Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16697 del 03/07/2013


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 16697 Anno 2013
Presidente: CIRILLO ETTORE
Relatore: CONTI ROBERTO GIOVANNI

SENTENZA

sul ricorso 27818-2007 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
– ricorrente contro

ITAL.GE .SU ITALIANA GESTIONI SUPERMERCATI SRL IN
FALLIMENTO in persona del Curatore fallimentare pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA
CELIMONTANA 38, presso lo studio dell’avvocato
PANARITI PAOLO, che lo rappresenta e difende giusta

Data pubblicazione: 03/07/2013

delega a margine;
– controri corrente –

avverso la sentenza n. 138/2006 della COMM.TRIB.REG.
di ROMA, depositata il 14/09/2006;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica

GIOVANNI CONTI;
udito per il ricorrente l’Avvocato DE SOCIO che ha
chiesto l’accoglimento;
udito per il controricorrente l’Avvocato BUZZI delega
Avvocato PANARITI che ha chiesto il rigetto;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. PASQUALE FIMIANI che ha concluso per
l’accoglimento del ricorso.

udienza del 21/05/2013 dal Consigliere Dott. ROBERTO

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. L’Agenzia delle Entrate di Viterbo notificava alla società Ital.Ge.Su. s.r.l. due avvisi di rettifica
per le dichiarazioni annuali 1996 e 1997 sulla base delle risultanze di un p.v.c. del 5.7.2001, dal
quale era emersa l’inesistenza giuridica della società, costituita al solo scopo di ottenere indebiti
rimborsi IVA ed un credito erariale di £.1.541.854.000 pari all’IVA indebitamente detratta dalla
società nel periodo.
2. Precisava che la società si era impegnata a prendere in locazione un complesso immobiliare, a

successive sublocazioni, e di notevoli costi di ristrutturazione.
3. La società contribuente proponeva ricorso avverso i due avvisi innanzi alla CTP di Viterbo che li
accoglieva.
4.L’Agenzia delle Entrate proponeva appello innanzi alla CTR del Lazio che, con sentenza
depositata il 14 settembre 2006, confermava la sentenza di primo grado.
4.1 Evidenziava, in particolare, che l’amministrazione non aveva contestato l’inesistenza delle
operazioni commerciali intraprese dalle parti, piuttosto sostenendo che la situazione giuridica della
Nuova Immobiliare s.r.l. impediva alla stessa di effettuare attività commerciale, con evidenti
conseguenze sull’annotazione delle fatture operata dalla Ital.Ge.Su.
4.2 Precisava, tuttavia, che tale tesi era infondata. Era infatti emerso che la società contribuente era
stata costituita il 14 aprile 1995 mentre il contratto di subaffitto concluso con la Nuova Immobiliare
s.r.l. — la quale aveva preso in locazione il complesso dalla Leasing Roma s.p.a. il 17.12.1993- era
datato 19 maggio 1995, aggiungendo che la società proprietaria non risultava dal pvc essere
riferibile alla famiglia Sensi.
4.3 Aggiungeva che, a parere del Collegio, non poteva essere contestata l’esistenza fisica della
società, risultando l’esistenza di delibera sociale che aveva disposto il trasferimento della sede della
società in luogo diverso da quello indicato negli avvisi di rettifica, risultando ancora la società,
regolarmente iscritta nel registro delle imprese e titolare di partita IVA.
4.4 Aggiungeva che il diritto a detrazione per le fatture emesse nei confronti della Ital.Ge.Su non
poteva essere escluso, ad onta di quanto affermato dall’amministrazione in relazione alle perdite
della Nuova Immobiliare subite nell’anno 1993, che avevano azzerato il capitale sociale senza che
la stessa avesse provveduto a quanto disposto dagli artt.2747 e 2748 c.c., non prevedendo
l’art.2449 c.c. conseguenze fiscali in caso di operazioni compiute da società sciolta per riduzione di
capitale.
5. L’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per Cassazione affidato a tre motivi, al quale ha
resistito la curatela del fallimento della Ital.Ge.su con controricorso. L’Agenzia ha depositato
memoria.
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fronte del pagamento di imponenti canoni di locazione, che non avrebbe più potuto ottenere dalle

