:

Agenzia delle Entrate, (C.F. (OMISSIS)), in persona del direttore pro

tempore, rappresentata e difesa dall’avvocatura generale dello

Stato, elettivamente domiciliata presso i suoi uffici in Roma via

dei Portoghesi 12.

– ricorrente –

contro

L.S. (C.F. (OMISSIS)), rappresentata e difesa dagli avv.ti

Gian Piero Antonini Zambelli e Giuseppe Maria Tiraboschi,

elettivamente domiciliata presso lo studio di quest’ultimo, in Roma,

via Monte delle Gioie 22.

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 16/20/2013 della Commissione Tributaria

Regionale dell’Emilia Romagna, depositata il giorno 19 febbraio 2013

e la sentenza n. 89/07/2013, della Commissione Tributaria Regionale

dell’Emilia Romagna, depositata il giorno 12 dicembre 2013.

Sentite le relazioni svolte nella camera di consiglio del giorno 23

febbraio 2021 dal Consigliere Giuseppe Fichera.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

L.S. impugnò una cartella di pagamento notificata da Equitalia Emilia Nord s.p.a., relativa ad IVA per l’anno d’imposta 1995, dovuta dalla predetta quale socia illimitatamente responsabile della contribuente L. s.a.s. di L.S. e c..

L’impugnazione venne accolta in primo grado; proposti separati appelli da Equitalia Emilia Nord s.p.a. e dall’Agenzia delle entrate, previa loro riunione, la Commissione Tributaria Regionale dell’Emilia Romagna, con sentenza resa il giorno 19 febbraio 2013, li respinse entrambi.

Avverso la detta sentenza, Equitalia Centro s.p.a. – quale avente causa di Equitalia Emilia Nord s.p.a. – ed Agenzia delle entrate hanno proposto separati ricorsi per cassazione, affidati entrambi ad un unico mezzo, ai quali ha risposto con distinti controricorsi L.S..

Nelle more del giudizio, in relazione alla ridetta cartella di pagamento, la L. s.a.s. di L.S. e c. manifestò la volontà di avvalersi della definizione agevolata dei carichi pendenti, L. n. 289 del 2002, ex art. 12, ricevendo tuttavia un diniego dall’Amministrazione, che la contribuente impugnò innanzi alla competente commissione tributaria provinciale, ottenendo l’annullamento dell’atto di diniego.

Proposto appello dall’Agenzia delle entrate, con sentenza depositata il 12 dicembre 2013, la Commissione Tributaria Regionale dell’Emilia Romagna lo respinse.

Avverso quest’ultima sentenza, l’Agenzia delle entrate ha quindi proposto ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo, cui resiste con controricorso L.S., quale avente causa della L. s.a.s. di L.S. e c., estinta a seguito della cancellazione dal registro delle imprese.

L.S. ha depositato memoria ex art. 380-bis.1 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Preliminarmente, va disposta la riunione del ricorso iscritto al n. 16343/2014 R.G. a quello iscritto al n. 09702/2014 R.G. (nonchè, in seno a quest’ultimo, del ricorso incidentale proposto successivamente dall’Agenzia delle entrate a quello principale avanzato da Equitalia Centro s.p.a.), trattandosi qui dell’impugnazione di due sentenze che hanno definito, l’una, il ricorso avverso la cartella di pagamento impugnata e, l’altra, il diniego opposto dall’Amministrazione alla pretesa di definizione agevolata della medesima cartella avanzata dalla contribuente.

2. Assume poi carattere chiaramente pregiudiziale l’esame del ricorso riunito proposto dall’Agenzia delle entrate, con il quale quest’ultima lamenta che la commissione tributaria regionale abbia ritenuto illegittimo il diniego opposto alla domanda di definizione agevolata dei carichi pendenti, ai sensi della L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 12.

2.1. Il ricorso merita accoglimento, per le ragioni di cui si dirà.

Va infatti osservato, in via dirimente di ogni altra questione, che in tema di condono fiscale le Sezioni Unite di questa Corte hanno affermato che la L. n. 289 del 2002, art. 12, nella parte in cui consente di definire una cartella esattoriale con il pagamento del 25% dell’importo iscritto a ruolo, comporta una rinuncia definitiva dell’Amministrazione alla riscossione di un credito già definitivamente accertato, e va pertanto disapplicato, limitatamente ai crediti per IVA, per contrasto con la VI Dir. del Consiglio, del 17 maggio 1977, n. 77/388/CEE, alla stregua di un’interpretazione adeguatrice imposta dalla sentenza della Corte di Giustizia CE 17 luglio 2008, in causa C132/06, con cui, in esito ad una procedura di infrazione promossa dalla Commissione Europea, è stata dichiarata l’incompatibilità con il diritto comunitario (in particolare con la citata VI Dir., artt. 2 e 22) della medesima legge, artt. 8 e 9, nella parte in cui prevedono la condonabilità dell’IVA alle condizioni ivi indicate (Cass. S.U. 17/02/2010, n. 3674).

Dunque, deve affermarsi che la società contribuente – oggi estinta – non poteva avvalersi della disciplina di favore introdotta con il condono del 2002, per definire la cartella di pagamento relativa all’IVA dovuta per l’anno 1995 oggetto dell’odierna lite, restando in definitiva legittimo il diniego opposto – ancorchè fondato su diverse ragioni – dall’Amministrazione.

2.2. Nè osta al rilievo officioso della impossibilità di definire in via agevolata una cartella di pagamento concernente l’IVA, la circostanza che l’Agenzia delle entrate, nè nel giudizio di appello e neppure con l’odierno ricorso per Cassazione, abbia dedotto una siffatta ragione in radice ostativa all’adesione al condono.