MOTIVI DELLA DECISIONE
6. Con il primo motivo l’Agenzia lamenta la violazione dell’art.132 comma 2 n.4 c.p.c., in
relazione all’art.360 comma 1 n.4 c.p.c. Evidenzia che la decisione impugnata, nella parte in diritto,
era priva di reale motivazione, avendo il giudice di appello riprodotto la motivazione della sentenza
di primo grado senza esprimere le ragioni della conferma, peraltro esaminando argomentazioni
difensive che l’Agenzia aveva abbandonato in grado di appello.
7. Con il secondo motivo l’Agenzia ha dedotto il vizio di omessa motivazione su un fatto

7.1 Lamenta che il giudice di appello aveva omesso di esaminare la doglianza esposta in sede di
appello secondo la quale la soggettività ai fini IVA non presupponeva solo l’iscrizione del soggetto
nel registro delle imprese o la titolarità della partita IVA, ma il concreto svolgimento di un’attività
di impresa.
7.2 In sostanza, il giudice di appello aveva tralasciato di esaminare la questione relativa al carattere
elusivo dell’operazione economica svolta dal contribuente, avendo l’Ufficio prospettato che la
gestione effettiva della società era orientata al tracollo economico piuttosto che al profitto, tenuto
conto dell’enorme carico economico che la società contribuente si era accollato; ciò che elideva il
presupposto essenziale contemplato dall’art.4 dpr n.633/1972 per l’attribuzione della qualità di
soggetto IVA.
8. Con il terzo motivo l’Agenzia deduce la violazione e falsa applicazione degli artt.4 e 19 del dpr
n.633/1972, in relazione all’art.360 comma 1 n.3 c.p.c. Evidenzia la CTR aveva fondato il proprio
giudizio su elementi formali- iscrizione nel registro delle imprese e titolarità della partita IVAsenza considerare che il presupposto per il riconoscimento della detrazione IVA era costituito
dall’esistenza di un’effettiva attività economica di natura imprenditoriale da parte del contribuente,
tenuto conto della giurisprudenza — comunitaria e di questa Corte- formatasi in punto di abuso del
diritto, in forza del quale ultimo doveva ritenersi esistente il principio dell’indetraibilità dell’IVA
assolta in corrispondenza di comportamenti abusivi, volti a conseguire il solo risultato del beneficio
fiscale, senza una reale autonoma regione economica giustificatrice delle operazioni svolte. Ragion
per cui l’analisi compiuta dalla CTR, incentrata sull’esistenza di indici formali, non poteva ritenersi
soddisfacente.
9. La curatela del fallimento della Ital.Ge.su. ha dedotto, nel controricorso, l’infondatezza delle
censure sottolineando, quanto alla prima, che il giudice di appello aveva compiutamente esposto le
ragioni della decisione, confutando le tesi difensive espresse dall’amministrazione.
9.1 Aggiungeva, quanto alle restanti censure, che la CTR aveva preso posizione sul tema esposto
dall’Agenzia nell’atto di appello, ritenendo che la società contribuente era a pieno titolo da
considerare come soggetto passivo di imposta.
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controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art.360 comma 1 n.5 c.p.c.

9.2 Evidenziava, ancora, quanto al tema del prospettato abuso del diritto, che lo stesso era rimasto
sfornito di prova, avendo documentato tanto l’esistenza dei contratti di locazione con terzi dei
locali commerciali posseduti che il trasferimento della sede della società in altro luogo, comunicato
nei termini all’amministrazione finanziaria.
9.3 Aggiungeva che già gli avvisi di rettifica erano risultati privi di elementi idonei ad asseverare
l’affermazione dell’amministrazione circa la finalità perseguita dalla società di salvaguardare la
proprietà dai rischi fallimentari. Peraltro, della stessa lettura degli avvisi era emerso che la società

società quest’ultima riconducibile alla famiglia del Signor Sensi Socrate che aveva effettuato una
regolare attività speculativa. Pertanto, la volontà di acquistare, con le forme del contratto di leasing,
un importante complesso immobiliare, l’avvio di importanti opere di ristrutturazione e la
stipulazione di contratti di locazione dell’immobile prodotti nel giudizio di primo grado
denotavano il fine utilitaristico perseguito dalla società, confermando pienamente la presunzione di
imprenditorialità contemplata dall’ art.4 d. p.r.n. 633/1972.
9.4 Del resto, l’introduzione nell’ordinamento di una specifica norma antielusiva-d.lgs.n.313/1997,
aveva escluso detta presunzione solo per talune operazioni commerciali poste in essere da società di
comodo, non potendo contestarsi, in assenza di tale disposizione, entrata in vigore 1’1.1.1998, la
soggettività IVA.
10. Il primo motivo di ricorso è infondato.
10.1 Questa Corte ha più volte avuto modo di ritenere che il vizio di omessa motivazione della
sentenza, denunziabile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 5 cod. proc. civ.,
quando il giudice di merito ometta di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento
ovvero indica tali elementi senza una approfondita disamina logica e giuridica, rendendo in tal
modo impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamentocffiCass.n.9113/2012-.
10.2 Del resto, la conformità della sentenza al modello di cui all’art. 132, comma secondo, n. 4, cod.
proc. civ. non richiede l’esplicita confutazione delle tesi non accolte o la particolareggiata disamina
degli elementi di giudizio posti a base della decisione o di quelli non ritenuti significativi, essendo
sufficiente, al fine di soddisfare l’esigenza di un’adeguata motivazione, che il raggiunto
convincimento risulti da un riferimento logico e coerente a quelle, tra le prospettazioni delle parti e
le emergenze istruttorie vagliate nel loro complesso, che siano state ritenute di per sé sole idonee e
sufficienti a giustificarlo, in modo da evidenziare l’iter seguito per pervenire alle assunte
conclusioni, disattendendo anche per implicito quelle logicamente incompatibili con la decisione
adottata.

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proprietaria del complesso immobiliare era la Leasing Roma per averle acquistata dalla Cosmofin,

10.3 E proprio con specifico riferimento al rinvio alla motivazione della sentenza di primo grado,
questa Corte ha ritenuto sufficiente che il rinvio venga operato in modo tale da rendere possibile ed
agevole il controllo della motivazione, essendo necessario che si dia conto delle argomentazioni
delle parti e dell’identità di tali argomentazioni con quelle esaminate nella pronuncia oggetto del
rinvio-cfr. Cass.n.7347/2012- .
10.4 Ragion per cui, ferma la legittimità della motivazione in cui il giudice d’appello, facendo
proprie le argomentazioni del primo giudice esprima, sia pure in modo sintetico, le ragioni della

argomentativo desumibile attraverso la parte motiva delle due sentenze risulti appagante e corretto,
ricorre la violazione dell’art.132 c.p.c. solo quando la laconicità della motivazione adottata,
formulata in termini di mera adesione, non consenta in alcun modo di ritenere che all’affermazione
di condivisione del giudizio di primo grado il giudice di appello sia pervenuto attraverso l’esame e
la valutazione di infondatezza dei motivi di gravame.
10.5 Orbene, nel caso di specie, non pare essersi in presenza né di una motivazione apparente, né di
una mera riproposizione integrale ed acritica della sentenza di primo grado, risultando anzi
testualmente che il giudice di appello, nel fare proprie le conclusioni espresse dal giudice di prime
cure, anche usando formule linguistiche inequivoche- osserva questa Commissione regionale,…a
parere di questo collegio…aggiungasi altresì… non si è affatto limitato ad acriticamente riprodurre

il contenuto decisorio del provvedimento impugnato innanzi a sé, ma ha non solo ricostruito la
fattispecie concreta ai fini della sussunzione in quella astratta, ma ha altresì dato conto delle ragioni
posta a base della decisione di conferma della sentenza di primo grado confutando espressamente,
sulla base delle medesime argomentazioni esposta dal primo giudice, le tesi difensive prospettate
dall’Agenzia delle Entrate.
10.6 Ed a nulla ovviamente rileva, ai fini dell’esistenza del vizio per come prospettato
dall’Agenzia, che la CTR abbia parimenti confutato una argomentazione non riproposta
dall’appellante. Né appare rilevante la circostanza, enfatizzata nel quesito di diritto proposto, che il r
giudice di appello non abbia esposto i motivi posti a fondamento della decisione da parte del I ‘)
giudice

di

primo

grado.