E invero, secondo l’orientamento che ormai può dirsi consolidato innanzi a questa Corte, il potere-dovere del giudice nazionale di conformarsi al diritto comunitario, comporta la necessaria disapplicazione delle regole processuali di diritto interno che, precludendo, in sede di legittimità, l’esame delle questioni non specificatamente dedotte dal ricorrente, impediscono la piena applicazione delle norme comunitarie; tale potere-dovere coesiste con quello di interpretare correttamente quelle regole, in modo da superare ogni incompatibilità con il diritto comunitario (Cass. S.U. 18/12/2006, n. 26948; Cass. 09/09/2008, n. 22705; Cass. 23/06/2010, n. 15190; Cass. 29/12/2010, n. 26285).

2.3. Deve allora affermarsi che la necessità – imposta come visto dalla legislazione Eurounitaria – di disapplicare la normativa sul condono del 2002 in tema di IVA, impone altresì di consentire in sede di legittimità il rilievo delle ragioni che giustificano il rigetto dell’impugnazione del diniego opposto alla contribuente che intendeva aderire al detto condono, ancorchè mai oggetto di specifica doglianza dall’Amministrazione nel corso del giudizio.

3. Con l’unico motivo del ricorso principale e di quello incidentale proposti, rispettivamente, da Equitalia Centro s.p.a. e da Agenzia delle entrate, si lamenta la violazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 25 e del D.L. 17 giugno 2005, n. 106, art. 1, comma 5-bis, convertito con modificazioni dalla L. 31 luglio 2005, n. 156, nonchè degli artt. 1310 e 2313 c.c., poichè la commissione tributaria regionale ha erroneamente ritenuto che la notifica della cartella di pagamento nei confronti della società, non fosse idonea ad impedire la decadenza dalla potestà impositiva anche nei confronti della socia illimitatamente responsabile.

3.1. Il motivo è fondato.

Va anzitutto rammentato che, per granitico orientamento di questa Corte, la notifica alla società di persone della cartella di pagamento concernente il debito sociale – che è ovviamente debito anche dei soci -, interrompe ai sensi dell’art. 1310 c.c., la prescrizione anche nei confronti di questi ultimi (Cass. 11/03/2020, n. 6997; Cass. 17/07/2017, n. 17640; Cass. 09/08/2016, n. 16712).

E la tempestiva notifica della cartella di pagamento nei confronti di uno dei condebitori, impedisce che si produca nei confronti degli stessi anche la decadenza di cui al D.P.R. n. 602 del 1973, art. 25, in quanto, in materia tributaria, a differenza di quella civile, trova applicazione, anche in detta ipotesi, il cennato art. 1310 c.c., sebbene dettato come visto in tema di prescrizione, in ragione della specialità della relativa disciplina procedimentale, trattandosi di attività di diritto pubblico regolata da norme proprie (Cass. 01/02/2018, n. 2545; vedi anche Cass. 12/09/2019, n. 22748).

3.2. In ogni caso, è pacifico che la responsabilità solidale ed illimitata del socio, prevista in via generale dall’art. 2291 c.c., comma 1, per tutti i debiti della società in nome collettivo – ed applicabile alla società in accomandita semplice, quale è quella di cui qui si tratta, in forza dell’art. 2315 c.c. -, sussiste anche con riguardo alle obbligazioni derivanti da rapporti tributari, in assenza di un’espressa deroga nella disciplina vigente.

Ne consegue che il socio accomandatario è tenuto al pagamento del debito a seguito dell’iscrizione a ruolo nei confronti della società e dell’inutile escussione del patrimonio di questa, senza che vi sia necessità di notificargli l’avviso di accertamento non impugnato, nè la cartella di pagamento non adempiuta, essendo sufficiente la notificazione del solo avviso di mora, che ha la funzione, oltre che di precetto, di atto impositivo e, peraltro, può essere impugnato congiuntamente agli atti presupposti ai sensi del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 19 (Cass. 04/03/2020, n. 6020; Cass. 26/10/2015, n. 21763; Cass. 01/10/2014, n. 20704).

3.2. Dunque, ha errato il giudice di merito nel ritenere che la cartella di pagamento concernente un debito della società, dovesse essere notificata – entro il termine di decadenza previsto dal D.P.R. n. 602 del 1973, art. 25 – anche nei confronti dei soci accomandatari illimitatamente responsabili, essendo questi ultimi responsabili per tutte le obbligazioni sociali, pure in difetto dell’esercizio del potere impositivo nei loro confronti, attraverso la notifica di una cartella di pagamento.

4. In definitiva, accolti i distinti ricorsi proposti dall’Agenzia delle entrate e da Equitalia Centro s.p.a., entrambe le sentenze impugnate vanno cassate; non essendo poi necessari ulteriori accertamenti in fatto, le cause possono essere senz’altro decise respingendo entrambi i ricorsi originari proposti dalla socia e dalla società contribuente.

5. Sussistono giustificati motivi per compensare le spese della fase di merito, mentre quelle di legittimità seguono la soccombenza.

PQM

Accoglie i ricorsi riuniti e, per l’effetto, cassa entrambe le sentenze impugnate e decidendo nel merito respinge i due ricorsi originari proposti dalle contribuenti.

Compensa integralmente le spese processuali dei giudizi di merito. Condanna L.S. al pagamento delle spese del giudizio di legittimità sostenute dalle ricorrenti principale ed incidentale, che liquida, per ciascuna, in Euro 2.900,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 23 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 14 giugno 2021

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