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11. Passando all’esame del secondo ed al terzo motivo di ricorso, che vanno esaminati

congiuntamente in relazione alla loro stretta connessione, gli stessi sono fondati.
11.1 Ed invero, l’Agenzia ha contestato la insufficienza del corredo motivazionale della sentenza
impugnata la quale, fermandosi al rilievo formale rappresentato dall’esistenza della società
conclamata dalla dichiarazione di insolvenza pronunziata dal tribunale fallimentare, dalla sua
iscrizione nel registro delle imprese e dalla titolarità della partita IVA, non aveva esaminato le
circostanze di fatto accertate dai verificatori- pagamento di canoni di locazione di £.112.500.000
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conferma della pronuncia in relazione ai motivi di impugnazione proposti, in modo che il percorso

mensili per sei anni, realizzazione di opere di modifica strutturale del complesso immobiliare pari a
circa £.3.000.000.000 senza diritto di rivalsa sulle opere eseguite- , dalle quali si sarebbe dovuto
inferire l’assenza del requisito della soggettività ai fini IVA della Ital.Ge.SU. s.r.1., correlati
all’assunzione di un impegno finanziario estremamente oneroso e sproporzionato rispetto ai
proventi realizzabili dalle future locazioni frazionate dell’immobile.
11.2 Prosegue l’Agenzia nel senso che la CTR, preoccupandosi di questioni ormai abbandonate ed
incentrando l’analisi su requisiti formali, non aveva esaminato la questione di diritto, correlata

Agenzia nello svolgimento di una effettiva attività economica imprenditoriale”-v.pag.15 2Aperiodo
e pag.16 2^periodo-.Questione che involgeva, del resto anche la figura dell’abuso del diritto.
11.3 Orbene, le doglianze prospettano la questione della necessità, o meno, dell’effettivo e concreto
esercizio di un’attività imprenditoriale da parte di società commerciali, ai fini della detraibilità
dell’Iva assolta sulle operazioni passive e della sufficienza, o meno, a questo stesso riguardo della
presunzione assoluta di commercialità di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 4, comma 2, per
legittimare la detrazione dell’imposta assolta a monte rispetto ad atti (o a operazioni) prodromici
all’effettivo svolgimento di un’attività d’impresa. D
11.4 questa Corte è ferma nel ritenere che, con riguardo alle operazioni passive, la qualifica di
impresa, che compete ex lege alle società commerciali con riguardo alle operazioni attive essendo le
cessioni di beni, da parte di dette società, dalla legge considerate “in ogni caso”, cioè senza
eccezioni, effettuate nell’esercizio d’impresa, non è sufficiente per dare vita al diritto alla detrazione
dell’Iva, essendo per contro necessario che l’acquisto di beni risulti necessario per l’esercizio vero e
proprio dell’impresa e sia effettivamente destinato dall’imprenditore alla realizzazione degli scopi
produttivi programmati. Con ciò dunque richiedendosi che il requisito della “inerenza” dell’acquisto
all’esercizio d’impresa venga identificata sulla base del raffronto tra l’operazione passiva e quelle
attive, dovendo risultare assolta la prova della strumentalità della prima rispetto alle seconde, che
siano state già compiute o anche soltanto programmate-cfr.Cass. n.13Utt
11.5 Nell’alveo del richiamato orientamento, si colloca quanto da questa Corte affermato
giustappunto alla luce della sesta direttiva n. 77/388/CEE, come interpretata dalla giurisprudenza
della Corte di giustizia (ivi compresa la sentenza 29.2.1996 in proc. C- 110/94). Che cioè “in tema
di Iva, il D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 19, comma 1, consentendo al compratore di portare in
detrazione l’imposta addebitatagli a titolo di rivalsa dal venditore quando si tratti di acquisto
effettuato nell’esercizio dell’impresa, richiede, oltre alla qualità d’imprenditore dell’acquirente,
l’inerenza del bene acquistato all’attività imprenditoriale, intesa come strumentalità del bene stesso
rispetto a detta specifica attività, ed inoltre, non introducendo una deroga ai comuni criteri in tema

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all’insussistenza del presupposto per l’applicazione del regime IVA individuato dalla stessa

di onere della prova, lascia la dimostrazione di detta inerenza o strumentalità a carico
dell’interessato” (v. Cass. n. 3706/2010; n. 16730/2008; n. 11765/2008).
11.6 La norma citata, infatti, consente al compratore di portare in detrazione l’Iva addebitatagli a
titolo di rivalsa dal venditore quando si tratti di acquisto effettuato nell’esercizio di impresa, e
richiede – pertanto – un quid pluris rispetto alla qualità di imprenditore dell’acquirente, e cioè
l’inerenza o strumentalità del bene comprato rispetto all’attività imprenditoriale.
11.7 Nè può presumersi la sussistenza dei requisiti dell’inerenza e della strumentalità in ragione

due citate disposizioni (D.P.R. n. 633 del 1972, art. 4, comma 2, n. 1 e art. 19, comma 1), mentre le
cessioni di beni da parte di società commerciali sono da considerare in ogni caso effettuate
nell’esercizio d’impresa, viceversa, in ordine agli acquisti delle stesse società, l’inerenza all’esercizio
dell’impresa di tali operazioni passive non può essere ritenuta, ai fini della detraibilità dell’imposta,
in virtù della semplice qualità di imprenditore societario dell’acquirente, ma va accertata su un piano
di effettività, in stretta connessione con le finalità imprenditoriali, e con onere della prova a carico
di colui che la detrazione invochi.
11.8 Tale principio, d’altra parte va declinato insieme a quello che, sulla scia della giurisprudenza
comunitaria della Corte di Giustizia- sentenza Halifax(Corte giust. 21 febbraio 2006, causa C255/02), ha determinato l’affermazione del principio del divieto di abuso del diritto che, applicato
alla disciplina in tema di IVA, determina l’indetraibilità del detto tributo in caso di suo
assolvimento CI in corrispondenza di comportamenti abusivi, volti cioè a conseguire il solo risultato
del beneficio fiscale, senza una reale ed autonoma ragione economica giustificatrice delle
operazioni economiche che, perciò, risultano eseguite in forza solo apparentemente corretta ma, in
realtà, sostanzialmente elusiva-Cass.n.10353/2006-.
11.9 Orbene, il perno sul quale la decisione impugnata ha basato il suo argomentare per ritenere
illegittimo l’accertamento dell’Ufficio già sancito dal giudice di primo grado è stata la ritenuta
esistenza della società contribuente, desunta dall’iscrizione nel registro delle imprese e dalla
titolarità della partita IVA.
11.20 Ma così facendo il giudice di appello ha sostanzialmente tralasciato di considerare e
ponderare tutti gli elementi prospettati dall’Agenzia, certamente dotati del carattere della decisività,
volti non solo a sostenere che la società era stata costituita, fin dal suo inizio, con la finalità di
determinare il tracollo economico della stessa, a cause di impegni finanziari che la stessa non
avrebbe potuto in alcun modo sostenere- v. pagg.16 e 17 ricorso-.
11.21 Così facendo, l’Agenzia, aveva sollecitato al giudicante l’esame della questione
dell’antieconomicità delle operazioni di acquisto poste in essere dal sodalizio che, per converso, la
CTR ha totalmente tralasciato di esaminare trincerandosi sull’elemento, ritenuto fondante e
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della qualità di società commerciale dell’acquirente, in quanto, in base alla disciplina dettata dalle

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